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rinnovarsi Break the Wall

Linea Records

È tempo di elettronica, techno e di rinnovarsi

Per rinnovarsi nel campo della musica, sopratutto quella elettronica, alle volte serve prendersi una lunga pausa. Noi lo abbiamo fatto, anzi forse siamo ancora in pausa. Tuttavia, alle volte capitano dei corti circuiti.

Arrivano degli eventi improvvisi che ti spingno nuovamente all’azione. Altre volte, accade che semplicemente prende il sopravvento la smania di ritornare sul pezzo, di mettersi in gioco, di tornare a ballare.

Oggi vogliamo trasmettervi attraverso questo nuovo episodio di Break the Wall quella irrefrenabile smania di tornare a ballare.

Quella voglia di riempire quello spazio che oggi è un vuoto cosmisco nelle nostre giornate, settimane, mesi; tornare a vivere una vita piena, fatta di incontri, di persone, di gioie, di errori, di notte, di notti, di musica, amicizia, passione e amore.

Come nelle puntate precedenti, siamo felici di farlo attraverso la visione – lucida e lungimirante – di un gruppo di giovani artisti e produttori che da qualche anno danno voce al progetto discografico “Linea Records. Quando si dice che non ci sono novità in giro, chapeau!

Linea è un etichetta discografica fluida guidata da Eliot K, Alessandro Cheli, Daniele Zerbi e Lo.Sai.

Nasce nel 2020 a cavallo fra Berlino, Pisa e Milano, con l’intenzione di promuovere nuovi artisti e sonorità nel mondo dell’elettronica underground.

Ciò che accomuna i producers di Linea Records è una propensione per un sound lisergico e tribale. In egual misura organico e glaciale, concepito per far tremare qualsiasi club.

LINEA RECORDS è quel territorio di confine dove mondi apparentemente distanti possono coesistere all’insegna del rito della danza.

Alessandro, Michele, Lorenzo, Daniele sono ragazzi molto dinamici. Sicuramente da tenere d’occhio negli anni a venire. In pochissimo tempo hanno saputo – nonostante la situazione generale – dar vita ad un progetto discografico molto interessante, e di sicuro, essendo solo all’inzio, non possono che fare sempre di più e di meglio!

Ciao ragazzi è un piacere ospitare per Break the Wall una realtà giovane e interessante nel campo della musica elettronica come la vostra. Ascoltando le vostre produzioni ci siamo ritrovati in un paesaggio sonoro molto vicino al nostro vissuto. A tratti popolato da diverse dimensioni, in alcuni casi anche molto distorte e allucinate, fredde e distanti, ci piace!

Quindi mentre mi spostavo in questo viaggio sonoro cresceva in me la curiosità e mi domandavo, chi sono Michele, Alessandro, Daniele e Lorenzo?
Michele: Sono co-fondatore di linea records e Master e mixing engineer basato a Berlino.

Strumentista prima che produttore, ho militato nelle band: Banda Randa, Don Macello e Bar Capolinea. Nel 2017 mi trasferisco a Berlino dove inizio i miei studi di sound engineering ottenendo una laurea nel 2019. Alla fine dei miei studi incomincia la mia collaborazione come mastering engineer per diverse etichette discografiche: Emotional voyage records, Sev records, Follow the groove, Italians weapons e tante altre ancora.

Tante sono anche le collaborazioni con diversi artisti indipendenti con base negli U.S.A. , Germania, Inghilterra e Italia, da Mosi, Orlando Voorn, Javonnte, Marc Brauner, Rico Casazza, Urbnmowgli, Moodrich, Nocui e tanti altri ancora.

Alessandro: Ho co-fondato Linea Records nel 2020 con Michele, dopo molti anni di produzione musicale autonoma ed indipendente. Di background sono un informatico con base a Pisa, e negli ultimi anni ho lavorato a progetti di ricerca su linguaggi di programmazione e compilatori.

Ho sempre prodotto musica elettronica nel tempo libero, da quando andavo alle scuole medie, e nel frattempo ho sempre distrutto, smontato e rimontato macchinette di ogni tipo, sistemi operativi e computer.

Il mio approccio con la tecnologia mi ha portato a spingermi verso tecniche sperimentali nella produzione sonora. Spesso mi affido alla programmazione per la generazione algoritmica di melodie e suoni. Con Linea Records ho rilasciato due singoli, che rappresentano un po’ le due facce della medaglia di quello che produco.

La prima, “Compression Field” è una traccia lowtempo sperimentale basata su campioni che ho registrato in giro, mescolato e riarrangiato senza limitarmi a dei canoni comuni su come strutturare una traccia. La seconda uscita, “Async”, è una traccia dub techno con molte linee classiche, pochi elementi minimali nei quali ho speso molto tempo per rifinirli nei dettagli. Con Linea Records continuerò questo percorso duale senza cambiare il mio pseudonimo: sto preparando alcune uscite techno classiche, da dancefloor. Nel frattempo ho pronto un album sperimentale, sulle linee del pop decostruito con melodie generate, spazi riverberati e sintetizzatori sperimentali.

Daniele: Sono un architetto milanese e cofondatore dello studio Fuzz Atelier. Faccio parte in qualità di artista e curatore della piattaforma di NFT Artano che si sviluppa sulla blockchain proof of stake di Cardano.

La mia ricerca artistica parte dalla tradizionale rappresentazione architettonica, proiettandola verso dimensioni astratte e psichedeliche. Attraverso la contaminazione di diverse tecniche di rappresentazione tra cui fotomontaggi, animazioni, video art e musica. Gestisco l’immagine visiva di Linea Records, e ho realizzato anche alcuni video per le nostre tracce, fra cui ‘8 mm retiff’ di Elliot K.

Lorenzo: Lo.Sai, all’anagrafe Lorenzo Saini. Sono un compositore, contrabbassista e sound designer di stanza a Milano.

Parallelamente agli studi di conservatorio ho suonato in numerosi progetti nati dalla scena underground della mia città natale: Livorno. Nel Settembre 2020 mi sono trasferito a Berlino. Durante questo periodo ho composto dei remix per le band Battles e Suuns. Ho pubblicato colonne sonore e sono entrato a far parte di Linea Records rilasciando il singolo Chemistry. Lo scorso Luglio ho partecipato alla residenza artistica Tagli sull’isola di Stromboli. Grazie a questa esperienza mi sono avvicinato al mondo dell’installation art, collaborando con Massimo Banzi di Arduino.

La diversità del vostro catalogo segue il filo conduttore delle percussioni. I suoni tribali, la ritualità della danza, ma qual’è la musica o quali sono gli artisti che più vi rappresentano?

Michele: Le influenza sono tante e diversissime. Partiamo dal rinnovarsi dagli inizi dove sicuramente Robert Hood ricopre un ruolo fondamentale.  Insieme a lui tanti altri artisti ricompriranno un ruolo importante nella mia crescita personale. Mark E, Floating Points, Function, Dj Skudge, Jeff Mills, Brian Eno, Chaos in the CBD, e tanti altri. Insieme a loro anche molte etichette discografiche: Rhythm section, Soundway records, Pampa records, Tresor e tante ancora. 

Alessandro: In particolare i soundscape di sintetizzatori modulari dell’elettronica sperimentale italiana: Caterina Barbieri, Alessandro Cortini, Lorenzo Senni. I produttori che più amo sono Aphex Twin, Andy Stott e Floating Points. Fra le mie influenze nel genere ci sono anche le prime produzioni di Oneohtrix Point Never, mu-ziq, Yves Tumor e un sacco di altri artisti sotto le label Warp e Ninja Tune.

Per quanto riguarda il mio lato techno, le mie influenze sono tantissime. Sono un grande fan soprattutto della techno olandese del filone di David Vunk e Im Kellar. Ma anche di dark techno più ‘hard’ a BPM elevati. Hanno un ruolo fondamentale nelle mie influenze anche artisti storici della detroit techno. Plastikman, Gerald Donald con i Drexciya e i Dopplereffetk e i ragazzi della Underground Resistance.

Come con l’ambient, adoro artisti che abusano dei sintetizzatori sperimentando nella techno.

Keepsakes, Planetary Assault Systems e Rene Wise, per non parlare del leggendario Villalobos.

Fuori dai generi delle mie produzioni, ma nelle quale se ne può sentire un’influenza fortissima ci sono anche gli artisti della label “Skull Disco”, origini della dubstep inglese, piena di percussioni tribali, ritmi psichedelici e bassi scolpiti: Shackleton, Appleblim, Peverelist e altri ancora.

Quando è iniziato questo amore?

Michele: Il mio amore con la musica elettronica nasce nel 2013 quando – insieme a un caro amico – passavamo i pomeriggi a casa sua dove era allestito un piccolissimo home studio.

Negli anni a seguire  prende piede un evento dove avrebbe suonato Robert Hood al palazzo dei congressi di Pisa. Partecipo all’evento e rimango sconvolto dall’impatto della serata. Ricordo ancora che tornando a casa ho proprio pensato “questo è quello che voglio fare io“. E da quel giorno è iniziata la mia curiosità verso la musica elettronica  sotto ogni punto di vista. 

Alessandro: Ho iniziato ad innamorarmi della musica elettronica da piccolo, ascoltando ‘Drukqs’ di Aphex Twin. Con il tempo ho iniziato ad ascoltarne sempre di più, soprattutto suoni più lenti, sperimentali. Alle scuole medie ho scaricato per la prima volta la demo di FL Studio. Da li ho iniziato a produrre ambient e vaporwave campionando vecchi dischi che recuperavo in giro ai mercatini.

Con il tempo ho fatto diverse pause, cambiato tanti generi musicali, hip-hop, trap, ambient, vaporwave, techno. Alla fine, anche se non ero soddisfatto delle mie produzioni, sono sempre tornato a produrre e a suonare in giro. Soprattutto, ad ascoltare tantissima musica. Sono quindi rimasto sempre innamorato dell’ambient e dell’IDM sperimentale, non smettendo mai di provare nuove frontiere fuori dai canoni comuni della musica.

Negli ultimi anni ho riscoperto il piacere della techno, l’energia che trasmette e come accomuna e sincronizza le persone sul dancefloor.

Ma soprattutto mi sono reso conto quanto mi piacesse produrre con sintetizzatori hardware. Collegarli fra di loro, sincronizzarli al ritmo di un kick robotico e lasciare andare gli arpeggiatori e le drum machines.

Giovanissimi, con già diverse produzioni alle spalle, bravi!, ma qual è il messaggio principale che volete lanciare con le vostre uscite? E quale il vostro obiettivo nei prossimi 5 anni?

Alessandro: Le nostre uscite sono orientate ad una sonorità curata nei dettagli. Come avrete notato, nel nostro primo anno di attività abbiamo più che altro fatto uscire solo singoli. Questo perché teniamo tantissimo alla qualità delle nostre produzioni, e non a fare uscire una marea di fuffa da far diventare virale sui social.

Il nostro obiettivo è di produrre qualcosa di curato nei minimi dettagli. Dalle patch dei sintetizzatori alle fasi di mix e mastering finale. Speriamo che le nostre tracce rimangano nella memoria di chi ci ascolta, e nelle chiavette dei DJ e nel cuore delle persone.

Il nostro piano è di continuare così. Spingere artisti che sanno quello che ascoltano e producono. Sonorità definite e scolpite. Sia musica ambientale, cupa, meditativa, sia banger aggressivi e distorti pronti ad armonizzare centinaia di persone in danze tribali.

Non importa che siano grandi nomi o nuovi volti nell’underground.

Le sonorità che ci colpiscono sono ben definite, e ci teniamo ad unire e raccogliere più persone che condividono questa passione ed una cura maniacale per i dettagli.

Ci concentreremo molto sull’organizzazione di eventi e showcase: la pandemia ha reso ballare una bestemmia, noi vogliamo tornare a colpire nello stomaco con enormi subwoofer e nella testa con sintetizzatori psichedelici.

Quali sono i prossimi dischi in uscita?

Michele: La prossima uscita prevista per linea records è un ep composto da 4 tracce scritto da Elliot K chiamato “You and me”,  che tocca sonorità molto particolari e contrastanti in un certo senso.

Le sonorità sono orientate intorno alla techno con sfumature che si potrebbero definire esoteriche, spirituali e in parte ipnotiche. È composto da alcuni campioni di canti gregoriani, sinfonie di Mozart, percussioni e canti popolari del sud America. Ma ci sono anche i ritmi africani in risposta alle strutture più classiche della techno.

Entriamo più nel vivo di Btw, cosa ne pensate della Club Culture lungo la linea di confine che unisce Milano a Berlino? Perché poi Milano e Berlino? Cosa rappresentano per voi?

Michele: Sicuramente a Milano ho trovato il mio primo vero confronto con la club culture. In quel di Macao quando ancora si trovava in viale Molise. Nel 2016 vivevo  anche io in Viale Molise ed il Macao stesso era praticamente il mio vicino di casa. Ho avuto modo di partecipare a tantissime loro serate e di conoscere tantissimi artisti e membri dello staff.  Nel corso degli anni, Macao è stato sicuramente un punto di riferimento e una realtà molto importante per la mia  crescita.

Una volta trasferito a Berlino invece sono entrato completamente in un altro mondo circondato da persone che collaborano con la club culture da ogni punto di vista.

Ho anche partecipato per qualche anno all’organizzazione di eventi con un collettivo indipendente “Sarasvati”, ed insieme a loro abbiamo organizzato diverse serate e festival sparsi per varie location di Berlino.

Si riscontra una certa serietà nella club culture berlinese. Si percepisce che  viene data  molta importanza e attenzione, sembra proprio un bisogno reale da parte dei cittadini.

I locali sono curati nei minimi dettagli e si percepisce l’enorme organizzazione e lavoro dietro alle serate.

Le scelte tra i vari club sono tantissime, quasi troppe. Solo col tempo si capisce quello quello che cerchi e desideri dalla musica elettronica e non solo.

Vi siete in qualche maniera definiti come amanti dell’underground, ma cosa rappresenta per voi questa parola? Cosa vuol dire essere un produttore di musica elettronica underground per voi?

Michele: Il concetto di Underground col tempo è andato un pò perso. Basta pensare alle origini e all’evoluzione della techno negli ultimi 30 anni. Siamo passati da una musica legata ai rave ed eventi più o meno legali, ad un qualcosa che oggi serve le corporate e i brand per farsi pubblicità.

La techno e gran parte della musica elettronica è stata strumentalizzata per creare una connessione tra brand e la loro rispettiva audience. Basta anche semplicemente guardare come Richie Hawtin ormai fa soundtrack per le pubblicità e per le sfilate di Prada.

Penso che nessuno si sarebbe mai immaginato un’evoluzione del genere.

In quanto perso il concetto di Underground, rimane difficile analizzarlo e capirlo a fondo. Paradossalmente ormai sentirsi “underground” non è per niente “underground”. Per noi il concetto di underground è un pochino diverso. La nostra etichetta nasce con solamente il nostro impegno di noi singoli senza nessun aiuto esterno ma soprattutto senza nessun tipo di finanziamento. E’ un progetto a costo zero sostenuto solamente dal nostro lavoro diviso equamente tra di noi. Ognuno è libero di portare ciò in cui riesce meglio e ciò che ritiene più necessario e giusto per l’etichetta. Non ci siamo mai affidati a manager, promotori, agenzie booking, finanziatori. Abbiamo col tempo sempre cercato di avere il pieno controllo sotto ogni aspetto dell’etichetta sia a livello artistico che a livello più funzionale. Questo per noi è essere “underground”, essere interamente indipendenti e dipendere solamente dalle proprie forze.

Quali sono le principali criticità che avete incontrato nel vostro giovane percorso?

Alessandro: Amiamo i Club, i festival e vedere migliaia di persone unite nel ballare insieme ritmi martellanti e digitali, come in una danza tribale. Ovviamente il nostro obiettivo era di far crescere la nostra neonata etichetta. Organizzando un certo tipo di eventi: lunghe nottate perché la gente potesse scatenarsi a ballare le nostre produzioni e le nostre selezioni musicali. La più grande criticità che abbiamo incontrato nel nostro percorso è stata ovviamente la pandemia.

Club chiusi, vuoti, il terrore di organizzare eventi musicali, di non essere autorizzati a tornare a suonare anche quando i contagi erano bassi e le piazze si riempivano di ragazzi che volevano uscire.

Il coprifuoco sanitario è stato un evento che mi ha anche distrutto personalmente. Ma non ci ha demoralizzati nel continuare a produrre e a mantenere viva la nostra etichetta. Prima del Covid e che nascesse Linea Records abbiamo fatto molte serate, indipendemente, in giro per l’italia e l’Europa.

Dopo poco più di un anno. Da quando abbiamo ufficialmente fondato la label, siamo riusciti ad iniziare a fare ballare le persone sotto il nome di Linea Records.

Linea Records @Caracol, Pisa

Provengo da una realtà ed una città primariamente universitaria, piena di giovani. Come accennavo sopra, la pandemia ha reso in Italia, la musica elettronica e il ballare una bestemmia, una pratica sconcia e pericolosa.

Da quando siamo tornati liberi di uscire e socializzare – qui a Pisa – le piazze si riempiono di chi ha voglia di socializzare e divertirsi, come è sempre stato.

Ballare insieme ci unisce, è nella natura dell’essere umano: da quando esiste la musica. Ci riuniamo intorno a tamburi e strumenti per danzare insieme, e ballare insieme ci trasporta nel qui ed ora, nell’’hic et nunc’.

Quando balliamo ci dimentichiamo del nostro passato, dei problemi, del dolore, della lista delle cose da fare per la prossima settimana. Siamo fatti così: il nostro corpo ne ha bisogno.

Qui, in una città composta per la metà di giovani universitari, il settore della musica elettronica è stato rovinato da terribili decisioni dell’amministrazione locale. Ogni mese esce qualche strana ordinanza comunale. Quasi sempre sono rivolte contro gli indecorosi giovani. Quei giovani che da anni sono ormai privati di spazi comuni per la socialità, indirizzati solo al produrre, produrre, produrre e produrre (e consumare ovviamente). Gli studenti si arrangiano, e portano tutte le sere tamburi e chitarre in piazza. Ma la musica elettronica?

A quanto pare, in questo luogo, è un bel nemico. Con la pandemia, la finestra di Overton si sposta e la musica elettronica e la techno sono diventate sempre di più fuori dall’accettabile. Per noi invece è un’arte, lo stesso concetto del millenario ritmo di un tamburo viene esteso e raffinato dalle possibilità che la tecnologia ci offre.

C’è chi si arrangia con enormi speaker bluetooth che porta in piazza, spingendo tutta la sera per compensare alla mancanza di spazi dedicati alla musica.

Le conseguenze di queste decisioni sono abbastanza negative per il settore. Mentre nel resto dell’Italia l’industria della vita notturna sta lentamente ripartendo. Qua sembra che all’amministrazione locale non desideri che chi lavora con la musica elettronica ed i locali torni a ripartire. Noi di Linea, cerchiamo invece di andare avanti nel nostro percorso, continuando a rilasciare musica e ricominciando ad organizzare eventi per fare ballare le persone

Cosa fareste voi per migliorare lo stato di salute del settore? per ripartire, per rinnovarsi? 

Alessandro: Spingerei per riportare la techno e la musica elettronica nella finestra della normalità. Cosa cambia se fanno chiudere anche le discoteche all’una di notte invece che alle 4? Il virus diventa più contagioso di notte?

Cosa cambia se migliaia di giovani si schiacciano, rattristati, in una piazza senza niente da fare, o invece si riuniscono a gruppi più piccoli, a ballare nel cortile di un locale la musica che gli piace?

Per migliorare lo stato di salute del settore, inviterei chi ha un po’ di spazio. Magari un piccolo locale, un garage, e poi un paio di casse, un impianto, un controller MIDI. Qualche luce e tanta voglia di ballare. Inviterei tutti ad organizzarsi, riunirsi e ascoltare la musica per tutta la notte. Ovviamente, nel rispetto della legge, prima che ne esca un’altra che dice che saltare a ritmo di musica è diventato illegale…

Con l’avvento degli streaming digitali, gli artisti e le label non guadagnano più molto dalla vendita di dischi. A parte quei pochi che incassano milioni di ascolti sulle piattaforme di streaming online.

Molti artisti si sono adattati a loro modo e tengono a rilasciare tantissima musica. Spesso poco curata e mirata per la maggior parte a fare qualche condivisione sui social media. Per noi non è così.

La nostra visione, come accennavo sopra, è leggermente diversa. Siamo una label internazionale sparsa per tutta Europa. Internet e i social media ci sono fondamentali.

Tuttavia il nostro obiettivo è continuare a rilasciare musica di qualità. Con costanza, senza esagerare. Per non finire poi a creare troppi contenuti, poco curati. Uno dei nostri obiettivi principali è continuare ad organizzare eventi finché le regole ‘anti-Covid’ ce lo permettono.

Penso che il settore abbia bisogno di più eventi underground. Ma soprattutto di spazi per permettere ai giovani di partecipare a questi eventi, mettendo sotto i riflettori gli artisti emergenti.

Grazie per averci dedicato il vostro tempo, speriamo di condividere prima o poi una bella serata assieme e magari una Consolle!

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Linea Records (sito web)


Dj Darius

Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

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    New Sounds

    Muta/Larva

    Chiudiamo un cerchio. Dopo Marefermo è tempo di metamorfosi

    “Avendo ascoltato con grande piacere Marefermo nella primavera del 2020, quando Simone mi ha contattato per discutere l’uscita di Muta/Larva, sapevo che l’ispirazione era ancora altissima. Ma è comunque riuscito a stupirmi. La classe e lo spessore di questi pezzi sono incredibili.”
    Cit. Fabio Ricci (aka fr) – vonneumann • dTHEd • AOR

    Quando parliamo di muta, soprattutto per il mondo animale, generalmente pensiamo alla primavera o all’autunno. Periodi dell’anno che coincidono con un cambio delle temperature e delle condizioni ambientali che permettono un passaggio funzionale, un rinnovamento.

    Con questa idea è uscito da pochi giorni il nuovissimo EP “Muta/Larva” di Simone Lalli una figura centrale nell’underground Livornese. Attivo dai primi anni 90 come chitarrista e cantante del gruppo storico Flora & Fauna, poi passato alla sperimentazione elettronica sotto il moniker di Autobam per arrivare fino oggi con una nuova consapevolezza.

    Se vi ricordate, la scorsa primavera avevamo intervistato Simone per Break the Wall e lui ci aveva anche parlato del suo EP “Marefermo”. Con molto piacere, oggi con quasi un anno di distanza e quindi in una sorta di continuum temporale tra primavere e brani, vi presentiamo questo nuovo ed interessantissimo lavoro.

    Muta/Larva Ep by Simone Lalli. Cover by Fabio Ricci and Simone Lalli
    Un EP che non si limita a descrivere il cambiamento, lo abbraccia, lo fa suo.

    L’EP è stato prodotto in collaborazione con AOR (Ammiratore Omonimo Records), una label davvero intrigante, attiva da 20 anni e dedicata alla musica di qualità. Il Master a cura di Taylor Deupree presso il 12K Studio-NYC è un sigillo e una garanzia. Stiamo parlando dei massimi sistemi della musica glitch.

    Riprendendo la splendida presentazione di Fabio Ricci (vonneumann, dTHEd, AOR), Muta/Larva è un EP di 2 tracce, di cui Muta chiude il discorso di Marefermo e lo fa senza mezzi termini. La muta è una transizione funzionale, è la metamorfosi. Rappresenta un cambio fra ciò che è immediato, visibile, e ciò che va svelato. Spesso la muta è un cambiare pelle. Ma la muta è anche un indumento, una doppia pelle che serve per immergersi, scendere nel profondo: nel mare. Nel marefermo. Muta è la chiusura di un cerchio. E alle mie orecchie suona come l’onda assente di un mare immobile: un’onda muta; un silenzio che deflagra.

    Quando ho chiesto a Simone se il titolo fosse anche un omaggio a Leo Anibaldi, lui mi ha confessato di non averci pensato. A sentire lui sarebbe un caso. Tuttavia sono convinto che non avvengano per caso queste cose – esiste un sentore comune, una sensibilità condivisa che spinge artisti diversi a scegliere il medesimo vocabolo, la stessa voglia di cambiare pelle. È una tensione collettiva di animi affini.

    Fabio Ricci

    Larva porta con se la bellezza del processo di metamorfosi, del cambiamento. La muta sta avvenendo, e dalla larva uscirà qualcosa di diverso, di meraviglioso. Adesso non è dato sapere, ma da ciò che ci racconta il pezzo, ci spostiamo in territori meno diretti. È un brulicare di suoni che si sovrappongono in continuazione, catturando e disorientando l’ascoltatore. Gli antichi Romani usavano il termine “larve” per denominare gli spiriti di uomini malvagi – forse anche questo è un indizio che Simone vuole darci per il futuro. Sì, perché Muta/Larva è anche e un’anticipazione di quello che sarà un vero e proprio album… al quale Simone sta già lavorando.

    Un cammino in crescita

    In questo EP c’è dentro un mondo misterioso che spazia tra generi diversi che compongono il background di Simone. Ci sentiamo tutta l’influenza della dark wave, la dubstep delle origini, l’elettronica di ricerca nell’utilizzo dei frammenti sonori e degli effetti, e infine quel collante di IDM che rende l’ascolto interessante e mai scontato.

    La dinamica che abbiamo cercato di riportare rappresenta un passaggio verso la maturità per un artista che conosciamo bene e che stimiamo moltissimo e che abbiamo seguito sin dai suoi primi passi.

    Con questo lavoro Simone aggiunge un altro tassello fondamentale nel suo percorso individuale, in costante tensione verso un’architettura sonora che non ha eguali. L’introduzione di suoni più organici e l’uso chirurgico del rumore rendono questo il suo lavoro migliore finora. Un incredibile biglietto da visita, in attesa della prova su lunga distanza.


    Links:

    simonelalli.com

    Bandcamp


    Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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      Break the Wall

      Gab.Gato

      Il punto fermo sta nella collettività

      Nello stendere questa nuova intervista ci siamo lasciati andare alla riflessione su cosa sia per noi la collettività, o l’importanza per noi dell’essere collettivo. Alcune parole, concise tra l’altro, di Gab Gato, un grafico, un illustratore, un’artista e produttore discografico – fondatore di “The Villains Inc. Records” – devoto al sound detroit, electro e techno, un nerd di strada, ci hanno smosso da dentro..

      Montale diceva che “il punto fermo è un tutto nientificato“, che richiama per noi il concetto di qualcosa che prima era forte, era un “tutto” appunto ma che poi “è stato”, o da solo si è indebolito, appunto, un tutto che oggi ha perso il senso.

      E se fosse andata proprio così? ciò che spingeva infondo le persone ha far parte di una scena musicale, culturale, etc. piuttosto che un’altra era proprio un senso di collettività. Senso che oggi è andato perduto. È noi siamo tutti sassolini in una cronologia di ricerche impazzite. Siamo schegge di una realtà sempre più virtuale e sempre meno attuata. Parte di un tutto nientificato.

      Come abbiamo fatto nelle puntate precedenti anche oggi – mantenendo il parallelismo di oggi con Eugenio Montale – siamo alla ricerca di un “mastice che tenga insieme questi quattro sassi”, di un collante che ci aiuti a ricomporre il senso di collettività perduto nella club culture, che sapete essere per noi un qualcosa di più ampio e trasversale che trascende il singolo club o quella che in Italia tutti conosciamo come “discoteca”.

      Oggi vi presentiamo quindi un altro importante e prezioso tassello. Ringraziamo Gab Gato per il suo tempo e la sua disponibilità e vi lasciamo a questo nuovo capitolo di Break the Wall!

      Benvenuto Gab! Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito. Quale musica elettronica ti rappresenta?

      Come artista prevalentemente il sound di Detroit, soprattutto Electro e Techno.

      Quando è iniziato questo tuo amore?

      E’ iniziato a metà degli anni ’80 quando andavo a ballare agli afroraduni, nelle discoteche venete e romagnole, mentre si facevano spazio l’Electro Oldschool e la prima Elettronica … e poi ho conosciuto Detroit.

      Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

      A Milano è stata varia e vivace fino alla fine dei ’90, poi il nulla per quasi 10 anni. Poi una nuova generazione ha dato nuova energia che è durata fino all’inizio della pandemia.

      Quali sono le principali criticità?

      Il sistema è la criticità, per dirla come nel film Paz durante l’assemblea del collettivo: ”la Felicità è sovversiva quando si collettivizza!”

      Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

      Premesso che il problema è culturale nel senso più ampio del termine, si può solo continuare a fare le cose con passione, mettendoci impegno e serietà e aggiungerei onestà, cercando di lavorare con la gente giusta.

      E quali sono i pro (e i contro)?

      Pro: E’ molto più facile, rispetto al passato, fare serate di qualità e con grande varietà di artisti internazionali e non. Contro: In Italia capita ancora di avere a che fare con organizzazioni poco trasparenti e professionali, anche a causa di una visione bigotta e distorta del frequentatore della ‘Discoteca’, generalmente un ragazzino o un drogato o comunque un losco individuo …

      Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

      Solo il Networking.

      Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

      La prossima uscita sarà un EP di remix fatti da artisti che stimo parecchio, quindi mi sento onorato e fiero di produrlo!

      Grazie Gab per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di condividere presto una consolle insieme!

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      Dj Darius

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        Andrea Paolo Lisi Break the Wall

        Andrea Paolo Lisi

        Passioni allo stato puro

        Beh, ogni tanto dobbiamo anche rivolgere lo sguardo alla pancia per assecondarne le passioni. Per sviscerare frammenti di una cultura che si presenta come in continua evoluzione non possiamo dimenticarci del lato più fisico. Tuttavia, è difficile restare ancorati alle forti emozioni e non intraprendere voli per così dire “più mentali”.

        Oggi come funamboli ci sposteremo avanti e dietro, in bilico tra le passioni e le suggestioni di chi come Andrea Paolo Lisi ha vissuto diverse epoche della Club Culture, soprattutto a Roma.

        Andrea è da sempre un appassionato puro prestato al clubbing e allo studio della musica elettronica da una formazione di storico dell’arte (contemporanea). Membro dei collettivi Blue Room e Glucose per una decina d’anni sino al 2012 anche se il suo primo evento risale al ‘91 quando conobbe Andrea Benedetti con cui attualmente cura il podcast Audiodrome per lo spazio di approfondimento culturale Eretica dei Radicali. Mentre, con Andrea Benedetti abbiamo già avuto modo di parlare su Under-Blog per Factory Ask. Magari un confronto tra le prospettive dei due Andrea potrebbe essere interessante al termine di questa lettura.

        In ogni caso ringraziamo Andrea P. per il suo tempo e la sua disponbilità e vi lasciamo a questo nuovo capitolo di Break the Wall!

        Benvenuto! Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito. Quale musica elettronica ti rappresenta?

        Sicuramente sento congeniali gli umori del Synth-Pop primi anni ‘80 e la Techno Minimal, quella storica Mills-iana dal ‘93 a inizio 2000, non la M-nus per intenderci; amo anche la Deep Techno più recente e, in generale, purchè siano astratte, minimali e meno Happy Soul-full Ethno o melodiche, anche la Deep House, il Post-Dub, Bass e Elettronica Hi-Tech.

        Quando è iniziato questo tuo amore?

        Purtroppo (per l’anagrafe) ho visto Ultravox e Human League in concerto nei primi anni ‘80. E ricordo i miei 16 anni in vacanza, chiuso nella macchina di mia sorella che aveva un buon impianto, ad ascoltare Soft Cell, Gary Numan, New Order, Kraftwerk e Japan, insensibile ai 40° dell’abitacolo. E ci sono ovviamente rimasto sotto.

        Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

        Ci sono state epoche migliori. Credo che il ricambio generazionale non stia aiutando. I nuovi arrivati sono più interessati ad altri tipi di musica, più mainstream, oppure seguono stili di vita tipo birra e live, per esempio, o riunioni tra amici. Ci sono dei promoter che si danno da fare, sono pochi ma perseverano, quindi abbiamo comunque la possibilità di ascoltare quello che bolle in pentola. Però, ecco, forse a parte un paio di riferimenti storici e di crew collaudate, penso che la club culture ancora prima della pandemia fosse un po’ asfittica.

        Quali sono le principali criticità?

        Da sempre a Roma i problemi sono: la penuria di luoghi, non materiale intendo, di luoghi adatti ce ne sarebbero milioni, ma aperti ad una certa programmazione; la scarsa sensibilità dell’amministrazione; l’incapacità di fare sistema per cui la competizione, anche sleale, ha spesso aggiunto problemi a problemi. Qui sono stati i centri sociali protetti dalle amministrazioni di sinistra a permettere un vero e proprio fermento in passato, sino a 12 anni fa, circa. Per il resto, dalla prospettiva locale di clubbing propriamente detto non c’è rimasto molto, vuoi la crisi post 2008, vuoi l’involuzione politica, vuoi l’assenza di un determinato trascorso e quindi sensibilità da parte delle nuove generazioni, mettiamoci pure il cambiamento epocale tragicamente accelerato dalla pandemia.

        Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

        Dimenticare le mega adunate, i soldi facili, lo star system e tornare all’approccio underground e artigianale degli esordi. Bisogna ricostruire l’entusiasmo e il benessere di stare insieme e ascoltare buona musica ballando, e per farlo non basta essere bravi promoter e possedere un posto dove invitare qualcuno di noto a suonare. Bisogna avere un piano, un’idea di cosa si vuole trasmettere, costruirsi una scena e poi usare canali appropriati per far crescere il progetto, più a livello di senso e immagine che non di quantità indifferenziata di frequentatori. Da questo cambio di prospettiva possono arrivare anche le gratificazioni economiche che mancano all’evento in sé. Creare qualcosa più arty, di nicchia, identificabile e riconoscibile.

        E quali sono i pro (e i contro)?

        Che non è il caso di allentare la presa sullo stare insieme e ballare buona musica in un momento in cui rischiamo la deriva solipsistica delle persone, lo spaesamento per un futuro che si preannuncia molto duro. Mai come ora il ruolo sociale del clubbing deve essere mantenuto e curato nei suoi fondamenti positivi. Va pensato come contenitore di supporto e resistenza comunitaria evitando di fare gli errori del passato che, però, all’epoca ancora ce li potevamo permettere, oggi no.

        Grazie Andrea per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di ripartire presto e magari di vederci in qualche evento aperto ad uno dei cambiamenti tanti auspicati.

        Links

        Ascolta Audiodrome. Un progetto di Andrea Benedetti e Andrea Paolo Lisi che intende sondare le possibilità di una sintesi tra le musiche più significative della nostra epoca e i grandi temi sociali e culturali che l’hanno caratterizzata: la lotta per il riconoscimento civile, il paradigma tecnologico.


        Dj Darius

        Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

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          Kenobit Break the Wall

          Kenobit

          Break the Chip

          Per comprendere lo stato di salute della cultura club, quel coacervo di influenze, stili e visioni del mondo che stiamo ricostruendo intervista dopo intervista, non potevamo trascurare gli 8 bit, una delle più interessanti tendenze del momento.

          Se per gli amanti della musica 8 bit, già il titolo anticipa qualcosa. Per chi ci segue invece, potremmo dire che anche il recente pezzo sui risvolti artistici del videogame Cyber Punk 2077, oppure l’ultimo #BtW del 2020 con Pablito El Drito hanno una forte connessione con l’artista di oggi.

          Come in uno di quei giochi dove si uniscono i punti, con Fabio Bortolotti in arte Kenobit oggi portiamo in luce un passaggio importante, o meglio proviamo a risaltare una tendenza che osserviamo ormai da diversi anni.

          Un passaggio ormai visibile sia nella musica, che nel cinema e in altri comparti culturali.

          L’avanzare della creatività, delle innovazioni, ma sopratutto del suono associato ai videogames. Nel nostro caso con Kenobit, uno dei maggiori rappresentanti della chiptune e della cultura 8 bit in Italia, parliamo di Happy chipcore, techno & weird experimentations.

          Negli ultimi anni con il suo Gameboy si esibito in tutta Italia, in Europa e nel mondo, con spettacoli in Giappone, Sud Africa, Stati Uniti e Russia. Antonio Enrico Buonocore in un suo pezzo su milanocittastato.it lo descrive come un artista e un operatore culturale poliedrico.

          E’ stato redattore di diverse riviste di videogiochi di rilevo nazionale, compone musica ed è uno dei cofondatori e animatori di Kenobisboch Productions, una realtà che coniuga efficacemente cultura e videogiochi

          cit. Antonio Enrico Buonocore 13/01/2019
          Assisteremo forse in futuro alla rinascita dei club come delle macchine arcade a gettoni?

          Di sicuro la sua tendenza al DIY ci suggerisce, in una sorta di parallelismo con il movimento e la cultura punk, che oggi per fare musica non hai neanche bisogno di uno strumento. Passione, creatività, libertà e attitudine ad andare avanti inseguendo i propri demoni sono forse gli ingredienti principali. Ma c’è molto di più, a partire dall’idea del recupero creativo della tecnologia ormai obsolescente che trasforma l’arte del retrogaming in nuovi medium per comunicare ed esprimersi verso l’ampio pubblico con la musica.

          Come nel caso della musica concreta, dell’elettroacustica, del noise etc., quindi attorno a matrici di sperimentazione, o perlomeno alla cultura del DIY associata a tale campo, artisti fortemente radicati sul territorio danno vita e sviluppano vere e proprie scene underground.

          Fabio, una persona tanto eclettica quanto squisita, che ricordiamo con affetto quando è venuto a suonare qui a Pisa molti anni fa per il nostro PUM Factory Festival grazie agli amici di Radiocicletta è anche l’organizzatore di Milano Chiptune Underground, uno dei più grandi party lo-fi a livello italiano. In questi mesi di impossibilità di realizzare eventi dal vivo, è stato molto attivo online in streaming continuando a lottare per mantenere vivo questo spaccato di contro cultura contemporanea.

          Lo ringraziamo ancora infinitamente per averci dedicato il suo tempo e vi lasciamo di seguito alle sue parole per Break the Wall.

          Ciao Fabio, benvenuto! Ho letto che “Kenobit” è un raffinatissimo gioco di parole: (Obi Wan) Kenobi + Bit., nato in un pomeriggio del 2009 quando cercavi un nome d’arte la tua prima traccia realizzata con un Game Boy. In un intervista ho letto che sono stati “i tre minuti di onde quadre a 190 BPM più importanti”, e immagino che ti hanno letteralmente cambiato la vita. Tuttavia mi aspetto che qualcosa bolliva in pentola già da prima. Quindi da buon curioso, inizierei chiedendoti qual’è il tuo percorso?

          Sono Fabio Bortolotti, in arte Kenobit. Sono nato musicalmente come batterista punk e hardcore. Dopo un’adolescenza passata tra salette, concerti e autoproduzioni, mi sono imbattuto nella scena della micromusic e ho iniziato a suonare il mio Game Boy. Negli ultimi anni, oltre a suonare in giro per il mondo, ho organizzato concerti con arottenbit, con il quale ho dato vita a Milano Chiptune Underground e a Cyberspazi (progetto di musica e realtà virtuale che ha coinvolto anche Eyefish e Napo dei Uochi Toki).

          Quando e come sei entrato in contatto con questo nuovo mondo?

          È stata una felice serie di coincidenze. Avevo appena iniziato a sperimentare con i suoni a 8 bit, prima ancora di usare il Game Boy, con qualche VST su PC. Caricai uno dei primi esperimenti su 8bitcollective, un sito ormai defunto dove artistə da tutto il mondo caricavano i loro brani e commentavano quelli altrui. Nel giro di pochissimo fui riconosciuto come italiano da Arottenbit, già attivissimo con il Game Boy. Caso volle che il giorno dopo avesse un concerto in un piccolo ARCI dietro casa mia. Conobbi lui, Tonylight e Pablito el Drito, e soprattutto vidi per la prima volta l’impatto di un Game Boy dal vivo. Volevo fare quella roba anch’io. Dovevo farlo.

          Gli amici di quella sera furono vitali per muovere i primi passi. Pablito e Tony iniziarono a invitarmi a suonare ai concerti che organizzavano, mentre Arottenbit mi fece entrare nel circuito più esteso dell’underground, invitandomi sul palco con lui. Fu un aiuto prezioso, perché ai tempi non avevo abbastanza musica per reggere un set da solo e soprattutto perché mi mise addosso una grande voglia di scrivere musica. C’era la fotta, ecco.

          Quale musica elettronica ti rappresenta?

          Sinceramente non so cosa mi rappresenti, perché il grosso contenitore elettronico nel quale vengo normalmente inserito, la “chiptune”, è un termine vago, spesso privo di alcuni dei dettagli che più trovo importanti nella musica, a livello estetico e politico. Per questo, se proprio devo scegliere un nome, mi piace rifarmi alla “micromusic”, la corrente senza regole nata in seno a Micromusic.net, il sito che ha dato il via alla valanga a 8 bit che ha poi dato vita a svariate mode, più o meno underground. Il motto è: “Low tech music for high tech people.” Detto questo, amo fare musica con un Game Boy proprio perché è tangente a più mondi: capita di suonare in chiusura a una serata punk, a un rave, a una serata techno, a una serata chiptune. È bello vagabondare nell’underground.

          Quando è iniziato questo amore per la musica 8 bit?

          Il mio amore per le onde quadre nasce in tenerissima età, con Space Harrier e un Sega Master System. C’era qualcosa, in quelle note così ruvide, che ha lasciato un’impronta indelebile sul mio cervello. Non ho mai smesso di ascoltare la musica dei videogiochi, anche da sola, in purezza. C’è ovviamente un’enorme differenza tra la VGM e la mia musica, ma il colpo di fulmine arriva da lì.

          Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

          Prima della pandemia, Milano era una città molto fortunata. C’era un ecosistema molto sano di locali, arci e squat, per il quale c’era sempre qualcosa di interessante da vedere o sentire, anche durante la settimana. C’era sempre una scusa per svegliarsi con il mal di testa il giorno dopo, insomma. Mi auguro che alla fine del casino ripartirà e ritroverà i suoi ritmi, anche se sarà una battaglia in salita. Quello che so è che, come musicista, farò tutto il possibile per supportare gli spazi che fanno musica. Sono importanti non solo per la musica, ma anche per l’aggregazione. È ai concerti che ho trovato i miei simili.

          Quali sono le principali criticità?

          Milano è una città ricca di contraddizioni e ineguaglianze, e più ci si allontana dalla dimensione DIY, più i nodi vengono al pettine. C’è anche una dimensione parallela all’underground, fatta di locali costosissimi, quelli dove prenoti tavolo e boccia di champagne, dove la musica passa completamente in secondo piano e diventa un banale ingranaggio del guadagno. Detto questo, la criticità del momento è che i locali stanno chiudendo e che ripartire diventa ogni giorno più difficile. Spero che, quando sarà tutto finito, la gente muoverà il culo e non darà per scontata la musica dal vivo.

          Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

          Mi rendo conto che sono un disco rotto, ma l’etica dell’autoproduzione e del DIY sono l’antidoto a molti dei problemi che abbiamo. Andare agli eventi, supportare gli eventi, organizzare eventi. Conoscere persone che vanno agli eventi e organizzano altri eventi, incontrare persone che suonano, incontrare persone che vogliono iniziare a suonare, organizzare workshop, diffondere il sapere, darsi una mano. Erano cose che servivano prima e che in futuro serviranno ancora di più. Altrimenti lasceremo il mondo della notte solo a chi ha in banca i soldi di papà.

          Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

          Oggi si possono fare delle cose incredibili con un budget molto ridotto. Nonostante ci sia un grande fetish per l’hardware, spesso con derive estreme, come quella dei modulari, qualunque ragazzinə può iniziare a produrre tracce con due spiccioli, o anche gratis. Inoltre, tra YouTube e tutorial online, molto del sapere che un tempo veniva tramandato oralmente è a portata di clic. Questa democratizzazione degli strumenti, per contro, rende più difficile farsi notare, ma penso sempre che un mondo con più musica è migliore di uno con meno musica.

          Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo album?

          Ho fatto uscire un disco dedicato alle vecchie sigle, scritto a quattro mani con il mio socio Bisboch. Ne vado fiero, ma per il momento mi sembra un disco “incompiuto”. Tutti i pezzi che scrivo nascono con in mente i concerti dal vivo e, per ovvi motivi, di occasioni per suonarlo in mezzo alla gente ne ho avute poche. È andata così, me ne faccio una ragione. Mi fa strano, perché ho più voglia di scrivere il disco nuovo, cosa che sto facendo, che di suonare quello vecchio. Forse per voltare pagina? Dai, sì. Ce n’è bisogno.

          Cosa pensi che possa fare lo streaming per la musica e la cultura? Quale suggerimento daresti alle associazioni come la nostra che tentano di salvaguardare questi aspetti della vita, che al momento sono particolarmente messi a dura prova dall’emergenza COVID?

          Penso che lo streaming sia uno strumento molto potente e che, nonostante le apparenze, ci siano grandi occasioni e opportunità per chiunque voglia fare musica e cultura. Ho alcuni consigli sparsi:

          1) Non inseguire i numeri. Twitch e le piattaforme di streaming, per loro natura, tendono a mettere i numeri in primo piano, ma quando si fa cultura è più importante avere un pubblico fedele e attento che un numero di spettatori alto. La qualità premia. Lentamente, ma premia.

          2) Fare community: lo streaming ha enormi potenzialità, ma solo se affiancato a comunità che partecipano alla vita del canale e che la sostengono. Per avere un progetto autosufficiente, non servono decine di migliaia di fan (anche se aiutano): una community affiatata può fare miracoli.

          3) Non sempre i concerti funzionano. Sono felice e grato per tutti gli eventi online che ho visto (e che ho organizzato), ma non penso che siano la risposta, perché sono comunque una forma di esibizione alla quale manca una componente fondamentale. Abbiamo tutti voglia e bisogno di musica, ma penso che sia necessario sfruttare i pregi delle piattaforme in streaming. Credo che sia più potente una chiacchierata con un artista, abbinata magari a una piccola performance informale. Twitch permette di avere una dimensione intima e domestica che nessun palco può dare, quindi credo che eventi piccoli e informali possano essere il modo ideale per aspettare la riapertura delle gabbie. E per alimentare quella che, mi auguro, sarà un’esplosione di voglia di andare a sentire musica dal vivo.

          Grazie Fabio per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di ripartire presto e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live!

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          Bandcamp


          Dj Darius

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            Cyberpunk 2077 Art novels and stories

            #ARTNS001

            L’arte nella cultura Cyberpunk

            Oggi si sente spesso la parola “Cyberpunk” o meglio “Cyberpunk 2077”. Beh semplice, si tratta di uno dei videogiochi più gettonati di questo periodo, diventato famoso per il suo lunghissimo periodo di incubazione, per aver avuto un’enorme contributo da parte di svariati artisti e sopratutto “Johnny Silverhand” interpretato da Keanu Reeves.

            Ammetto di essere stato uno di quei FAN che attendeva la sua uscita, e ne sono fiero… Ancora oggi, mi ricordo quell’ambiguo e promettente primo trailer ufficiale che fu rilasciato nel 2013.

            Attenzione!. Questo non sarà il classico articolo dove parleremo di quanto sia figo il gioco, o di quali problemi riscontriamo nel giocarlo su determinate console.

            Anche se di norma non trattiamo contenuti video-ludici, abbiamo deciso di approfondire questo gioco. Perché per noi rappresenta un esempio appropriato di opera d’arte contemporanea, complessa, profonda e interessante.

            Ad esempio, Night City è una città futuristica, che ricorda molto i racconti di William Gibson e le ambientazioni di Blade Runner. Il primo elmento di discussione è quindi la sua matrice legata alla letteratura Cyberpunk.

            Night City. Copyright Devilsgames.it
            Cyberpunk come genere letterario, movimento artistico e filosofico, le sue origini…

            Come movimento letterario nasce nella seconda metà degli anni ‘80. Il termine fu originariamente coniato da Bruce Bethke come titolo per il suo racconto “Cyberpunk“ che fu pubblicato nel 1983, nonostante lo stile fosse già popolare prima di questa pubblicazione.

            Cyberpunk by B. Bethke. Copyright Wikipedia

            Tra gli esponenti più noti vengono comunemente indicati William Gibson, Bruce Sterling ed il precursore del genere, Philip K. Dick. Il genere può essere riassunto con la classica citazione “High Tech – Low Life“, dove il fulcro delle argomentazioni è un futuro distopico, pervaso dalla tecnologia che è avanzatissima e alla portata di tutti. Tecnologia che rende l’umanità schiava del consumismo, della dittatura capitalista, delle corporazioni (multinazionali), della progressiva perdita di empatia ed umanità verso gli altri. Un futuro prossimo, basato sulla totale assuefazione al profitto, al denaro, all’edonismo effimero e istantaneo, alle droghe sintetiche, ed in generale al modo di pensare del “io per primo”

            Un mondo governato dal potere, dal denaro e dalla Tecnocrazia. Un mondo dove la maggior parte dell’umanità vive in un quotidiano stato di sopravvivenza, dove in torno a essa non rimane altro che un mondo corrotto, schiavo delle organizzazioni criminali e delle multinazionali; dove ormai la politica ed i governi non sono in grado più di mantenere l’ordine pubblico, e si piegano ai voleri delle già citate corporazioni, il tutto condito da una forte connotazione politica e sociale.

            Se tutto questo vi suona familiare, possiamo solo dirvi che in molti hanno visto nel movimento Cyberpunk un anticipatore dei tempi. Sterling ha definito a posteriori il Cyberpunk come il sovrapporsi del regno dell’High-Tech e con quello il moderno Pop Underground.

            High-Tech. Copyright CIIE

            Il cyberpunk tratta di scienze avanzate, come l’information technology e la cibernetica, accoppiate con un certo grado di ribellione o cambiamento radicale nell’ordine sociale (Wikipedia).

            I maggiori temi indagati dalla letteratura Cyberpunk sono: il rapporto del singolo e la sua personale percezione degli spazi virtuali e condivisi. Spazi che cessano di essere virtuali ed astratti ed il “il rapporto che e merge tra l’essere umano e la tecnologia, che tende ad esprimersi prioritariamente nel rapporto con il corpo umano, mostruoso o, in modo aggiornato, cyborg”, innesti artificiali (software e hardware) per potenziare/alterare le caratteristiche fisiche o cerebrali dell’essere umano.

            Sul finire degli anni ’80 ed i primi anni ’90, l’industria cinematografica si innamora delle atmosfere torbide dei romanzi. Vengono alla luce colossi come Blade Runner, Robocop e la saga di Mad Max, 1997: Fuga da New York. Ma anche Matrix che concluderà la trilogia nella prima metà dei 2000. Terminator in tutte le sue forme. Gli anime come Ghost In The Shell, Akira del 1988, Bubblegum Crisis e come non citare Tron, Nirvana (film di produzione Italiana del 1997 del regista G. Salvatores, e con parte dell’OST suonata dal nostro amico Dome La Muerte) e Johnny Mnemonic!

            Whatever It Is – Now – Mauro Pagani feat. Raiz (Nirvana OST)

            Ma la cultura del cyberpunk si è sviluppata anche intorno a un’altro grande film, Alien. Fu prodotto alla fine degli anni ’70, un’opera che ancora ora riecheggia e non stanca mai di spaventare il pubblico. Un film che si compone di un’antologia che riporta sul grande schermo ancora oggi immagini quasi immortali di H.R. Giger (pittore, designer e scultore di origini Svizzere). Collaborò anche per la realizzazione del lungometraggio di David Lynch, basato sull’omonimo romanzo di Frank Herbert, Dune. Giger a suo modo possiamo dire che è un precursore della cultura cyberpunk. Legato molto di più a una cultura surrealista, simbolica, più interessato a rappresentare immagini di mostri “biomeccanoidi”, creature futuristiche, in cui il metallo si fonde con la carne in corpi e figure complesse.

            Alien the Movie, CiackClub
            Ma effettivamente da dove deriva il videogame che stiamo trattando in questo articolo?

            Tutto nasce nel 1988 negli USA, dalla mente di Mike Pondsmith su editrice R. Talsorian Games con la pubblicazione della prima edizione del famoso gioco di ruolo da tavolo.

            La prima versione del ’88 si chiamava semplicemente “Cyberpunk” ed era ambientata nel 2013. Tuttavia è con Cyberpunk 2020 che questo GDR fa il giro del mondo. Rimarrà nella storia, e continuerà a scriverla con l’ultima edizione, chiamata Cyberpunk Red, uscita il 14 novembre scorso in formato digitale (in lingua inglese) e seguita dalla versione fisica cartacea il 19 novembre 2020.

            Attualmente il gioco si può giocare anche on line, usufruendo di tavoli virtuali come roll20.net o foundryvtt.com. Tuttavia, come per altri giochi di ruolo, lo scopo è quello di far incontrare le persone dal vivo per giocare con carta, penna, ed i classici dadi a 6 e più facce! Il gioco della R. Talsorian Games, riprende le atmosfere dei romanzi e film sopra citati ed enfatizza gli aspetti brutali del genere, l’estremo ed il grottesco di queste ambientazioni.

            Copyright R. Talsorian Games

            Tornando al mondo videlo-ludico, la storia di Cyberpunk 2077 ha 3 prologhi. Questi segnalano il tipo di campagna da percorrere, dandoci dei vantaggi o svantaggi nei dialoghi per proseguire nella narrazione. Detto ciò non voglio dilungarmi troppo sul gioco, poiché se siete degli appassionati ne avrete letto molto a riguardo sul web, quindi mi sposto sui contenuti creativi che risiedono nella campagna pubblicitaria e nel progetto del gioco.

            Cyberpunk 2077 è sviluppato da CD Project RED (software house polacca fondata nel 1994). Il team di sviluppo è gestito dall’Art Director Kasia Redesiuk, sostituta di Sebastian Stepien perchè passato a Blizzard. Lui lo ricordiamo per aver coordinato i progetti della saga di “The Witcher”, titolo che ha dato grande visibilità alla software house polacca).

            Cyberpunk 2077. Foto Device

            Partiamo dalla colonna sonora: Beh, che dire, ci sono nomi importantissimi come “Run the Jewels”, “Refused”, “Richard Devine”, “ASAP Rocky”, “Nina Kraviz” e molti altri ancora, che tutti insieme hanno collaborato ed elaborato una colonna sonora, lasciatemi il permesso di dirlo, veramente arrogante, aggressiva e spietata, ma anche dinamica, variegata e complessa… già la colonna sonora fa capire molto del tipo di ambiente ricreato nel videogioco. Ho avuto la fortuna di acquistare una copia del titolo in versione PC (DAYONE) tramite un famoso rivenditore del settore, che in “omaggio” rilasciavano una copia di un fumetto formato tascabile con copertina rigida dal titolo “Cyberpunk 2077: Your Voice”… scritto da Aleksandra Motyka e Marcin Blacha e illustrato dall’artista Danijel Zezelj.

            Cyberpunk 2077. Foto Device

            Devo dire che ne sono rimasto particolarmente sorpreso, per chi non lo sapesse Danijel Zezelj è un bravissimo artista, che ha lavorato per varie case produttrici portando il suo contributo a titoli come: Superman, Hellblazer, Sandman e Luna Park. Durante il “lockdown” nel periodo di marzo ho avuto l’opportunità di collaborare con Danijel producendoli un’OST tutta per lui, per un progetto di live-painting tramite il nostro canale web. Danijel non lo conosco di persona, ma ho apprezzato molto il suo lavoro (sia della diretta streaming, sia di varii fumetti come quello di Cyberpunk 2077).

            Copyright PUM Factory & Danijel Zezelj. OST by Lorenzo Puccini aka DEVICE

            La sua tecnica è straordinaria, il suo tratto è unico, si capisce anche dal video realizzato di live-painting che potete trovare su Youtube, gioca molto sul chiaro scuro e le sue pennellate sono decise e rapide. Penso di poter dire che sia uno degli artisti viventi più bravi che io conosca.

            Detto questo vorrei esprimere un mio giudizio riguardo al grosso accanimento che c’è stato fatto su questo argomento. Questa è arte, molto spesso l’arte è avanti, troppo avanti per essere compresa nel presente. Grandi esempi di tale affermazione possono essere artisti come Van Gogh, Bach, Lovecraft, solo per citarne alcuni. Non capisco come si possa passare dalla delusione (che ci si può aspettare da un pubblico di qualsiasi età) a una rabbia smisurata (arrivando anche a minacciare di morte sviluppatori del gioco Cyberpunk). Forse stiamo percorrendo questo tragitto e tra qualche anno (nel 2045) scoppieranno le guerre tra le varie Corporazioni, e l’unica cosa che sopravvivrà sarà la nostra dis-umanità, ricoperti di circuiti e privi di rimorsi. Grazie per la lettura… un saluto dai vostri smanettoni preferiti Darius & DVC.


            DEVICE

            Edited by Lorenzo Puccini & Dario Filidei. Fondatori del PUM, due amici, entrambi appassionati di dischi e videogames.

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              pablito el drito Break the Wall

              Pablito el Drito

              Spingere la scena locale, incoraggiare la multidisciplinareità e includere le fasce sociali più deboli

              Oggi abbiamo avuto l’opportunità di conversare con un artista cresciuto nella scena Underground milanese. Signori e signore, diamo un caloroso benvenuto a Pablito El Drito su #BtW.

              Pablito El Drito “Low Tech Division” released in Creative Commons

              Come di rito, vi lasciamo al botta e risposta con Pablito e alle sue riflessioni, che costituiscono dei validi spunti per questo nuvo episodio di Break the Wall e la nostra ricerca a livello Europeo.

              Carissimo Pablito, benvenuto su Break the Wall! parlaci brevemente di te? Qual è il tuo percorso?

              Sono un dj e musicista elettronico, ma anche uno scrittore. Sono nato a metà degli anni settanta, e avevo vent’anni quando è esplosa la musica elettronica. Dapprima l’ho considerata con sospetto, per poi abbracciarla, dapprima come dj, poi anche in un discorso live.

              Quale musica elettronica ti rappresenta?

              Mi piacciono moltissime cose. Dai pionieri (Kraftwerk, Moroder, Wendy Carlos) agli innovatori (Aphex Twin, Orb, KLF in primis), la musica wave elettronica (Borghesia, Clock DVA, Front Line Assembly).

              Per quanto riguarda la techno, e i dj set che suono, amo la scena detroitiana e il suon electro, ma anche il suono di Roma e Francoforte. Mi piace anche la dance fatta bene (Prodigy, Propellerheads, Fatboy Slim, Daft Punk).

              Difficilmente ascolto cose nuove, resto legato a un discorso anni ottanta-novanta-duemila, lo stagno in cui sono cresciuto e in cui sguazzo.

              Quando è iniziato questo amore?

              A vent’anni, quando facevo il fonico in uno spazio sociale. Selezionavo musica alla fine dei concerti e mi sono appassionato prima al dub elettronico, poi alla ambient house e infine alla techno. Al tempo mi appassionava anche molto il suono alla Leftfield.

              Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

              Nei club vado principalmente a lavorare o in occasione di incontri più culturali. Diciamo che rispetto al pubblico sono quasi sempre dall’altra parte della barricata, in consolle.

              Ho una visione parziale, non da spettatore comune. Diciamo che preferisco la small room (magari posti da cento- duecento persone) che la big room (troppo dispersiva e che richiede troppi compromessi per essere riempita). Nei dj set amo fare cose lunghe anche 4-5 ore, in cui riesco a esprimermi al meglio.

              Quali sono le principali criticità?

              Le location negli anni sono diminuite di numero. Poi le principali sono in mano ad agenzie che monopolizzano l’offerta. I dj italiani della mia generazione lavorano e vivono quasi tutti all’estero per questo motivo. Non ci sono quasi più i resident, quando invece queste figure nel passato hanno dato carattere e connotazione alle scene.

              Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

              Variare la programmazione, spingendo anche le scene locali. Portare cultura, creando percorsi che siano anche multidisciplinari, che incrocino musica, danza, grafica, letteratura, video. Abbassare i prezzi che rendono i club inaccessibili alle fasce sociali più deboli. Creare percorsi di riduzione del danno.

              Quali sono le sensazioni che caratterizzano “Low Tech Division” il tuo ultimo album?

              È una raccolta di brani che ho suonato negli ultimi due anni in giro per l’Italia ma che, per una ragione o per l’altra non avevo pubblicato. È un lavoro scritto e suonato solo con un gameboy. Le tracce riprendono un certo tipo di suono a cavallo tra italo disco, electro, bass music e techno anche abbastanza dura.

              Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live, magari nell’ambito del nuovo format che suona come un gioco di parole Club Cultura presenta “La Cultura del Club”

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              Bio Info

              After having organized concerts, set up stages and worked as a sound technician in the underground scene in Milan in the early nineties, I started being interested in electronic music as a dj first (since 1996) and then as a live setter (since 2003).

              I worked in art galleries and festivals in Italy Germany and France: MiArt, Tacheles, Museo di Fotografia Contemporanea, 6b, le Cyclop, Fondazione Pistoletto, Milano Film Festival, Torino Synth Meeting, Teatro Out Off, MamBo, XNL, Attenzione Frequenze Anomale, By this river.

              I published 7 LP: BIT BUBBLES, BACKROOM INDUSTRY, SMOGVILLE, LITTLE COMPUTER DISCO, NERDCORE, KLEPTOCRACY, LOW TECH DIVISION.

              Lately I played with Cdatakill (US), V-Atak crew (FR), 8GB (AR), Hekate (UK), Otolab (IT), Bubblyfish (US), Anna Bolena (DE), B.S.K. (JP), Fire at work (IT), Drama Nui (DE), Zu (IT), Ovo (IT), Vessel (IT), D’Arcangelo (IT), Shitmat (UK),  Nemeton (US), Seppuku (US), Kleopatra J (UK), Luke Vibert (UK), Chistoph Fringeli (DE), Mat64 (IT), Aonami (JP), Freddy K (IT), Matt Green (UK), Dave Monolith (UK), Jiku55 (JP), DjBalli (IT), Francesco Zappalà (IT), Okapi (IT), Uochi toki (IT), Eell Shous (IT), Ben Pest (UK), The Squire Of Gothos (UK), NNNNNNNNNN (JP), Toriena (JP), Deda (ITA), DØGM (FR), Cymba (UK), Stu (CH) , Kodek (LI), Sour (IT), Boaconstructor (US), Dot.AY (AU). I’m founder of Rexistenz records (www.rexistenz.org). I write music reviews for MilanoX (www.milanox.eu) and Frequencies (www.frequencies.it). 


              Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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                Break the Wall

                NicoNote

                Ridisegnare la Club Culture a partire dal suono e
                dalla dimensione dell’ascolto

                In attesa di un piccolo e piacevole rialzo delle temperature, abbiamo pensato di scaldarvi con la personalità di un’artista trasversale, abituata a muoversi fluida tra teatro e clubbing, in lungo e largo per il globo.

                Conosciamo uno spaccato di Club Culture oggi con le impressioni e le riflessioni di Nicoletta Magalotti in arte “NicoNote”. Una persona molto disponibile e gentile, “Riminese D.O.C.”. Un’anima nobile e visionaria che abbiamo avuto l’onore e la possibilità di intervistare per la nostra rubrica “Break The Wall” grazie al grande lavoro di DJ Darius.

                Dal 2019 insieme a Pierfrancesco Pacoda ha creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo “Tenera è la Notte”, una persona quindi che è dentro molte delle questioni che ci piacerebbe mettere in luce con #BtW.

                Copyright NicoNote, ph. Chiara Maretti

                Diamo un caloroso benvenuto a Nicoletta e lasciamo al piacere della scoperta lo sviluppo delle argomentazioni e delle idee che nascono da questo nuovo confronto per Break the Wall.

                Carissima NicoNote, benvenuta su Break the Wall, parlaci brevemente di te? Qual è il tuo percorso?

                Mi chiamo Nicoletta Magalotti (1962) sono italo/austriaca con base nella felliniana Rimini.

                Sono un’ artista trasversale, agisco nei territori di musica, teatro, clubbing, installazioni, performance dedicandomi alle mie produzioni artistiche e a curatele.

                Nel 1996 ho creato la sigla NicoNote.

                Telegraficamente, il mio percorso va dalla new wave italiana con i Violet Eves al teatro di Romeo Castellucci passando per il Morphine nel Cocoricò, tour musicali e teatrali in Europa, Canada, Israele, Argentina, Brasile con discografia dal 1985 fino ad oggi con Chaos Variation V (Rizosfera/RoughTrade) del 2019, progetto tra filosofia ed elettronica.

                Viaggio liquida in generi, formati e campi di applicazione anche distanti. Mi interessa assecondare la mia unicità, favorire l’ibridazione, connettere mondi che non si parlano, mettere insieme il fuoco e la neve, creare emozioni.

                Quale musica elettronica ti rappresenta?

                Fuggo da ogni definizione.

                Rispondo con i primi due artisti a cui ho pensato mentre leggevo la domanda (ma potrei citarne altri 100), uno è l’universo di Robert Ashley con Private Parts, che è un disco che mi porto dietro dalla adolescenza. Fields recording, minimale, sovrapposizioni ambient, noise, concettuale e poetronica, e l’altro è Sun Ra direi opera Omnia. Sono una fan irriducibile del suo immaginario sonoro, visionario, futuro remoto ancestrale galattico. Ecco i miei fari da molte decadi.

                Quando è iniziato questo amore?

                Entrambi amori sonici gravidi di ispirazione visionaria. Li ho “incontrati” entrambi nell’adolescenza. Capitai a un concerto di Alvin Curran e nel banchetto del mech trovai il cofanetto della Lovely Music. Label di New York , 4 dischi con tracce da Blue Gene Tyranny a Maggi Payne e Robert Ashley appunto.

                Folgorazione.

                Da lì in poi apprezzai moltissimo Brian Eno con Music for airport e The Plateaux for mirror con Harold Budd, poi Laurie Anderson, e poi sempre perché N. Y. venne la scoperta John Cage, Berio…

                NicoNote

                Invece Sun Ra, mi incuriosì perché vidi i manifesti di un suo concerto per strada, si esibiva a Ravenna… e per fortuna cercai di ascoltare i dischi di quella figura così particolare.

                Era il 1978 circa, la rete era ancora solo una fantasia distopica. I dischi costavano parecchio, inoltre non era facile trovarli, sopratutto se così particolari, andavano ordinati e comunque senza la certezza di riceverli in tempi brevi.

                Per fortuna c’era il mio amico Konrad Wallinger che aveva tutti i dischi dell’universo.

                Un universo per me assai prezioso. Trascorrevo l’estate in Austria, a Ebensee dove ora c’è un centro culturale il KINO luogo di cinema e concerti, fondato proprio dalla mia balotta , beh Kornrad mi face ascoltare tutto e di più. E a ruota dopo Robert Ashley e Sun Ra … arrivarono i Can, i Gong e lentamente arriviamo agli 80 ai concerti di Siouxsie, Tuxedomoon, Clock Dva, Suicide… e tanto altro.

                Fascinazione del suono elettronico e della ricerca jazz futurtronika e poi amore per i suoni no wawe, concept, noise.

                Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre? Quali sono le principali criticità?

                In questo momento in Riviera esistono episodi interessanti nell’area Ravennate con HanaBi e Bronson produzioni e anche con Club Adriatico. Ci sono anche alcune soirèè underground secret .

                Per quanto riguarda i locali mi sembra che ciò che esiste, sia legato a un pensiero stereotipato del club, non di ricerca dello spazio sonoro e della condivisione liquida.

                Criticità rimangono gli alti costi di gestione di eventi e strutture.

                Quindi la difficoltà di organizzare situazioni spontanee da un lato e dall’altro la necessità di agire in regola con le normative del lavoro, e della sicurezza.

                Ecco questo sarebbe un obiettivo importante da perseguire insieme all’ evoluzione artistica. Un settore il clubbing, la musica, lo spettacolo che è fonte di reddito per molti, ha anche un indotto interessante ma che non è regolamentato pienamente.

                Questo vuoto rischia di essere una arma a doppio taglio, soprattutto in momenti di crisi sistemica come questo.

                Personalmente rispetto al Clubbing oggi mi interessa osservare “da fuori” ed eventualmente fruirne o interagire come artista.

                Copyright DOC Live, NicoNote

                Nel 2019 insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda abbiamo creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo Tenera è la Notte dedicato a Dino D’Arcangelo e alla rubrica che teneva su La Repubblica, forse il primo giornalista ad occuparsi di clubbing in forma strutturata su un giornale mainstream.

                A lui è intitolato anche il Premio Dino D’Arcangelo, alla sua seconda edizione, la cui giuria è composta da Ernesto Assante (La Repubblica), Francesco Costantini (La Gazzetta del Mezzogiorno), Simona Faraone (Dj/producer), Nicoletta Magalotti (musicista), Pierfrancesco Pacoda (giornalista), Principe Maurice (performer), Pierluigi Pierucci (imprenditore), Claudio Coccoluto (dj), Damir Ivic (giornalista).

                In marzo 2020 è uscito un libro curato da me e Pierfrancesco Pacoda che raccoglie articoli di Dino D’Arcangelo – lo presenteremo ufficialmente a Milano durante la MMW a novembre 2020.

                Si tratta di una raccolta di articoli scritti da Dino d’Arcangelo per il quotidiano La Repubblica e per il supplemento Musica.

                Reportage, recensioni, presentazioni di avvenimenti che hanno raccontato per la prima volta il risvolto culturale dell’universo dei club italiani su un giornale non specializzato. Dalla scena rave romana alle discoteche della riviera romagnola, dai dj superstar ai remix underground: nel libro si avvicendano i protagonisti di quella ribellione sonora (e non soltanto) che solo molti anni dopo sarebbe diventata fenomeno di consumo.

                Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture? E quali sono i pro (e i contro)?

                In questo momento di sospensione è proprio il momento di ridiseganre e riformulare nuove possibilità direi proprio a partire dal suono e
                dalla dimensione dell’ascolto come esperienza personale e multisensoriale.

                Mi interessano le vie di fuga, le propoagazioni che la club culture ha prodotto.

                Le installazioni, le performance, ripensare agli spazi. Il suono ci può trasportare in un universo ibrido in cui l’immaginazione trova connivenze ed espansioni, l’ascolto, nello spazio condiviso, nello spazio solitario. Si può danzare nella mente. Si può danzare sul posto. Non servono (non ci sono!) grandi spazi, eppure il suono apre a spazi infiniti. il mondo del club sta cambiando e si sta domandando verso cosa, e dove.

                Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

                Oggi è evidente l’estrema facilità con cui poter produrre distribuire e creare, sia con l’utilizzo di software e programmi, e spargere in rete
                soprattutto per chi fa generi come me non commerciali.

                Anche dal vivo, a parte il momento covid, il ventaglio delle strutture che ospitano è molto vasta. Una maggiore attenzione e ascolti per tutti. Anche con mezzi minimi. Il comparto si e evoluto per certi versi.

                Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

                Chaos variation, un Ep che ho realizzato su invito del collettivo Obsolete Capitalism e degli editori deleuziani Rizosfera di Reggio Emilia,
                già cospiratori e autori del Maffia club. Un progetto di sperimentazione totale. Sono moltoo soddisfatta.

                Il progetto è avvincente, e anche il dialogo con gli editori Rizosfera, collettivo assolutamente fuori dai sistemi del mercato ma con produzioni dalla qualità altissima, distribuiti da Rough Trade a Londra. Con Rizosfera continuiamo la collaborazione e a breve annuncerò Limbo Session – 1 , un album, una creazione improvvisativa in cui ho invitato a cocreare con me il producer Wang Inc. . Uscirà a fine 2020 inizio 2021.

                Il progetto artistico Chaos Variations appartiene alla «Trilogia del Caos» che Obsolete Capitalism propone a partire dall’album-libro Chaossive natura (2017) come prima stazione intensiva. Mi è stato chiesto di creare una VARIAZIONE , non un remix, a partire dagli elementi , dagli stems di due brani a mia. scelta. Molto intrigante.

                Condivido con voi le mie note di lavoro su questo EP:

                Side A – Axtral Requiem – Variazione da titolo di partenza: Afro Abstractions/Xamaycan Funeral March.

                Per Axtral Requiem ho lavorato sul frammento e l’accumulazione, casualità, sovrapposizione, accelerazione. Una Temporary Autonomous Zone in cui l’ascolto è esperienza transitiva, cambia e mi cambia a seconda del momento e del soggetto.

                Il brano è stato trattato come un paesaggio sonoro con veri e propri frames/quadri che si trasformano lentamente, o per cut, e si stabilizzano, evolvono, vivono.

                Ogni quadro vive di vita propria, evoca mondi differenti anche molto distanti uno dall’altro. Eppure parte di un unicum, parte dello stesso racconto.

                La voce è stata sintetizzata, processata, trattata. Il testo affiora, è un disegno vocale “nascosto” emerge lentamente da un presagio atavico, ancestrale, oscuro, noise.

                Mondo siderale e vulcanico, dalle viscere della terra o da un altrove lontanissimo, cupo, minimale. Ed ecco un Requiem, come inno a chiusura di un ciclo vitale. Contemporaneo ma con una astrazione tribale, dark scura. Una premonizione voodoo. Magia tribale e sintetica insieme, di provenienza dall’emisfero Australe, non meglio identificato. La Voce/ VOCI evocata/EVOCATE. Uno dei tanti elementi del paesaggio, la voce/parola emerge poi scompare, poi si duplica e come sample all’infinito replicata si confonde e diventa altro.

                Polarizzazione Poliritmica/Riesposizione vocale/ Poliritmie post techno influenze/Sound Poetry/Voice accumulation/Post Miles/

                Side B – Paysage mélodique avec Artaud Match vocale su una VARIAZIONE incrociata tra Deleuze/Bussotti /Artaud

                Per Paysage mélodique avec Artaud ho disegnato una scrittura vocale e una drammaturgia lavorando in sottrazione a partire da vari elementi: da un Paesaggio Sonoro che mi è stato affidato da Obsolete Capitalism, dalla partitura di Bussotti Five Piano Pieces for David Tudor 4, da Mille Plateaux di Deleuze e Guattari, e dal testo di Artaud Position de la Chair, che Bussotti riporta in esergo alla sua partitura.

                Un percorso drammaturgico a partire da una libera lettura degli elementi, ponendo uno spazio di osservazione e una distanza prospettica dai tre giganti Deleuze/Bussotti/Artaud, dalla loro inevitabile presenza, lavorando con un profondo rispetto eppure tenendoli lontani, astraendo la loro portata.

                Dando per scontato la loro forza/presenza, eppure non sottolineandola, ho cercato una chiave d’accesso e di attraversamento, con l’analisi, lo studio, l’ascolto, la traslazione degli elementi.

                Tutto ciò mi ha portata a focalizzare il mio nucleo drammaturgico, e la chiave è emersa.

                In essenza: Spazio/Voce in attesa e in fuga. Low-Fi. Noise. Una voce/parola in attesa e che fugge, una voce in fuga, chiave per il ritmo drammatico e per la mia rilettura e ricomposizione vocale. Ho lavorato sul frammento, sulla ripetizione, sull’evocazione, sulla scrittura vocale e scrittura del testo e infine ricomposizione melodica attraverso varie linee di astrazione e applicazione: la Chair, la Carne, è una esperienza, uno spazio. Uno spazio tra le Parole. Un’attesa, una sospensione. Una Fuga. Una voce che fugge. Voce che evoca spazio. Una voce che evoca voci. Voci differenti nello spazio sospeso.

                Voce processata, artificiale ma con assoluto equilibrio e rigore, sporca ma definita.

                Attenzione al ritmo e al silenzio della voce. Solo l’essenziale. Lavoro in sottrazione. Sottrazione di presenza. Low-fi. Noise. Astratta. Evocata. Non definita. Sprechgesang/Extended Vocal Techniques/Sound Poetry/Free Jazz Improvisation/Folk/Spoken/Contemporary Vocal Influence/Voice accumulation/Noise.

                Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live, magari nell’ambito del nuovo format che suona come un gioco di parole Club Cultura presenta “La Cultura del Club”

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                Dj Set

                Djdmac interview

                Speciale Romeo Castellucci

                Bandcamp

                Soundwall intervista

                Notte Italiana

                Limbo Session Niconote ft White Raven

                Chaos Variation EP

                AXTRAL REQUIEM


                NicoNote Bio Info

                NicoNote è una voce, un universo. Progetto e alias artistico creato nel 1996 da Nicoletta Magalotti (1962) Italiana-austriaca con base nella felliniana Rimini; cantante, compositrice, performer, artista trasversale e non definibile, ha sviluppato una cifra unica nella sonorità e nei formati.

                Agisce in territori molteplici legati alla musica, al teatro, alle installazioni, al clubbing. Ha all’attivo dal 1985 ad oggi una intrigante discografia e tour musicali e teatrali  in Italia e tutta Europa, Canada, Argentina, Brasile.

                Gli anni 80
                • A metà degli anni 80 è stata la voce della band Violet Eves, protagonista della new wave italiana con l’etichetta indipendente IRA records di Firenze, insieme a Litfiba, Diaframma, Moda, Underground Life.
                • Negli anni 90 insieme al dj David Love Calò cura un privèe/installazione (all’interno della roboante disco Cocoricò) il Morphine, luogo di radicali sperimentazioni musicali e performative.
                • Nel suo particolare percorso trasversale è stata diretta più volte da registi quali Romeo Castellucci / Socìetas Raffaello Sanzio, Francesco Micheli, Patricia Allio, Maurizio Fiume, Fabrizio Arcuri e altri,  ha collaborato con musicisti di estrazione molto diverse, da Patrizio Fariselli degli Area a Mauro Pagani, dai producer house Mas Collective a Teresa De Sio, da Dj Rocca a Piero Pelù e Andrea Chimenti a Ghigo Renzulli, da Roberto Bartoli (Tommaso Lama, Steve Grossman) a Stefano Pilia (In Zaire, Afterhours) da Bartolomeo Sailer  (Wang Inc.) a Luca Bergia (Marlene Kuntz) e Davide Arneodo (Perdurabo, Marlene Kuntz), da Enrico Gabrielli (Calibro 35, PJ Harvey)  a Elisabeth Harnik (Joëlle Léandre, John Butcher) e altri.
                • Dal 1985 ad oggi ha prodotto e licenziato dischi con vari pseudonimi Violet Eves, Nicoletta Magalotti, AND, Dippy Site e svariati Featurings.
                Oggi…
                • A firma NicoNote gli album Alphabe Dream (Cinedelic 2013) prodotto con il compositore francese Mikael Plunian,  Emotional Cabaret  (DocLive 2017) prodotto insieme a Dani Marzi e Alfredo Nuti  e  Deja V. (Mat Factory 2018) un album “segreto”  interamente dedicato a riletture dei Violet Eves. In uscita a giugno 2019 una nuova release NicoNote & Obsolete Capitalism Sound System dal titolo Chaos Variation V (Rizosfera, Rough Trade).
                • Nel maggio 2019 insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda ha creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo Tenera è la Notte / Premio Dino D’Arcangelo. Conduce regolarmente masterclass di studio sulla Voce, in Italia e all’estero, recentemente insieme alla cantante Monica Benvenuti ha dato vita al progetto di formazione sulla vocalità contemporanea “Voci Possibili”  in collaborazione con Tempo Reale, Firenze.

                NicoNote si muove liquida in generi sonori e formati anche distanti, combina il canto con la dimensione performativa, l’improvvisazione radicale con il pop, creando un clima unico, un teatro vocale immateriale. www.niconote.net


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                  club cultura News and Events

                  Alziamo il volume per una nuova Cultura del Club

                  La visione è chiara e l’intensità con cui agire pure, diamo spazio a nuove azioni

                  In questo periodo – per tutti – molto difficile cerchiamo di dare un nuovo slancio all’azione. Come artisti, musicisti e operatori culturali sentiamo il bisogno di alzare la testa e la voce su “nuove” traiettorie di sviluppo. Percorsi che nel nostro piccolo abbiamo in realtà già – da tempo – intrapreso.

                  Un breve manifesto

                  In tutte le attività sviluppate in questi anni come PUM, così come nei progetti più specifici, e in quelli in corso come Club Cultura, abbiamo sempre portato avanti l’idea di una possibile grande community.

                  Accostando ideali di resistenza e di cambiamento all’azione concreta; al “do it yourself”, abbiamo alimentato una visione politica che ci vede tutti assieme: l’artista, gli appassionati, il pubblico, i cittadini e tutti coloro che sognano un ulteriore sviluppo culturale della nostra società. Un percorso fuori dai palazzi, così come dalle assemblee che strumentalizzano questi sentimenti, ma nella ricerca – attraverso il fare – di una maggiore sostenibilità.

                  In questa nostra visione di lungo periodo, l’Arte e relazioni umane sono finalmente al centro del sistema. Non sono concepite alla stregua di un piccolo e colorato satellite o di un’altra mera attività con cui alimentare il sistema di mercato. Così la musica continua a nascere anche da un impegno profondo che gli attori dedicano alla community, diviene un atto politico orientato al cambiamento.

                  Ma cosa vorremmo cambiare?

                  Oggi solleviamo la voce. Per recuperare quegli elementi preziosi della cultura club che spingevano le persone ad aggregarsi attorno alla musica. Quelle energie primordiali che spingevano verso una maggiore socialità, portando cambiamenti culturali attraverso nuovi linguaggi. In altre parole, alla creazione di comunità. Nuovamente – ci lanciamo contro l’individualismo galoppante e alla società del throw-away, la cultura dello zapping estremo e del rimpiazzo con alternative sempre meno care.

                  Così alziamo la voce per richiamare l’attenzione di tutti verso il bisogno di incontrarsi – in luoghi fisici e non solo virtuali. Per condividere esperienze e per ascoltare nuova musica.

                  Oggi guardiamo al futuro con occhi sognanti, tenendo vivo il ricordo di quel brivido che ti percorre dentro quando realizzi di:

                  essere parte di un insieme di persone che condivide cruciali fili dell’anima. Quel così detto – fiume di persone – di cui fai parte quando sei a un concerto e smetti di sentirti goccia, ma ti senti fiume

                  (outro t-mag issue n.7 – PERSONA)
                  cc
                  Copyright PUM Factory
                  Club Cultura lancia: la Cultura del Club, un appuntamento costante con l’ascolto e con il mistero della scoperta.

                  Fuori dal sistema delle scelte infinite che attraverso la rete alimenta ancora di più la cultura dell’individualismo. Fuori dello zapping estremo, ma sopratutto dalla spirale dei bisogni non-essenziali!

                  Quei bisogni che alimentano il desiderio di personalizzare la personalizzazione delle capacità di progettare il proprio “hamburger” per la quale ciascuno può essere un Dj. Ciascuno può essere un musicista, un ballerino, un performer, un organizzatore di eventi. E ancora, un tecnico luci, un barman e un funzionario della SIAE e allo stesso tempo tutto e il contrario di tutto.

                  Non critichiamo qui la maggiore accessibilità o la maggiore possibilità di realizzare i propri sogni – che è un bene. Ce la prendiamo con la costante spinta verso l’insoddisfazione. Uno stato necessario per alimentare i consumi spinto dal sistema a nostro danno. Uno stato che si attiva nel momento in cui scendiamo a patti nella ricerca di una personalizzazione estrema del proprio sè. Nel momento in cui ci perdiamo quella bellissima possibilità di far parte di un fiume, isolati e costantemente insoddisfatti. Non troviamo il nostro spazio, ci abbandoniamo al mercato e alle sue logiche.

                  cc
                  Copyright CC Music is the Answer
                  Un percorso sonoro per valorizzare la relazione fra ascolto, pubblico e Dj

                  Lanciamo così un progetto per tornare a popolare il Club, con la voglia di ascoltare musica prima di tutto, di scoprire novità, di portare innovazioni culturali e sociali.

                  #CC propone un nuovo percorso musicale e di night life. Un progetto che darà spazio a diversi artisti e Djs. Chiederemo a ciascuno di loro di preparare un viaggio musicale di almeno due ore, un cross-over di musica elettronica per portare l’ascoltatore in altre dimensioni, verso altri lidi e magari riscoprire l’energia alla base della vita notturna.

                  Come parte di questo fiume che è in costante evoluzione e cambiamento, ci teniamo a sottolineare che si tratta di un percorso nuovo.

                  Incentrato sull’ascolto guidato/sul percorso sonoro in quanto:

                  • sviluppato proprio in un club come il Caracol Pisa che già godendo di un buon punto d’ascolto ha recentemente deciso di investire ancora di più sull’acustica delle pareti offrendo così una sala unica nel suo genere;
                  • visti i tempi bui che stiamo vivendo con il COVID-19 lo spazio è stato pensato per trasformare il dance-floor in uno spazio d’ascolto e conversazione in totale sicurezza e nel rispetto della normativa vigente;
                  • guidato dall’esperienza e abilità e passione dei Djs che vi guideranno durante il percorso, aumentando l’esperienza con il loro tocco, “facilitando il passaggio da un quadro a quello successivo“.

                  Abbiamo pensato ad un approccio diverso che parte dalla valorizzazione del lavoro, del mestiere del Dj e della sua sensibilità. Tutti aspetti fondamentali in una comunità sana, che riconosce il valore del tempo, dell’impegno e delle relazioni.

                  Non potranno mai gli algoritmi….le piattaforme e l’operare della rete sostituirsi al rapporto tra chi sceglie un disco e chi ascoltandolo entra in contatto con quell’emozione. Un’emozione nata e terminata in quello stesso momento, unica e irripetibile esperienza.

                  Su questa immagine cercheremo di costruire una storia nuova. Se in passato abbiamo cercato in tutte le occasioni di trasmettere il valore del gruppo, dell’alternarsi in console o del suonare assieme contro ogni forma di individualismo ed egocentrismo. Oggi in lotta sempre contro questi vecchi nemici poniamo invece l’accento – razionando le energie – sulla profondità della materia musicale e la sua dinamica.

                  Con la Cultura vorrei

                  Ecco con la Cultura del Club vogliamo riportare su uno stesso piano la dimensione del sogno e dell’ascolto. Vogliamo lanciare un nuovo modello di serata per stare insieme. Quindi mai più soli e isolati davanti ad un terminale, uno schermo, un “dispositivo cheap” per ascoltare musica. Vi aspettiamo in luogo disegnato acusticamente per offrire la migliore esperienza in zona, con artisti pronti a guidarvi in un fiume in piena e in compagnia di chi ama la musica a tal punto da metterla al centro del suo mondo.

                  Certo….sicuri e distanziati, almeno fino a che ce ne sarà bisogno. Con la Cultura del Club vogliamo provare a cambiare le regole del gioco ed invertire il mood del dancefloor…dal ballo-sballo all’ascolto attivo, alla conversazione, allo scambio di conoscenza attraverso il viaggio sonoro.

                  Con la cultura del Club lanciamo la nostra azione politica, per valorizzare le nuove forme della musica elettronica, attraverso dei dj set di ricerca sonora verso le ultime tendenze e le sperimentazioni più interessanti del momento.


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                  Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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                    Patrizio Ferrari Break the Wall

                    Patrizio Ferrari

                    In cerca di uno spazio, per un maggiore dialogo fra la musica e le altre forme d’arte.

                    Dopo il “Break” estivo, ripartiamo a bomba in questa estate settembrina con la nostra ricerca sullo stato della Club Culture per comprenderne gli sviluppi e poter contribuire a ritrovarne un significato.

                    In Calendario abbiamo molte interviste che usciranno nelle prossime settimane. Alcune anticipazioni? Una su tutte, presto R&S tra le nostre pagine! Questo perché andremo sempre più affondo in lungo e largo nella ricerca che stiamo svolgendo, con contributi sempre più interessanti e preziosi. Tra questi, oggi, ci spostiamo tra gli addetti ai lavori con una bellissima mente “Patrizio Ferrari” che da anni in Italia si occupa di divulgazione musicale, dapprima con un programma radiofonico per poi divenire un blog curato e sempre aggiornato sullo stato dell’arte, sopratutto quella di nicchia.

                    Patrizio Ferrari Break the Wall
                    Copyright Nicchia Elettronica

                    Diamo così il benvenuto a Patrizio di Nicchia Elettronica. È stato per noi un grande piacere chiedergli il suo parere sullo stato della Club Culture nel nostro paese, sviluppare una discussione per Break the Wall e avviare una forma di collaborazione che speriamo in futuro continui e possa dare frutti importanti. In fondo, cerchiamo di fare rete con tutte quelle realtà che come noi condividono una passione vitale. Come sappiamo del resto, c’è molto bisogno di unire le forze e cambiare lo stato delle cose.

                    Date le premesse, Patrizio con la profondità culturale e la passione che lo contraddistinguono sviluppa alcuni concetti importanti che oggi abbiamo l’onore di sottolineare in queste pagine.

                    Carissimo Patrizio, benvenuto su Break the Wall, parlaci brevemente di te? Oltre a scrivere fai musica, sei un Dj? Qual è il tuo percorso?

                    Prima di tutto ci tengo a ringraziare tantissimo Daniele e tutta la redazione di Under-blog per avermi dato questa bellissima opportunità. Il mio amore per la musica è nato molto presto e sono sempre stato affascinato da tutte le sonorità collegate al mondo della “dance” nel senso più ampio possibile.

                    Ho sempre amato ascoltare musica, prima in radio e poi pian piano su varie piattaforme digitali. Sento l’esigenza tenermi informato su nuove uscite, eventi e sull’evoluzione di tutto un mondo musicale che mi appassiona. Ho subìto da ragazzo il fascino del Dj, ma non ne ho mai fatto una professione; più che altro mi diverto ogni tanto a mettere dischi a serate fra amici.

                    Sento l’esigenza tenermi informato su nuove uscite, eventi e sull’evoluzione di tutto un mondo musicale che mi appassiona

                    In anni più recenti ho creato un blog, Nicchia Elettronica, su cui scrivo articoli, approfondimenti e qualche volta rilascio interviste sul mondo della musica elettronica. Ho iniziato da non molto a produrre musica mia e conto di pubblicare qualcosa nei prossimi mesi insieme a degli amici di Milano con cui abbiamo appena fondato un’etichetta.

                    Quando e come inizia il tuo percorso con Nicchia Elettronica? Con quali sonorità ti senti più in empatia?

                    Nicchia Elettronica è nato come programma radiofonico nel 2017. A quell’epoca studiavo a Padova e ho deciso di lanciarmi in questa nuova esperienza. Fondamentalmente mi occupavo di selezionare e parlare di nuove uscite legate al mondo della musica elettronica. È stata un’occasione molto preziosa perchè mi sono divertito e ho conosciuto molti artisti interessanti, sia di persona che addentrandomi in scene musicali di cui prima non ero a conoscenza.

                    Dalla radio al blog in cerca di sonorità sempre nuove…

                    Io sono attratto soprattutto da sonorità idm e downtempo, ma ascolto davvero più o meno qualsiasi cosa che possa rientrare nella definizione di “elettronica”. Quando conducevo il mio programma in radio ci tenevo molto a proporre una selezione il più vasta possibile di generi: dalla world music all’ambient, dalla drum’n’bass a cose più sperimentali.

                    Con quali artisti hai legato di più nel tuo lavoro e quali pensi di aver messo in luce?

                    Uno su tutti Indian Wells. Ho avuto il piacere di conoscerlo quando è venuto a Padova a suonare al Summer Student Festival (Je t’aime) e in seguito l’ho anche intervistato. È una persona molto disponibile oltre a essere un musicista che stimo moltissimo.

                    Qualche mese fa ho intervistato Daniele Sciolla per il mio blog l’uscita del suo ultimo Ep “Synth Carnival” e anche lui è stato super gentile e disponibile.

                    Sempre sul blog, prima dell’estate è uscita un’intervista che ho fatto ad Arturo Camerlengo, un produttore campano molto interessante che sta muovendo i primi passi e ha pubblicato il suo primo Ep “Genesi”  di cui ho fatto una review. Un altro gruppo con cui ci sono stati dei bei contatti  fin dall’esperienza in radio sono i WRONG MÆSS, una band milanese che fa un’elettronica molto figa e che fa parte dell’etichetta La Sabbia.

                    Anche Sideshape Recordings è un’etichetta che ho scoperto con grande piacere: loro sono di Torino e hanno una proposta musicale molto varia e di qualità.

                    Ad oggi cosa ti ha motivato e influenzato maggiormente nello sviluppare il tuo blog?

                    Ero in cerca di un mio spazio dove poter dare forma alla mia passione. Per me ascoltare musica è un’esigenza e ho sempre amato far ascoltare gli artisti che mi piacciono a parenti e amici. Iniziare con la radio è stata una bella scommessa e, nel mio piccolo, l’obiettivo era di far arrivare certa musica (di “nicchia”) a quelle persone che solitamente non la ascolterebbero.

                    Patrizio Ferrari Break the Wall
                    Copyright Patrizio Ferrari
                    L’obiettivo è di far arrivare certa musica (di “nicchia”) a quelle persone che solitamente non la ascolterebbero

                    Lo scopo del blog è di promuovere generi e artisti che sono, a mio parere, ingiustamente poco considerati, soprattutto in Italia. Purtroppo da noi viene dato poco spazio (nelle radio, negli eventi, nell’informazione ecc.) ad artisti che hanno talento e passione e questo perchè prevalgono spesso delle logiche commerciali che escludono la qualità dai radar. Non mi illudo di cambiare le cose, ma mi dà soddisfazione sapere di essere parte di un movimento più grande che lavora per dare più visibilità e riconoscimento a una determinata scena musicale.

                    Cosa è per te la Club Culture? Un disco che la rappresenta?

                    Premetto che non sono un assiduo frequentatore dei club, mi ritengo più un ascoltatore da cuffia. Ovviamente non disdegno andare a ballare e quando posso vado a serate e festival, soprattutto se c’è qualche artista che mi interessa. Penso che il club e i festival esercitino un vero e proprio richiamo per tante persone che li frequentano perché lì hanno la possibilità di evadere, ballare, viaggiare con la mente ed entrare in contatto con persone che condividono la loro stessa passione.

                    Poi c’è tutta una dimensione che si svolge fuori dal club: il mondo dell’ascolto domestico, del collezionismo di dischi, dell’informazione specializzata e via dicendo.

                    Si chiama cultura proprio perchè presenta diverse sfaccettature e non è assolutamente ascrivibile al solo “andare in discoteca”.

                    Come disco rappresentativo scelgo un classico: “Man With The Red Face” di Mark Knight e Funkagenda.

                    Secondo te era più facile comunicare e vivere di musica e giornalismo in passato?

                    Oggi la comunicazione in campo musicale è sicuramente più fluida e veloce rispetto al passato. Penso che se 10 o 20 anni fa ti volevi informare su certe scene musicali dovevi per forza fare riferimento a certe riviste specializzate oppure c’era roba che circolava quasi esclusivamente sui blog, appunto.

                    Oggi il bombardamento di informazioni non risparmia neppure il settore musicale e questo non necessariamente è un male.

                    Sul vivere di musica, dipende. Se sei uno che fa un certo musica in Italia, fai una fatica pazzesca. Nel campo del giornalismo immagino che il discorso sia simile: l’informazione su un certo tipo di musica esiste, ma è una piccola parte se paragonata ai generi più mainstream. Per cui o finisci per scrivere di ogni genere di musica, anche quella che non ti piace, oppure sai di doverti ritagliare spazio all’interno di un segmento piccolo in cui ci sono tanti appassionati, quindi puoi fare più fatica.

                    Le persone comprano meno musica nei supporti tradizionali alcuni dei quali come i CD stanno per sparire, ma sopratutto frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

                    Viviamo nell’era del digitale e oggi è troppo più facile e conveniente divulgare e reperire musica in formato digitale. Un po’ dispiace perché personalmente sono cresciuto collezionando cd, però è così. Per quanto riguarda i club questo non è sicuramente un periodo facile. l’emergenza sanitaria ha dato un brutto colpo a questo mondo che già non se la passava benissimo.

                    Penso che prima di tutto serva un certo tipo di sostegno da parte delle amministrazioni locali. Purtroppo in Italia sono ancora troppe le persone che hanno in testa l’equazione sbagliata per cui club e discoteca uguale droga e perdizione. Bisogna lavorare per passare un messaggio diverso e secondo me ci sono delle tendenze già avviate in questo senso.

                    Bisogna lavorare per passare un messaggio diverso e secondo me ci sono delle tendenze già avviate in questo senso

                    Vivendo a Milano negli ultimi anni ho potuto assistere alla nascita di realtà che oltre a una proposta musicale elevata offrono tutta una serie di attività, come workshop, corsi e laboratori che fino a qualche anno fa non venivano associati ai club. In questo modo si avvicinano le persone a questo mondo e il ritorno in termini di opinione pubblica è sicuramente grande. D’altra parte penso sia giusto che il club voglia mantenere una propria dimensione ristretta, intima e in qualche modo chiusa perchè anche questo fa parte del suo fascino.

                    Quale è la Club cultura che vorresti? 

                    Da un lato mi piacerebbe vedere un dialogo sempre maggiore fra la musica e altre forme d’arte perché penso che anche questo sia un modo di avvicinare più persone a questo mondo. Poi vorrei vedere più artisti minori riempire i locali, anziché i soliti grandi nomi stra conosciuti. Sono convinto che in Italia ci siano tantissimi artisti di valore che però non sono abbastanza valorizzati e per paura (reale) di non riempire il locale si va a pescare da altri bacini che hanno maggiore visibilità. Serve un po’ di coraggio nelle scelte, almeno all’inizio.

                    Come vivi il rapporto con l’elettronica più orientata ai club? Quali sono 5 dischi a cui non potresti rinunciare in un Dj-set?

                    Tantissima della musica che ascolto è club oriented. La cassa in 4 oggi ha molti detrattori, in parte giustamente, ma per me che ci sono cresciuto rimane imprescindibile. È vero che oggi molta musica è troppo imitativa, soprattutto la techno mainstream a volte sembra fatta con lo stampino e la trovo noiosissima, però c’è anche chi fa techno o roba dritta riuscendo a sperimentare in maniera creativa e reinventandosi. Poi ovviamente è giusto non focalizzarsi solo su certe sonorità, ma essere aperti all’ascolto di generi diversi perché così si mantiene aperta la porta della creatività e non ci si chiude musicalmente e mentalmente. Questi sono cinque dischi che mi prendono sempre molto bene sia ascoltati che suonati:

                    1. Bicep – Glue
                    2. Nathan Fake – You Are Here (Four Tet Remix)
                    3. Dominik Eulberg – Sansula (Max Cooper Remix)
                    4. Floating Points – Nuits Sonores
                    5. Indian Wells – Closer
                    Cosa bolle in pentola nel prossimo futuro?

                    Al momento sto lavorando a un progetto che abbiamo ideato insieme a un amico: si tratta di un evento musicale incentrato sulla sostenibilità. Spero che sentirete parlare di noi! Con altri amici abbiamo fondato un’etichetta che si chiama Gravitone e abbiamo in mente di far uscire un Ep a breve per iniziare a farci conoscere. Nel frattempo continuo a curare il mio blog e a farlo crescere; ho un paio di interviste in programma che dovrebbero uscire nelle prossime settimane.

                    Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di incontrarci a tra Milano e Pisa per realizzarlo!

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                    Nicchia Elettronica

                    Esce oggi ‘Black Trees’ di Indian Wells


                    Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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                      Drago Club Cultura PODCAST

                      CC#012 Drago

                      CC#012 April 2020, Music is the Answer with Drago

                      Panico totale? Con Drago siamo andati più volte in lungo e largo alla ricerca di una ricetta per una buona Club Culture. Consiglio: non dimenticate una buona dose di funk, Hip-pop, Indie disco e house, meglio se Italo!

                      Avete capito bene per la serie “Music is the Answer”, oggi abbiamo l’onore di ospitare Dj Drago, una delle colonne portanti della scena locale. Con lui abbiamo avuto la possibilità di approfondire il concetto stesso di Club Culture e molti aspetti postivi e negativi dei tempi che stiamo vivendo in questo episodio di Break the Wall.

                      Marco Dragoni classe 1977 è un membro fondatore della crew Casseurs Foundation con cui organizzava la storica HipHop Convention “Panico Totale”. Dj e ricercatore musicale dalla metà degli anni 90, Drago è anche organizzatore di eventi legati alla street culture; musicalmente nasce come selecter di rap e reggae, partecipa attivamente al progetto drum’n’bass di Nu Combo agli inizi dei 2000, per poi tornare a sonorità più black nelle serate organizzate dal collettivo Black Friday. Nel 2005 crea Sanantonio42, negozio di street wear, skateboards, graffiti e dischi, ma soprattutto un punto di riferimento per tutta la scena locale.

                      Read more “CC#012 Drago”

                      ARTF New Sounds

                      Ancient Teaching ci fa volare verso il futuro!

                      L’ultimo EP di ARTF per Opilec Music

                      Non è facile recensire un amico con cui condividi una passione per la musica, in particolare la techno, l’eletro, l’EBM e tutte le sonorità bass. Con cui da quasi dieci anni sgomiti per mantenere viva una scintilla di contro-cultura nella città in cui vivi. Tuttavia oggi vi parliamo di idee nuove. Sopratutto dei suoni. Quelli in cui queste idee confluiscono, come in una sorta di sistema a vasi comunicanti suono e idee alimentano goccia dopo goccia il movimento.

                      Ora vi direte, mah vabbè questa è un operazione che proprio non ci aspettavamo. Bene vi direi. Quante volte siete usciti di casa alla ricerca di qualcosa di entusiasmante la fuori? Ma poi alla fine tornando tra le vostre mura vi siete resi conto che lo avevate da sempre li vicino a voi? Succede. Quindi è possibile, praticabile, forse è un operazione di mestiere, forse è semplicemente interessante anche ogni tanto fermarsi e parlare di ciò che ti circonda. Anzi, su questo ci abbiamo sempre provato. Da un lato ci slanciamo oltre il confine, dall’altro peschiamo dal nostro pozzo. Infondo non c’è un limite nell’arte e nella ricerca, ma solo tanta curiosità!

                      Anzi alle volte può essere molto interessante conoscere e scoprire ciò che ti sta vicino, ciò che diamo per scontato, per assodato

                      È con questa prospettiva di “familiarità” che vi presentiamo sotto una diversa angolatura Dario Filidei alias ARTF. Un artista che con molta umiltà, dedizione e passione insegue il sogno di una musica più universale fatta di inclusione sociale, cultura, educazione e sviluppo. Lo facciamo proprio in occasione della sua ultima uscita per Opilec Music (Torino) curata direttamente da Gianluca Pandullo a.k.a. I-Robots.

                      ARTF

                      Ancient Teaching EP, un EP che vuole essere un omaggio alle sonorità che ormai fanno parte del mio percorso artistico e di vita. Molti di voi riconosceranno subito le mie più grandi fonti di ispirazione in questo disco. Find your strenght into the sound!

                      In ciascun numero di “New Sounds” vi presenteremo cosa bolle in pentola. Le novità sommerse nella rete, i suoni da tenere d’occhio, gli artisti emergenti nel panorama nazionale, le labels e i retroscena della produzione elettronica.

                      Ciao Dario benvenuto! È vero che con te giochiamo in casa, ma ti ringraziamo lo stesso per aver accettato questa intervista. Cercheremo di fare del nostro meglio per far conoscere quegli aspetti più celati della tua arte.
                      Rompiamo subito il ghiaccio, chi è “ARTF”? Cosa rappresenta? Parlaci prima un po’ di te…

                      Ciao e prima di tutto grazie per avermi dato l’opportunità di esprimermi per scritto oltre che attraverso la musica. Direi che ARTF è un più uno stato d’animo che un personaggio ben definito. Posso dirti che l’idea di utilizzare la sigla ARTF deriva dalla tradizione della Techno originale. Dove si vuole celare il volto di chi suona ed il proprio ego per mettere al primo posto la musica e le emozioni. Questo ho voluto fare, quando ho coniato l’alias ARTF.

                      ARTF è l’acronimo di “Almost Ready To Fly“, una dicitura che trovavo spesso sulle scatole dei kit di montaggio degli aeromodelli di mio padre. Ho pensato che per me vivere immerso nella musica ogni giorno, suonare e produrre musica elettronica significasse essere sempre sul pezzo. Pronto a partire, pronto al decollo, gettarsi verso il futuro. Col passare degli anni, ho anche capito che per me fare musica elettronica (in particolare Techno) significa assaporare ogni minuto che viviamo con passione. Cercare sempre di essere felici di aver vissuto quel minuto appena trascorso.

                      ARTF deriva dalla tradizione della Techno originale

                      ARTF è anche una sigla semplice da ricordare come un modello di robot o cyborg, sempre per tornare alle origini Sci-Fi della Detroit Techno!. Sopratutto dell’immaginario che ruota attorno ad essa. Quindi chissà… sarebbe carino che qualcuno facesse il personaggio dei fumetti di ARTF come Alan Oldham o Qadim Haqq hanno fatto i fumetti di Underground Resistance o Drexciya…

                      L’altro mio alias – Dj Darius – non mi sembrava più appropriato per portare avanti il mio progetto a livello professionale. Non mi pareva essere in grado di esprimere quello che ho descritto sopra. Quindi l’ho lasciato per così dire, a Pisa, come un caro amico di paese che puoi sempre ritrovare quando torni alla tua città natale.

                      Quando inizia il tuo percorso musicale? Con quali sonorità ti senti più in empatia?

                      Il mio percorso musicale inizia alla fine degli anni ‘90 primi anni 2000. Con l’Hip Hop ed il Rap ma anche il Funk che ho scoperto più tardi, quando da adolescente rimasi folgorato dalla Break Dance. Che ho ballato fino alla fine delle superiori. Mi piaceva stare in mezzo alla gente e avere uno stile di vita da seguire con la mia comitiva di amici, stare in gruppo…

                      Niente di strano per l’età che avevo direi…

                      Di strano forse conoscendoti da adulto – diciamo – c’è che ballavi la break dance, penso che avrei fatto carte false per essere li e vederti all’opera.

                      Però non ho mai ascoltato molta musica convenzionale o mainstream. Ho sempre amato la musica alternativa e di protesta. Una musica che desse la possibilità di esprimere se stessi e di raccontare la propria versione della vita senza filtri, ne ipocrisia… Ascoltavo molto Rap Italiano negli anni dell’adolescenza, tipo Dj Gruff, Inoki, Gente Guasta, Uomini di Mare, Neffa, Fabri Fibra, Sangue Misto, 99 Posse, Menihr. Ma anche robe strumentali tipo Dj Skizo, Dj Shadow, Dj Krush e Dj Vadim

                      Molti dischi di questi gruppi sono stati la colonna sonora della mia adolescenza. Ho sempre amato la musica alternativa e di protesta. Ascoltavo molto Rap Italiano…

                      I vinili e i giradischi sono sempre stati in casa ed ad un certo punto è scattata la scintilla. Una delle tecniche della Break Dance è il Popping o Electro Boogie, come la chiamavamo all’epoca. Per questo stile, venivano usate per ballare basi Electro Funk e Miami Bass (ho scoperto molti anni dopo di cosa si trattava). Brani registrati principalmente con campionamenti e le classiche batterie elettroniche della Roland la 808 e la 909.

                      Da li qualcosa è scattato in me e mi misi ad indagare l’origine di questo suono spaziale robotico ed elettronico! Forse anche perché sono sempre stato un grande fan della fantascienza e film tipo Blade Runner, Star Wars, Mad Max e via dicendo… Come dicevo in casa ho sempre avuto i giradischi perché mio padre è anche appassionato di Hi-Fi e mio nonno era radio amatore.

                      Un giorno misi sul piatto i dischi dei Kraftwerk e degli Earth Wind and Fire e li è nata la magia.

                      La tappa cruciale che ha fatto nascere in me la mia passione per la musica elettronica. Avrò avuto 14 o 15 anni. Quei dischi ce li ho ancora…
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                      Di li a poco ho iniziato a frequentare le discoteche della zona in cui vivevo, dove i Dj sapientemente miscelavano House music e pezzi un po’ più mainstream.

                      Anche quello è stato fondamentale perché mi sono innamorato del lato professionale di fare musica. Dei locali gestiti sapientemente e dell’intrattenimento fatto con criterio, con consapevolezza.

                      Nel corso degli anni, grazie agli amici che giravano attorno al negozio di dischi Sanantonio42 (Pisa), grazie ad esperienze di occupazioni e centri sociali come Rebeldia, Newroz e Cantiere San Bernardo, ma anche con l’esperienza Pisa Underground Movement, ho potuto approfondire molti generi: come il Reggae e il Dub, la DnB, Dubstep, Uk Garage, la House music, tutti generi che possiamo definire Black, in quanto nati in seno a questa comunità.

                      La mia costante però è sempre stata la Techno su cui ho studiato e studio ancora molto. Leggendo libri, guardando documentari, cercando di entrare in contatto con i protagonisti che hanno fatto la storia della musica elettronica in Italia e nel mondo.

                      Mi interessano molto gli aspetti culturali e socio-economici che ruotano attorno alla musica che faccio, seguo e studio molto anche questi aspetti. Faccio la mia personale battaglia politica a favore della cultura.

                      Con la Techno ho trovato il mio linguaggio universale. Sono molto legato alla scuola di Detroit. Sopratutto ad Underground Resistance, la mia guida da sempre. Ma anche altre etichette come la Metroplex, la M-Plant, la Motech e la Rekids per citare alcuni classici. Oppure etichette più nuove come Nuestro Futuro, Dirty Tech Rec, e Yaxteq.

                      Ritengo che la Techno sia una musica di protesta pacifica. Di riscatto sociale, scollegata da qualsiasi tipo di razza, ceto sociale, orientamento sessuale, fede religiosa o schieramento politico. E’ una musica ibrida, una scheggia impazzita. Si lega all’etica Punk del DIY, dell’autogestione e autoproduzione. E questo aspetto lo ritrovo nelle mie produzioni e nelle realtà con cui collaboro.

                      Ancorata all’etica Punk, del DIY, dell’autogestione e autoproduzione

                      La Techno credo che debba rimanere una musica popolare nel senso che dovrebbe rappresentare l’essere ed il sentire della gente comune. Il raccontare la vita di tutti giorni un po’ in chiave romantica e fantascientifica; deve raccontare le proprie aspirazioni. Il gettarsi positivamente e collettivamente verso il futuro, o in qualche modo essere una provocazione, in contrasto con un futuro distopico.

                      Quando nasce la tua collaborazione con Opilec?

                      La collaborazione con Opilec nasce in un classico tardo pomeriggio di ritorno dal lavoro…

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                      Copyright Opilec Music; ARTF, Ancient Teachings EP; Artwork by Artefract / Tim Paulvé

                      Qualche giorno prima avevo ingenuamente mandato i demo di due tracce che sono nell’Ancient Teachings EP a due etichette diverse. Tipo contemporaneamente, ed una di queste era la Opilec. Gianluca mi scrisse nella mail semplicemente “Chiamami questo è il mio numero…” . Alla fine il Karma non mi ha punito! Ho chiarito subito con Gianluca Pandullo. Anzi lo devo ringraziare, per aver superato la mia ingenuità e aver visto in me e nei miei brani un progetto valido. Poi ha avuto anche la pazienza di portare a termine questo lavoro che è durato circa 1 anno e mezzo!

                      Ho fatto sicuramente tesoro di questa esperienza.

                      Cosa ti ha influenzato maggiormente in questa nuova uscita?

                      Devo dire che semplicemente volevo plasmare il mio suono avvicinandomi il più possibile al Detroit sound. Ad artisti come UR, Drexciya, Robert Hood, Dj Rolando e Los Hermanos, magari citandoli ma senza cadere nel plagio o nel palesemente già sentito. Volevo far sentire al mondo quello che mi piace e mostrare la mia idea di fare musica Techno, Club Culture e Rave Culture. Stavo lavorando a vario materiale. Confesso che alcune tracce erano più ispirate di altre che volevano farsi piacere a delle etichette specifiche. Poi ad un certo punto mi sono ritrovato con molto materiale che ho inviato a Gianluca di Opilec. Lui mi ha seguito ed aiutato a correggere. A migliorare dal punto di vista dell’ingegneria del suono e a dargli un senso facendo anche dei piccoli editing sull’arrangiamento.

                      Il risultato è un disco techno solido che ha un bello storytelling e che pompa a dovere!

                      Non immagini quanto ci piacerebbe tornare tutti assieme a pompare un pò di bei beat nelle casse! In questa attesa, ti va di portarci nel tuo studio “virtualmente” presentaci due/tre strumenti fondamentali per il tuo lavoro di produttore?

                      Che dire, sicuramente le 3 colonne portanti del mio studio sono:

                      Il mio computer iMac su cui faccio girare Ableton Live 10 come sequencer, editing e arrangiamento; la drum machine Roland Tr-8 e il sintetizzatore monofonico Korg Monologue che uso molto per le basslines e per suoni dal sapore Sci-Fi ed Acid.

                      Per fare questo disco ho utilizzato anche il synth polifonico Korg Minilogue e l’Electribe Sampler sempre della Korg (tuttavia non mi è piaciuto come strumento e l’ho venduto dopo qualche mese). Poi naturalmente uso molti plug-in e strumenti virtuali che carico dentro Ableton Live. Uso spesso il vst Diva della U-He, i moduli interni di Live stesso per l’ingegneria del suono affiancati da software della Waves e della Fab-Filters.

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                      Con quali artisti hai legato di più nella tua carriera e quali pensi di aver messo in luce con il tuo lavoro?

                      Sicuramente i primi artisti con cui ho legato molto sono i miei compagni e compagne del collettivo Pisa Underground Movement. Anche la sua neo costola Club Cultura. Anche se a volte abbiamo visioni molto distanti sul come fare musica e sul come vivere la Club Culture e Rave Culture. C’è sempre qualcosa di fondo che ci accomuna e non è dicerto solo il fatto di vivere tutti nella stessa città.

                      Sento di aver legato molto a livello cittadino con Matteo e Marco (Pzzo & Drago) di Sanantonio42. Negli anni hanno veramente cercato di passare il testimone della Dj / Club / Rave Culture alle generazioni dopo la loro. Poi sempre a livello cittadino ho legato molto con Federico “Rico Herrera” che è la persona che più mi sta dando una mano con il mix ed il mastering.

                      Riguardo a questi ultimi due aspetti tecnici, sono stato molto in studio anche con Marzio Aricò “Prudo” di Alfa Romero che mi ha insegnato molto. A livello italiano mi sento di aver legato molto con Andrea Benedetti. Artista chiave della scena italiana, techno, EBM, rave, house etc… Un mentore per molti ragazzi e ragazze che vivono la Club e Rave Culture. Poi anche Simona Faraone che vive a Firenze da molti anni ma è anch’essa di Roma. Lei è stata una delle prime donne Dj in Italia ad intraprendere questa professione.

                      Simona Faraone è stata una delle prime donne Dj in Italia ad intraprendere questa professione.

                      Con lei mi sono confrontato molto negli ultimi tempi, su aspetti più legati al recupero di una scena italiana in declino. A livello internazionale ho legato molto con Silvio Jadranic della Klinik Room (etichetta indipendente della Croazia). Con Raul Rocha “Dj Roach” e Moses Malone di Tec-Troit (Detroit – USA). Non saprei dire se con i miei dischi ho messo in luce alcuni di questi uomini e donne di cultura. Sicuramente penso di averli messi in luce con il lavoro parallelo di programmazione e collaborazione per quanto riguarda serate ed eventi culturali. Con le rubriche sul nostro sito ed contenuti che trasmettiamo online. Vivo la musica a tutto tondo e sicuramente è necessario viverla di persona quindi prediligo questo tipo di approccio.

                      Di recente abbiamo avuto modo di ascoltare alcune tue uscite tra cui con la celebre Motech di Detroit, come è nata questa collaborazione? A cosa ti ispiri nel tuo lavoro?

                      La collaborazione con la Motech è nata qualche mese fa. Era dal 2016 che mandavo demo al loro indirizzo di posta elettronica. È stato un grande desiderio per molti anni pubblicare tracce per un’etichetta di Detroit!

                      Vorrei far sapere a tutte e tutti, che c’è stato molto lavoro. Molte ore di studio dietro a questi obbiettivi. Nessuno mi ha regalato niente. Mi sono fatto un gran c*** per imparare a far suonare le tracce come volevo e ad arrangiarle come avevo in mente! Nonostante tutto non posso di certo sentirmi “arrivato”! Ho sempre molto da imparare!

                      Sono un tipo che lavora sodo. Anche in questo spirito dell’“hard work and no compromise” mi rifaccio molto alla scuola americana di Detroit. Una città in molti aspetti molto differente dalla nostra Pisa, che invece è un paesone rispetto alle vere metropoli dalle mille sfaccettature socio-economiche degli States…

                      ARTF

                      Quindi, Underground Resistance, Drexciya, Mad Mike Banks, Robert Hood, Dj Roach & Moses Malone, Tec-Troit, Dj 3000, Dj Rolando, Esteban Adame, Santiago Salazar, Jeff Mills, Dj Stingray, Nomadico, Ray7, Scan7, Los Hermanos, Mark Flash, Waajeed…

                      Questi sono più o meno in ordine sparso i nomi ricorrenti da cui attingo ispirazione.

                      Voglio fare una musica che va dritta al sodo. Con degli elementi riconducibili alla musica del passato, legata alle radici della Club / Rave / Techno culture, ma senza essere nostalgici. Con consapevolezza che è necessario attingere dagli insegnamenti di chi ha originato questa musica per non perdere la strada e andare dritti verso il futuro.

                      È necessario attingere dagli insegnamenti di chi ha originato questa musica per non perdere la strada e andare dritti verso il futuro

                      Voglio fare una musica che fa ballare. Che emozioni e che faccia anche pensare. Al perché ci ritroviamo a ballare con questa musica e perché è sia necessario vivere l’esperienza di ballare davanti ad un buon potente sound system. Certo con decine se non centinaia o migliaia di ragazze e ragazzi, donne e uomini, giovani e meno giovani! Find your strenght into the sound!

                      Cosa bolle in pentola nel prossimo futuro?

                      Durante il triste periodo di lockdown ho cercato di sfruttare al meglio il tempo a disposizione. Ho letto molto e ascoltato molti dischi, cercando ulteriori ispirazioni svincolate dagli artisti techno citati fino ad adesso. Sto lavorando ad un EP Electro / Techno più concettuale ispirato alla trilogia di romanzi in stile Cyberpunk di William Gibson. Vorrei far ballare le persone e farle entrare in queste atmosfere torbide e distopiche raccontate nella “Trilogia dello Sprawl”. Vorrei cercare anche di lanciare qualche messaggio di avvertimento per il futuro tramite le tracce che pubblicherò… Ho già due brani masterizzati che hanno avuto già degli ottimi feedback. Quando la fantascienza coincide con la realtà ha bisogno di un adeguata colonna sonora non credete?!

                      Come vivi il rapporto con l’elettronica più orientata ai club? Quali sono 5 dischi a cui non potresti rinunciare in un Dj-set?

                      Come già detto più volte non amo molto la musica mainstream e commerciale e questo vale anche per la musica elettronica di tendenza. Trovo le scelte di molti artisti ed etichette funzionali ad alimentare un certo stile di vita legato all’ apparenza. Un Clubbing griffato, creato più per mostrare la propria presenza momentanea che per lasciare qualcosa di profondo che rimarrà a vita. Giullari che danzano con i drink in mano su ritmi dilatati e dai bassi BPM… Un falso benessere. Icona di un mondo esclusivo legato al “bengodi”. Tutto questo è solo per pochi, quelli a cui piace ostentare un life style di fatto di cose futili, i nuovi cortigiani del Re sole!

                      Vorrei sempre suonare in situazioni dove oltre a ballare e a divertirsi, vengono lanciati anche dei messaggi culturali forti. Quelli che ho citato nelle righe precedenti. Unità, inclusione, no razzismo, no sessismo e dove si possa dare il giusto valore agli artisti che suonano e ai tecnici e organizzatori dell’evento. La socialità e la musica sono elementi importanti della vita di ogni giorno. Spesso, in Italia (all’estero se la vivono in maniera diversa) e sopratutto in questo periodo di stallo post-covid, vengono ignorati se non demonizzati. Manca una vera progettualità per il futuro. Trovo infine che molti gestori di locali ed eventi siano totalmente improvvisati o eticamente abbiamo fatto affondare il clubbing in Italia pensando solo al profitto.

                      Vedo comunque che la pandemia ha acceso la miccia per un cambiamento. Ha fatto da propulsore per una nuova consapevolezza da parte del pubblico e degli addetti ai lavori, sta ispirando tutti coloro che come me vorrebbero una Club Culture più equa, dove si possa fare squadra verso un obbiettivo comune: fare cultura musicale.

                      I miei 5 dischi a cui non posso attualmente rinunciare nei miei dj set del 2020 sono :

                      Immagino che qualcuno si aspettava che elencassi altri titoli, sto cercando negli ultimi anni di non legarmi troppo ai dischi per stupire sempre il pubblico, sopratutto se parliamo di techno. Mi piace molto improvvisare anche se ho dei telai prestabiliti nei miei Dj set.

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                      Grazie ancora Dario per il tuo prezioso contributo e speriamo di poterti sentire presto magari con un mixtape per il nostro canale CC!


                      Links:

                      ARTF as PUM and CC artist

                      Soundcloud


                      Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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                        Om Unit Break the Wall

                        Om Unit

                        Building on more inclusivity, social and cultural parity with an open critique with the ‘business’ aspect of this culture

                        We started in January with the idea of research on the status of the Club Culture. Our aim is at understanding its developments to find its current meaning. We are in the first step of a mixed qualitative-quantitative approach, collecting many interviews between musicians, organizers, producers, DJs, professionals, and enthusiasts around the globe. Researching to grasp ideas, opinions, discussions, and all information that we can further employ for a cross-analysis with other literature/media discussions.

                        An ambitious project that faced with humility, intellectual honesty, and method, could ultimately give so much to those who base their life on music. Tracing of new trends as well as policy indications, and operative solutions, these are our ultimate goals, to redesign together a new club culture.

                        We are in the first step of a mixed qualitative-quantitative approach, collecting many interviews…

                        Under this umbrella, the great “Andrea Mi” with the cultural depth and passion that distinguished him, the last January took our challenge and in his interview mentioned one of the last EP – ‘Submerged‘ – of his friend and “fundamental” English producer, Om Unit.

                        Six months have passed so far. We have gone very far with Break the Wall, but perhaps, it might be the case to close the first balance of this adventure. So, we present today a really nice interview that Jim Cole aka Om Unit released for us a few days ago.

                        om unit
                        Om Unit, © KōLAB Studios

                        “As if driven by a sort of cosmic connection”. The same feeling that sometimes binds ideas, passion with a pure dedication for music. We close the semester with the reflections of a DJ, a Musician, and a Producer who offers us a clear synthesis on our topic.

                        His songs are dense, deep, beautiful. With styles and schools that have structured the history of Club Culture in recent decades. From jungle to techno, from bass music to house rhythms.

                        Andrea Mi, Break the Wall 24 January 2020

                        For several years, Om Unit has been making a fundamental contribution to electronic music. Distinguishing itself by a pure approach, through a label, the Cosmic Bridge, many releases, and extraordinary innovative capacity.

                        Let’s dive now into this fruitful conversation through the Om Unit spaceship!

                        Dear Jim,
                        thank you so much for participating, it’s a real pleasure for us to have your contribution. Even if we are witnessing hard times. We think that it is important exactly now to increase our voices and efforts. Building new networks, placing both “Art and human relations” at the core of our communities. Using the Mad Mike Banks metaphor, this time calls for supporting that invisible and necessary sea of water that defines the resistance of underground.
                        What do you think about it? What’s your recent experience during lock-down? was there anything in your direct experience that moved in this direction?

                        You’re welcome! I love that you mention Mad Mike because, at the moment, he is working with other musicians in Detroit to build a School for kids right now. That is about as real as it gets!

                        I’ve been watching how DJ culture has been suffering and how DJ’s have responded with great interest. There has certainly been a broad range of fast adaptation in some sense with things like streaming/distanced parties. But I think this crisis has shown us that it’s a good time to really take a look at what we are all doing with it all. For example, I used to hear people complain about the capitalist side of things, and I was thinking that they were being a little alarmist. But I have recently really had time to think about the whole landscape in music and take stock of what is really important, which has been very positive and refreshing.

                        Issues are now on the table like inclusivity and social and cultural parity and there is some further open critique with the ‘business’ aspect of this culture too which are all very necessary at the moment.

                        In terms of having this ‘Covid break’ time to really look my own path, I can say I have been able to be really honest about my musical direction and writing choices in the studio. I’m now finding my feet in new and interesting sounds that feel more authentic whilst moving towards more of an eclectic format as DJ and Producer again. I have a new radio starting and some exciting new releases coming too which reflect a more authentic vibe for me personally, some new studio techniques are being explored and I’m working on new collaborations too which I’m excited to share with people.

                        In our previous reviews, we discussed a lot about the devastating impact that the COVID crisis delivered on the whole sector of culture (at least for a very weak system like the Italian one).
                        What about your direct experience as an artist and a label manager in a more advanced system like the English one? Did you find a cushion to land on, do they (politics) offer support for the sector?

                        There has been support from the UK government only for the big concert venues, which was actually a very large amount of money, but sadly there is nothing for the small clubs. This conservative government don’t value the arts as much as they should, so we have to fight as usual for our own way of life. There was some fairly decent help for small businesses though, and some help for self-employed people like myself. Lucky for me I work part-time as a teacher. Some of my friends are not so lucky and will have to change their lives to make it work.

                        It’s really sad because dancing to music is one of the most therapeutic things we can do with our body, and the powers here do not recognise the value of maintaining a place to do this for when the pandemic is over. Major venues were already under pressure here because of the ruthless nature of development and city planning that also does not value cultural spaces. The future of nightclubs looks really bleak at the moment and more needs to be done in the UK to help to save them.

                        The message we have perceived through your latest releases is certainly positive, to move on. We refer to “As We Continue” that you launched under the pseudonym of Phillip D Kick, and that hymn to the joy for the rave culture that is Joyspark.
                        What’s your feeling with your last Phillip D Kick release?

                        The ‘Phil Stuff’ as I call it is almost like someone else – a different person. I try to respect the footwork and jungle roots at the same time and it’s more a ‘just for fun’ thing where I get to be free and just make Tracks that ‘bump’. I get too serious about music sometimes so I think this allows me to just be free and make more club stuff. This new record is pretty laid back in some sense though, but I think I was always more into the smoother side of jungle and certainly the jazzier side of footwork anyway.

                        What are the positive things of making music nowadays?

                        I mean, the world is going crazy right? So we might as well all just make good honest art.

                        Despite the positive Bandcamp-Only self-release, what do you think about the role of platforms during this crisis?

                        I feel that technology has always been a key part of the art world, and social media and online music platforms are no different. There is a positive in the sense that access to music has never been so broad for everyone, but similar to Netflix, when you have a big choice, it’s like where to go? Algorithms are now there to choose for you. A lot of modern-day social media platforms use behavioural modification techniques on their users via algorithmic manipulation (I recommend the recent work of Jaron Lanier in this regard).

                        This as we know has created a rise in populist thinking and monoculture. I myself love the access to music that for example the combination of discogs and bandcamp has given me but I can’t really connect with Spotify or Apple Music that well. Perhaps it is because my interest is in more niche music and collecting records, but I find it hard to navigate an infinite choice and I don’t want to have to feed an algorithm to ‘tune’ it to my taste, that feels like handing over my free-will to a machine.

                        A producer of your experience has certainly lived through all the steps of digitization. This accordingly has had different impacts on the progress of various sectors.
                        Do you think that COVID has exacerbated or attenuated them?
                        We refer, for example, to the increasingly evident trend by people to shift their social life and behavior towards digital
                        For those who make electronic music like you, technology represented the promise in a certain sense of a better future. Do you think this promise has been accomplished?
                        We refer to the fact that we observed that the initial movements and the waves are all slowly declined to make room for the market and consumption. Or that today it is increasingly difficult to imagine a utopia or a future as it could have happened in the 80’s/90’s … –
                        What is the future that awaits us?

                        Well, I think the idea of the ‘tech utopia’ is just boring. Again, I have to draw upon Jaron Lanier’s viewpoint that the so-called ‘singularity’ as imagined by Ray Kurzweil is as absurd as ‘The Rapture’. We have evolved as creatures who have a natural inbuilt appreciation of music in a real space. Now whether the idea of full-scale club culture is at risk we cannot say but the rise in illegal parties this year certainly dictates that there is something missing already for people. The authorities would do well to think about how to maintain safe and meaningful dance spaces going forward, even it means a kind of ‘furlough’ for clubs in terms of rent for starters.

                        The future relies on this kind of assistance, and without it we have no real certainty of anything really. I think the dream of the 80’s and 90’s happened in the 80’s and 90’s. I think today’s dream is really about returning to a safer dancefloor not just in terms of the pandemic but in terms of attitudes of the people in clubs as well as attitudes of the industry itself. It’s up to us within the culture to choose how it looks, and make those changes, but the physical infrastructures themselves need to be protected.

                        A curiosity, when the love for your “cosmic sound” started?

                        I always had an interest in ambient and spaced out music, even when I was a kid. I think growing up in the 80’s played a big part in that somehow. I always loved how 80’s pop music had these weird reverbs. When I was very young I loved the abstract sounds that pop artists like peter Gabriel or Steely Dan would use in the mix, even as a kid I remember hearing stuff like ELO and wondering how they got those mad effects.

                        I think that’s why I love dub reggae and dub techno so much too nowadays, the use of space and strange FX. I had a brief time playing those kind of ‘Balearic chuggers’ as well as a DJ which for me felt pretty cosmic. I also wanted to inject some kind of ‘spiritual energy’ into my hip-hop work as ‘2tall’ back in the early 2000’s which kind-of came through with the ‘beautiful mindz’ LP. I think hearing the psychedelic work of early flying lotus and that whole scene out in LA in the mid-2000’s also really turned me on to the idea of using more ‘out-there’ studio techniques and kinda put me onto the idea of making instrumental music that had basslines and weight that wasn’t just ‘club’ orientated.

                        Using more ‘out-there’ studio techniques …

                        Artists like J Dilla, Dabrye and Ras G all had some of that cosmic stuff going amongst their work too, using these really interesting ways of layering and chopping sounds. It’s a kind of continuum in a lot of music I think that is always there amongst the layers. Recently I’ve heard a lot of cosmic ambient music that is also quite sample based which has that same feeling too, people like broshuda or UON for example, or even the more beatsy stuff like seekersinternational (whom I’ve made a mini LP with which drops soon)

                        What do you think about club culture? What the situation in your city and beyond?

                        I mean right now it’s asleep, maybe for the better? I think there will be some positive changes if the venues can stay open for long enough. In Bristol, we have some issues with closure or imminent closure, but there’s some small ventures such as High Rise sound system throwing parties to seated crowds. Really, it’s all still on hold, so as I said it’s a good time to pause and think. With regards to DJ and Music Culture in general, there’s work to do in terms of bringing more attention towards doing things in a more consciously progressive manner when we do return to the dancefloor.

                        What are the main criticalities? What we can do to improve it?

                        Here’s 3 out of many..

                        1. Reach out to more people of colour, women, queer, trans, non-binary and other marginalised people if you have a platform and share it with them wherever possible.
                        2. Use your platforms to speak up about things that need changing within the culture you are involved in.
                        3. Promote the music you truly love only, and it will feed you forever. It might not always pay the bills but it will bring more happiness, and that happiness will have more positive affect on the culture around you, it’s a ripple effect in that way.
                        Thank you so much for your availability and effort! We hope to have one of your shows in our leaning tower city of Pisa in the next future!

                        Can’t wait to be back!


                        Links:

                        Om Unit Bandcamp

                        Om Unit Discogs

                        Cosmic Bridge Records

                        Soundwall interviews


                        Ripensare tutto a partire da una maggiore inclusione, parità sociale e culturale e con un occhio critico verso gli aspetti “imprenditoriali” di questa cultura

                        Siamo partiti a gennaio con l’idea di avviare una ricerca sullo stato della Club Culture per comprenderne gli sviluppi e poter contribuire a ritrovarne un significato. In questa prima fase di lavoro stiamo raccogliendo molte interviste tra musicisti, organizzatori, produttori, Djs, addetti ai lavori e appassionati da tutto il mondo allo scopo di sedimentare idee e concetti sui quali poi effettuare un’analisi incrociata con altra letteratura e discussioni da altri media che affrontano il tema.

                        Un progetto ambizioso che affrontato con umiltà, onestà intellettuale e metodo, alla fine potrebbe dare così tanto a coloro che basano la propria vita sulla musica. Tracciare nuove tendenze, indicazioni politiche e soluzioni operative, questi sono i nostri obiettivi finali, per ridisegnare insieme una nuova club culture.

                        Siamo così nella prima fase di un approccio misto qualitativo-quantitativo, stiamo raccogliendo molte interviste …

                        Sotto questo ombrello, il grande “Andrea Mi” con la profondità culturale e la passione che lo hanno contraddistinto, lo scorso gennaio ha accolto la nostra sfida e nella sua intervista ha citato uno degli ultimi EP – ‘Submerged‘ – del suo amico e “fondamentale” produttore inglese Om Unit.

                        Da allora, sono passati sei mesi. Siamo andati molto lontano con Break the Wall, e potrebbe essere il caso di chiudere un primo bilancio di questa avventura. Quindi, presentiamo oggi una bella intervista che Jim Cole aka Om Unit ci ha rilasciato pochi giorni fa.

                        “Come spinti da una sorta di connessione cosmica”. Una forza che lega idee e passione con una dedizione pura per la musica, chiudiamo il semestre con le riflessioni di un DJ, un Musicista e un Producer – Om Unit – che più di altri riesce ad offrire una chiara sintesi sul nostro argomento.

                        Le sue canzoni sono dense, profonde, bellissime di stili e scuole che hanno strutturato la storia della Club Culture negli ultimi decenni: dalla jungle alla techno, dalla bass music ai ritmi house.

                        Andrea Mi, Break the Wall 24 January 2020

                        Da diversi anni Om Unit dà un contributo fondamentale alla musica elettronica. Distinguendosi con un approccio puro, attraverso un’etichetta, la Cosmic Bridge, molte pubblicazioni e una straordinaria capacità innovativa.

                        Immergiamoci ora in questa ricca conversazione attraverso l’astronave Om Unit!

                        Carissimo Jim,
                        grazie mille per la tua partecipazione, è un vero piacere per noi avere poter ricevere il tuo contributo. Stiamo assistendo a tempi difficili. Pensiamo che sia importante proprio ora aumentare le nostre voci e i nostri sforzi. Costruire nuove reti, ponendo “Arte e relazioni umane” al centro delle nostre comunità. Usando la metafora di Mad Mike Banks, questo tempo ci chiede di sostenere quel mare d’acqua invisibile e necessario che definisce la resistenza del’Underground.
                        Cosa ne pensi? Qual è stata la tua esperienza durante il lock-down? nella tua diretta esperienza c’è stato qualcosa che si è mosso in questa direzione?

                        Prego! Mi piace che tu abbia menzionato Mad Mike perché, al momento, sta lavorando con altri musicisti a Detroit per costruire una scuola per bambini. Questo è tanto reale quanto si sta realizzando!

                        Ho vissuto la sofferenza della nostra cultura ma anche come i DJs hanno risposto con grande interesse. C’è stata sicuramente una vasta gamma di adattamenti rapidi, in un certo senso, con cose come lo streaming/feste a distanza. Ma penso che questa crisi ci abbia mostrato che è un buon momento per dare un’occhiata a come e cosa stavamo facendo tutti. Ad esempio, sentivo le persone lamentarsi del lato capitalista delle cose e pensavo che fossero un po ‘allarmiste. Ma recentemente ho davvero avuto il tempo di pensare all’intero panorama della musica e fare il punto su ciò che è veramente importante, il che è stato molto positivo e rinfrescante.

                        Questioni come l’inclusività e la parità sociale e culturale sono ora sul tavolo e ci sono anche altre critiche aperte con l’aspetto “business” di questa cultura che sono tutte molto necessarie al momento.

                        Questa pausa dovuta al Covid mi ha permesso di guardare a fondo la mia strada, posso dire che mi ha permesso di guardare con onestà alla mia direzione musicale e alle mie future scelte compositive in studio. Ed ora mi sto ritrovando in queste scelte con suoni nuovi e interessanti che sembrano più autentici, mentre in parallelo mi muovo verso un formato più eclettico come DJ e produttore. Ho un nuovo show radio che sta per iniziare e alcune nuove ed entusiasmanti uscite in arrivo che riflettono un’atmosfera più autentica per me personalmente, alcune nuove tecniche di studio sono in fase di esplorazione e sto anche lavorando a nuove collaborazioni che sono entusiasta di condividere con le persone.

                        Nei precedenti numeri di #BtW abbiamo discusso molto dell’impatto devastante che la crisi dovuta al COVID ha prodotto sull’intero settore della cultura (almeno per un sistema molto debole come quello italiano).
                        Qual’è stata la tua esperienza diretta come artista e label manager in un sistema più avanzato come quello inglese? Hai trovato un cuscino su cui atterrare, offerto (dalla politica) a supporto al settore?

                        Il sostegno del governo britannico c’è stato, ma solo per i grandi con una somma di denaro molto elevata, che purtroppo è arrivata ai piccoli club. Questo governo conservatore non apprezza le arti quanto dovrebbero, nulla di nuovo, dobbiamo combattere come al solito per il nostro modo di vivere. Tuttavia, c’era un aiuto abbastanza decente per le piccole imprese e un aiuto per i lavoratori autonomi come me. Fortunatamente per me che lavoro part-time come insegnante. Alcuni dei miei amici non sono così fortunati e dovranno cambiare le loro vite per ripartire.

                        È davvero triste perché ballare con la musica è una delle cose più terapeutiche che possiamo fare con il nostro corpo, e i poteri qui non riconoscono il valore di mantenere un posto dove farlo quando la pandemia sarà finita. I luoghi principali erano già sotto pressione qui a causa della natura spietata dello sviluppo e della pianificazione urbana che non tiene conto degli spazi culturali. Il futuro dei locali notturni sembra davvero desolante al momento e nel Regno Unito è necessario fare di più per aiutarli a salvarli.

                        Il messaggio che abbiamo percepito attraverso le tue ultime uscite è sicuramente positivo, un inno per andare avanti. Ci riferiamo a As We Continue che hai lanciato con lo pseudonimo di Phillip D Kick, e quell’inno alla gioia per la cultura rave che è Joyspark.
                        Qual è la tua sensazione con la tua ultima uscita di Phillip D Kick?

                        Il “Phil Stuff” come lo chiamo io, è quasi come un altro, una persona diversa. Cerco di rispettare le radici footwork e jungle ma allo stesso tempo è più una cosa “solo per divertimento”, in cui posso essere libero e creare tracce che colmano uno spazio. A volte prendo troppo sul serio la musica, quindi penso che questo mi permetta di essere libero e di fare più cose da club. Questo nuovo disco è piuttosto rilassato in un certo senso, ma penso di essere sempre stato più interessato al lato più morbido della jungle e sicuramente al lato più jazz della footwork.

                        Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

                        Voglio dire, il mondo sta impazzendo, giusto? Quindi potremmo fare solo della buona arte, quantomeno onesta.

                        Nonostante positiva politica di Bandcamp di sostegno all’autoproduzione, cosa ne pensi del ruolo delle piattaforme durante questa crisi?

                        Sento che la tecnologia è sempre stata una parte fondamentale del mondo dell’arte e che i social media e le piattaforme di musica online non sono diversi. C’è un aspetto positivo nel senso che l’accesso alla musica non è mai stato così vasto per tutti, ma simile a Netflix, quando hai una grande scelta, è come “dove andare”? Adesso gli algoritmi possono sostituire la scelta per te. Molte moderne piattaforme di social media utilizzano tecniche di modifica comportamentale sui propri utenti tramite manipolazione algoritmica (raccomando il recente lavoro di Jaron Lanier al riguardo).

                        Questo, come sappiamo, ha creato un aumento del pensiero populista e della monocultura. Io stesso amo l’accesso alla musica che, ad esempio, la combinazione di discogs e bandcamp mi ha dato, ma non riesco a connettermi così bene con Spotify o Apple Music. Forse è perché il mio interesse è per la musica più di nicchia e per il collezionismo di dischi, ma trovo difficile navigare in una scelta infinita e non voglio dover alimentare un algoritmo per “sintonizzarlo” secondo i miei gusti, è come se cedessi il mio libero arbitrio ad una macchina.

                        Un produttore della tua esperienza ha sicuramente vissuto tutte le fasi della digitalizzazione. Come sappiamo, questa ha avuto impatti diversi sul;’evoluzione dei vari settori.
                        Pensi che COVID abbia esacerbato o attenuato queste dinamiche?
                        Ci riferiamo, ad esempio, alla tendenza sempre più evidente delle persone di spostare la propria vita sociale e il proprio comportamento nel digitale
                        Per coloro che producono musica elettronica come te, la tecnologia ha rappresentato la promessa in un certo senso di un futuro migliore. Pensi che questa promessa sia stata mantenuta?
                        – Ci riferiamo al fatto che abbiamo osservato il lento declino dei movimenti iniziali per fare spazio al mercato e ai consumi. Oppure al fatto che oggi è sempre più difficile immaginare un’utopia o un futuro come poteva accadere negli anni ’80/’90 …
                        Quale futuro ci aspetta?

                        Bene, penso che l’idea “dell’utopia tecnologica” sia solo noiosa. Ancora una volta, devo attingere al punto di vista di Jaron Lanier secondo cui la cosiddetta “singolarità” immaginata da Ray Kurzweil è assurda quanto “The Rapture”. Ci siamo evoluti come creature che hanno un naturale apprezzamento innato della musica in uno spazio reale. Ora se l’idea di una club culture su vasta scala sia a rischio non lo possiamo dire, ma l’aumento delle feste illegali quest’anno indica certamente che manca già qualcosa per le persone. Le autorità farebbero bene a pensare a come mantenere in futuro spazi di danza sicuri e significativi, anche se ciò significa una sorta di “furlough” in termini di affitto per chi aveva cominciato da poco.

                        Il futuro si basa su questo tipo di assistenza e senza di essa non abbiamo alcuna reale certezza di nulla. Penso che il sogno degli anni ’80 e ’90 sia accaduto negli anni ’80 e ’90. Penso che il sogno di oggi sia davvero quello di tornare a una pista da ballo più sicura non solo in termini di pandemia, ma in termini di atteggiamenti delle persone nei club e di atteggiamenti dell’industria stessa. Spetta a noi, all’interno della cultura scegliere l’aspetto e apportare tali modifiche, ma le infrastrutture fisiche stesse devono essere protette.

                        Una curiosità, quando è iniziato l’amore per il tuo “suono cosmico”?

                        Ho sempre avuto un interesse per la musica ambient e spaziale, anche quando ero bambino. Penso che crescere negli anni ’80 abbia giocato un ruolo importante in questo, in qualche modo. Ho sempre amato il modo in cui la musica pop degli anni ’80 aveva questi strani riverberi. Quando ero molto giovane amavo i suoni astratti che artisti pop come Peter Gabriel o Steely Dan usavano nel mix; anche da bambino ricordo di aver sentito cose come ELO e mi chiedevo come facessero a ottenere quegli effetti folli.

                        Penso che sia per questo che adoro il dub reggae e il dub techno anche oggi, l’uso dello spazio e strani FX. Per un periodo di tempo ho suonato anche quel tipo di “Balearic chuggers” di un DJ che per me sembrava piuttosto cosmico. Volevo anche iniettare una sorta di “energia spirituale” nel mio lavoro hip-hop come “2tall” all’inizio degli anni 2000, che è arrivato con l’LP “beautiful mindz“. Penso mi abbia influenzato anche ascoltare i primi lavori psichedelici di flying lotus, così come l’intera scena a Los Angeles a metà degli anni 2000 mi abbia fatto venire l’idea di usare più tecniche di studio che sono “là fuori”, alla portata, e mi ha fatto venire l’idea di fare musica strumentale con bassi e profondità non solo orientata al “club”.

                        usare più tecniche di studio che sono “là fuori”, alla portata

                        Artisti come J Dilla, Dabrye e Ras G hanno avuto anche alcune di quelle cose cosmiche che si inserivano nel loro lavoro, usando questi modi davvero interessanti di stratificare e tagliare i suoni. È una sorta di continuum in molta musica, penso che sia sempre presente tra gli strati. Di recente ho ascoltato molta musica ambientale cosmica che si basa abbastanza sui campioni e che ha anche lo stesso feeling, persone come broshuda o UON per esempio, o anche le cose più eccitanti come seekersinternational (con cui ho realizzato un mini LP che uscirà presto)

                        Cosa ne pensi della club culture? Qual è la situazione nella tua città e oltre?

                        Voglio dire in questo momento sta dormendo, forse per il meglio? Penso che ci saranno alcuni cambiamenti positivi se le sedi potranno rimanere aperte abbastanza a lungo. A Bristol abbiamo alcuni problemi con la chiusura o la chiusura imminente, ma ci sono alcune piccole iniziative come il sistema audio High Rise che organizza feste a folle sedute. Davvero, è ancora tutto in attesa, quindi come ho detto è un buon momento per fare una pausa e pensare. Per quanto riguarda i DJ e la cultura musicale in generale, c’è del lavoro da fare in termini di portare maggiore attenzione nel fare le cose in modo più consapevolmente progressivo quando torneremo sulla pista da ballo.

                        Quali sono le principali criticità? Cosa possiamo fare per migliorarlo?

                        Eccone 3 su molte …

                        1. Coinvolgere più persone black, donne, queer, trans, non binarie e altre persone emarginate se hai una piattaforma e condividere con loro ovunque possibile.
                        2. Usa le tue piattaforme per parlare di cose che devono cambiare all’interno della cultura in cui sei coinvolto.
                        3. Promuovi solo la musica che ami veramente e ti nutrirà per sempre. Potrebbe non sempre pagare le bollette, ma porterà più felicità, e quella felicità avrà un effetto più positivo sulla cultura che ti circonda, è un effetto a catena in quel modo.
                        Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di poterti riavere presto a Pisa con uno dei tuoi show!

                        Non vedo l’ora di tornare!


                        Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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                          SorryCat PODCAST

                          CC#002 SØRRYCAT

                          CC#002 September 2019 with SØRRYCAT

                          Ci risiamo, un altro bel elemento che si affaccia all’orizzonte. Lui doveva nascere in qualche tribù dell’Africa del sud probabilmente, quantomeno avremmo potuto comprendere meglio questa sua passione e capacità di sfornare ritmo.

                          Un altro pisano che si sta guadagnano molto interesse sul fronte della produzione musicale. Parliamo del nostro Afro-melodico SØRRYCAT (bio qui), che è al secondo appuntamento con la nostra serie di PODCAST targati Club Cultura.

                          Come il suo compagno Sterling anche SØRRYCAT in questa puntata porta alla luce, non solo il suono che per lui contribuisce a ridefinire un’idea di cultura Club, ma anche quei produttori dell’area Pisana come gli Undercatt che negli ultimi anni si stanno distinguendo nel panorama mondiale. Da questo punto di vista Pisa non appare più come la città della Torre Pendente ma come una piccola Detroit.

                          Forse questa è una selezione più dritta o comunque più orientata alle sonorità Techno e Dark-Melodic rispetto al primo mixato che aveva una matrice più house o comunque groovie. Beh da lui ci possiamo aspettare di tutto, come fu del resto anche il suo matrimonio, una festa in pieno stile Club Cultura, con live e Dj set fino a tarda notte!

                          fricatism 5ve records

                          FRICAT

                          Quasi come un rituale, mi hanno accompagnato nella quotidianità, ispirato e cambiato la vita, ecco i miei 5 dischi!

                          Quinto appuntamento con #5ve_R! Oggi abbiamo il piacere di ospitare un’eccellenza tutta Toscana. Specializzato in ritmi unici che ti smuovono il divertimento da dentro.

                          Avete capito bene, parliamo dello sperimentatore Fricat e della sua scuola di pensiero il “Fricatism” e abbiamo l’onore di ricevere da lui, Giordano “Joe Antani” Dini, membro assieme a Shapka e Dyami degli Apes on Tapes, 5 perle direttamente dalla sua valigetta personale.

                          (Michelle Davis, The Florentine 2016)

                          Il suo stile esalta la contaminazione musicale gioiosa e sfrenata. Un connubio di trap-hop in cui si scontrano melodie magistralmente patchwork e opposti che danzano teneramente mano nella mano.

                          Noi abbiamo avuto il piacere di ospitare recentemente un suo live sulla nostra piattaforma streaming CCTv, un esibizione tenuta in onore del maestro e compagno di innumerevoli serate Andrea Mi, per ricordarlo insieme.

                          Ha suonato in Italia e all’estero toccando palchi come Elettrowave, Eurosonic Festival di Groningen e Elita. Oggi ci presenta i 5 dischi che rimangono per lui una parte fondamentale della sua vita e del suo percorso musicale.

                          #5VE_R!
                          Read more “FRICAT”

                          Dalo New Sounds

                          Il suono del distacco e dell’immersione. Scopri come.

                          È uscito il 17 Luglio 2020 l’ultimo EP “Simulacro” del produttore Ligure Dalo per la torinese Sideshape Recordings

                          Come per Dalo, la tranquillità vissuta come distacco dalla vita caotica delle nostre città unita al desiderio di immergersi nella contemplazione della natura è qualcosa che ognuno di noi prova e ha provato nella propria vita. Diciamo che rappresenta un sentimento antico, almeno quanto il poeta Orazio uno dei primi pensatori che ci ha lasciato una tale testimonianza.

                          Ora vi direte, ma che c’entra lo stare bene con se stessi, magari in campagna con una rubrica come New Sounds che parla di musica elettronica? Uno si aspetta che i musicisti conducano una vita al limite, fatta di eccessi e di movimento.

                          Ebbene non è sempre così, anzi è molto interessante conoscere e scoprire il movimento opposto, ovvero come dalla quiete e dalla riflessione nasce il bisogno di comporre musica e di intrecciare suoni, di comunicare e raccontare una storia.

                          È con questa prospettiva “rovesciata” che vi presentiamo Simone D’Alonzo aka Dalo, un artista davvero interessante che uscirà domani – Venerdì 17 Luglio 2020 – con il suo primo EP “Simulacro” per la Torinese Sideshape Recordings. Vi consigliamo pertanto di tenere d’occhio nelle prossime 24 ore il Bandcamp dell’etichetta discografica per ascoltare il suo nuovo lavoro.

                          DALO

                          L’arte della quiete è sempre stato un motto che mi ha ispirato a creare musica. Semplicità nel fermare e osservare un mondo in costante cambiamento, poiché cambia il mio desiderio di creare sempre suoni diversi nella pace della mia camera da letto. Dopo più di un anno di lavoro arriva “Simulacro”, due pezzi che descrivono meglio la dicotomia tra il flusso continuo di cose e la contemplazione di esse.

                          Simone è nato a Bordighera, in Liguria, un luogo con feste in spiaggia e malinconia, che sono le caratteristiche di quasi tutte le sue produzioni musicali.

                          Beatmaker, ha debuttato con il suo primo lavoro elettronico da solista nel 2013 con l’EP Motion per Audiokult collaborando con la cantautrice inglese Cammie Robinson. Sempre con l’etichetta austriaca pubblicherà due ep, poi si sposterà con con la teutonica “Emerald & Doreen rec.” Con loro ha pubblicato un EP e 3 Lp. Infine Dalo ha partecipato a diverse uscite come remixer e altrettante compilation, alcune selezionate dal DJ Jerry Bouthier di Kitsune.

                          In ciascun numero di “New Sounds” vi presenteremo cosa bolle in pentola, le novità sommerse nella rete, i suoni da tenere d’occhio, gli artisti emergenti nel panorama nazionale, le labels e i retroscena della produzione elettronica.

                          Benvenuto su New Sounds Dalo! Domani 17 Luglio uscirà “Simulacro” per Sideshape Recordings: un EP contenente due tuoi nuovi brani “Simulacro ed Entropia” e un remix di Simulacro by Plato. In questo lavoro ci muoviamo su un’elettronica libera da schemi fissi, dove la componente ritmica diventa rituale. Tuttavia per capirne l’origine facciamo un paio di passi indietro, parlaci di te?

                          Dalo è un ragazzo di 33 anni che vive a Bordighera in Liguria, diviso tra due passioni, videogames e orto. Una dicotomia che in qualche modo si rispecchia nel mio modo di fare musica, tra elettronica e ricerca di situazioni più immersive emotivamente, come i panorami sul mare che regala la mia città.

                          Quando inizia il tuo percorso musicale? Con quali sonorità ti senti più in empatia?

                          E’ stato proprio un gioco per la prima playstation ne 1999, “music 2000” che mi ha introdotto alla creazioni musicali, ma è stato poi nel 2012 che ho iniziato a condividere le mie prime produzioni su soundcloud, dove poi ho conosciuto Audiokult ed Emerald&Doreen, le due label, la prima austriaca e la seconda tedesca, che hanno pubblicato i miei lavori fino a quest’anno, dove finalmente si rimane in patria.

                          I suoni che più mi regalano emozioni sono quei brani celtici, orientali o comunque etnici, che mi ispirano per la produzione dei brani. Nonostante la mia libreria musicala sia veramente variegata, e non solo di elettronica affine al mio genere, i suoni più meditativi, legati a vecchi strumenti e tradizioni, sono quelli che mi emozionano sicuramente di più.

                          Domani esce “Simulacro”. Un’altra chicca per la casa discografica Torinese a due settimane circa da “Emotional Control” dei Wicked Expectations. Questa volta strizziamo l’occhio all’IDM più concettuale con una manipolazione di elementi vocali e parti ritmiche che ci porta in una dimensione eterea caratterizzata da un costante movimento. Tocchiamo il cielo e ci spingiamo nella giungla più profonda allo stesso tempo.
                          Una curiosità, perché Simulacro? Da dove nasce l’idea?

                          Mi ritengo molto fortunato a vivere in una città immersa nel verde, e potermi dedicare ad una passione “dimenticata” come l’orto, su di un bellissimo mare come panorama.

                          Questo vivere al di fuori dai ritmi frenetici delle città mi permette di avere sempre una sensazione da raccontare in musica. Simulacro nasce dalla consapevolezza di un tempo che si ferma, se ci si mette a godere di certi momenti, come osservare appunto il mare, ma allo stesso tempo il continuo flusso di esso, in continuo movimento, come siamo noi.

                          Quindi ho voluto riprodurre in musica questo concetto, suoni eterei che rimandassero alla contemplazione sopra dei tappeti ritmici che dessero loro un movimento costante.

                          Cosa ti ha influenzato maggiormente in questo primo lavoro per Sideshape? Rispetto ai tuoi precedenti brani senti di aver liberato qualche parte di te e intrapreso un nuovo percorso?

                          Sicuramente sì, ho sempre avuto un approccio “emotivo” con le mie produzioni, ma è sempre stato molto marchiato un mio lato “disco” nelle precedenti uscite, un mio lato più “danzereccio” che con gli amici di Sideshape per questo lavoro ho smussato, cercando di raccontare una storia, al contrario di fare battere i piedi a tempo. In un anno di tempo, da quando ho avuto la fortuna di conoscere Gaetano e la famiglia Sideshape, ci siamo sempre  confrontati su cosa volessi “raccontare” con questo disco, loro sono stati sempre super attenti affinché uscisse l’emotività in questo progetto, e questo modus operandi mi ha davvero dato una marcia in più per creare qualcosa di più intimista, poi il remix di Plato è stata la ciliegina sulla torta.

                          Suoni live? Che strumenti hai usato per comporre questo EP?

                          Ho fatto dei Dj set, ma ora non suono più. Preferisco la produzione all’esecuzione live, un giorno potrei cambiare idea, ma per ora sono fuori totalmente dal mondo club. Per la produzione, mouse e tastiera sono stati i veri protagonisti, gli unici veri strumenti che uso sono una tastiera midi ed un campionatore.

                          Seguirà qualche altro lavoro? Cosa hai in cantiere?

                          Mi piacerebbe continuare questo percorso con Sideshape e qualcosina in lavorazione c’è già, ma ho anche in mente di implementare un progetto di musica con qualcosa di visivo, come un cortometraggio, sarebbe il mio secondo e mi diverte un sacco realizzarli.

                          Come vivi il rapporto con l’elettronica più orientata ai club? Quali sono 5 dischi a cui non potresti rinunciare in un Dj-set?

                          Adoro l’elettronica che fa divertire nei club, ma quella sofisticata, che anche se non stai a sudare in pista la sia apprezza per le sue sonorità.

                          I 5 must sono:

                          • Gold Panda – You
                          • Kenton Slash Demon – Sun
                          • Gidge – you
                          • Pional – Into a trap
                          • Indian Wells – Alcantara
                          Simulacro EP, Artwork: Maniaco D’amore [Pietro Tenuta]; Copyright Sideshape Recordings; Release date 17 July 2020

                          Grazie ancora Simone per il tuo prezioso contributo e speriamo di poterti sentire presto magari con un mixtape per il nostro futuro format Transmedia!


                          Links:

                          Dalo on Sideshape.com

                          Soundcloud

                          Biography

                          Simone D’Alonzo aka Dalo was born in Bordighera, in Liguria, a place with beach parties and melancholy, which are the characteristic almost of all his musical productions.

                          He began as a beatmaker, but made his debut with his first solo electronic work in 2013 with the EP Motion, for Audiokult, working with the English singer-songwriter Cammie Robinson, with the Austrian label he will publish two ep, then he will move to the German Emerald&Doreen rec. With the latter, he will publish an EP and 3 Lp, been part in several releases as remixers, and as many compilations, some selected by the DJ Jerry Bouthier of Kitsunè.


                          Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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                            Wicked Expectation New Sounds

                            Emotional Control by Wicked Expectation

                            Emozioni racchiuse nel suono elettronico di una band Torinese capace di ridisegnare il dance-floor

                            Quale città meglio di Torino per cominciare il nuovo viaggio di ricerca musicale con New Sounds? Una città da sempre ricca di idee, vivacità culturale e proposte musicali di caratura internazionale. Ci piace pensare che questa nuova rubrica di Under-blog possa essere inaugurata non a caso in una delle culle della musica elettronica della nostra penisola. E non a caso i suoni che vi presentiamo oggi si intrecciano con una realtà che sta crescendo molto sia per qualità delle proposte che per numerosità delle uscite.

                            Parliamo del nuovo Ep dei Wicked ExpectationEmotional Control” uscito lo scorso 26 Giugno 2020 per la Torinese Sideshape Recordings.

                            Un EP che combina i generi IDM e Brokenbeat, ispirato dalla cultura del clubbing, l’essenza del controllo emotivo si riflette nella costante ricerca di un equilibrio tra distanza e isolamento. Non a caso il lavoro è stato registrato durante il lockdown dovuto al COVID-19 ed esprime la necessità dell’evasione attraverso un sentimento di malinconia.

                            Grain of Sand sembra molto contemporanea pur mantenendo una certa influenza proveniente dagli anni ’90. Le percussioni di batteria e basso ricordano il genere IDM, mentre le voci glitch raggiungono il loro culmine creando melodie e atmosfera synthpop.

                            Emotional Control suona in modo più sperimentale, con un groove spezzato fatto dalla combinazione di batteria, basso e campioni vocali. La malinconia dell’isolamento da Covid-19 ha giocato il suo ruolo nel nuovo stile di Wicked Expectation, culminato con la creazione di questa traccia.

                            press release Sideshape.com

                            In ciascun numero di “New Sounds” vi presenteremo cosa bolle in pentola, le novità sommerse nella rete, i suoni da tenere d’occhio, gli artisti emergenti nel panorama nazionale, le labels e i retroscena della produzione elettronica.

                            Rinrgaziamo così i Wicked Expectations per il tempo e le risposte che ci hanno fornito e ci lanciamo ad esplorare il loro suono.

                            New Sounds
                            Copyright Wicked Expectation
                            Benvenuti su New Sounds ragazzi! Il 26 Giugno è uscito “Emotional Control” per la Torinese Sideshape Recordings. Un nuovo e potente EP contenente due brani a cavallo tra sonorità IDM e matrici più dance con l’innesto della voce che squarcia le atmosfere più scure per potare l’ascoltatore verso una profondità emotiva luminosa. Prima pubblicazione con l’etichetta discografica Torinese, come vi siete trovati? Vi hanno supportato da subito nel progetto?

                            L’incontro con i ragazzi della Sideshape è stato incredibilmente fortuito e casuale, ma nulla succede per caso e questa collaborazione è nata subito sotto una buona stella! Ci siamo sentiti subito come a casa nostra e speriamo davvero che questa sia solo la prima di una serie di pubblicazioni insieme!

                            Un pò di spazio ai retroscena che vogliamo approfondire qui su New Sounds…Quali sono le figure della label con cui avete maggiormente collaborato?

                            In generale, dato il loro ruolo, abbiamo collaborato inizialmente con Alessandro Di Paola (per il mix dei brani) e Gaetano Lo Bianco (per le scelte di pubblicazione). Successivamente anche con Pasquale Lauro (PLATO) e Maniaco D’amore [Pietro Tenuta] (per l’artwork). E’ stato un vero piacere conoscere tutti e sicuramente avremo modo di approfondire la loro conoscenza nei prossimi mesi!

                            Quando avete iniziato a lavorare a questo progetto? Tutto strumentale o ibrido con l’ausilio di DAWs e VST?

                            Direi abbastanza ibrido. In una prima fase abbiamo registrato alcune parti in studio, dopodiché tutto il lavoro è stato fatto su DAW, con l’editing dei vari samples e creazione dell’arrangiamento vero e proprio.

                            Dove avete registrato il materiale e in particolare la voce?

                            La maggior parte delle registrazioni è stata fatta nel nostro piccolo studio a Milano, alcune parti le abbiamo però inevitabilmente registrate a casa durante il lockdown.

                            Nel cantato come nelle parti ritmiche ci risento diverse influenze, ad esempio la brillantezza della voce mi ricorda un po’ alcuni pezzi dei Gus Gus (Arabian Horse), vi ispirate a qualcuno?

                            Più che ispirarci ad uno o a più artisti in particolare, direi che ad influenzarci maggiormente è la musica che ascoltiamo. Per la verità i nostri ascolti variano molto anche tra noi componenti della band. Forse è proprio questa strana alchimia che crea il nostro stile.

                            Come avete avviato il progetto e quali sono le vostre inclinazioni?

                            Il progetto è nato nel 2012 con Gianluca ed Andrea e ha attraversato diverse fasi. In origine eravamo molto più Rock/Alternative e meno ‘elettronici’. Poi con il passare degli album e degli EP, la voglia di sperimentare con la musica elettronica ha preso sempre più il sopravvento.

                            Da band, come vivete il rapporto con la techno, elettronica e dance? Quando è nata questa infatuazione? Da buoni Torinesi ci aspettiamo che i Subsonica abbiano fatto da apripista ad intere generazioni successive, è stato così? Oppure ci sono percorsi più intimi e segreti?

                            I Wicked sono nati come band alternative nel 2012. Inizialmente le influenze erano band che univano l’elettronica ad altri generi, una su tutti i Radiohead. Piano piano ci siamo avvicinati sempre di più ad un’elettronica “club” ma mantenendo sempre la nostra formazione originale. La strumentazione si è evoluta con noi e, forse la caratteristica peculiare, ci accompagna ancora oggi un live set-up da alternative band insieme a tutta la strumentazione elettronica necessaria; forse questa cosa è quella che più ci accomuna ai Subsonica, che è una band da noi sempre apprezzata ma che non è mai stata la vera fonte di ispirazione.

                            Il vostro è un progetto solo musicale oppure avete in mente di unire ad esempio nei vostri live l’ausilio di video e altri media per arricchire l’esperienza?

                            L’unione audio-video, secondo noi, è fondamentale per completare il viaggio e renderlo un’esperienza sensoriale a tutto tondo. Negli scorsi anni abbiamo utilizzato delle proiezioni durante i live. Ci piacerebbe implementarle con il video mapping, magari in collaborazione con qualche artista di quel mondo…

                            New Sounds
                            Emotional Control EP, Artwork: Maniaco D’amore [Pietro Tenuta]; Copyright Sideshape Recordings
                            Toccando il tema dei live, di sicuro la situazione che stiamo vivendo è scoraggiante, in New Sounds siamo curiosi di capire voi da musicisti come avete vissuto il lockdown e come vivete la situazione attuale? Quali sono le vostre prospettive future? Su under-blog abbiamo ampiamente discusso della problematica in BtW

                            La situazione live è sicuramente drammatica, per la quantità di persone che lavora in questo mondo e che, per ora, è impossibilitata a lavorare. Alcune programmazioni sono riprese, anche se con mille restrizioni e misure di sicurezza, ma tutti noi guardiamo al futuro con l’ottimismo di poter tornare a fare i concerti in modo tale che risultino un piacere per chi ascolta. Per quanto ci riguarda, noi abbiamo scritto musica nuova durante questo periodo, quella che state ascoltando è parte di essa, altra arriverà…

                            Speriamo di potervi ospitare presto in Toscana, magari di vederci a Pisa! Vi ringraziamo ancora per questa chiacchierata su New Sounds!

                            Per ora abbiamo fatto un solo live in Toscana, a Serravalle Pistoiese durante il festival Serravalle Rock. Quella sera abbiamo suonato insieme agli islandesi Vok ed è stata una serata memorabile. Speriamo di tornare assolutamente presto dalle vostre parti!


                            Links:

                            Wicked Expectation on Sideshape.com

                            Soundcloud

                            Band page on facebook

                            Biography

                            Wicked Expectation are an electronic/IDM band from Turin, Italy. Experimentalambient and glitch sounds are mixed with pitched vocals and synths, designing an immersive and mind-altering imaginary. The band was formed in 2012 and published its debut album Visions in 2015 that was played live across Italy and Switzerland. Visions concept is about the relationship between humans, nature, and technology: a restless and schizophrenic coexistence that might generate great innovations and catastrophes at the same time. The sound research and new instrumental set-up pushed the band to create new songs included in the new album Folding Parasite that does not have a concept behind. Folding Parasite songs have massive use of synthesizers and samples, with fewer guitars and acoustic drums compared to the previous album. Groove is often a combination of Bass, Synth Bass, and Drum Machines. The album tour let the band play across Italy (including summertime festivals), Switzerland, France, and Belgium. Folding Parasite was released in March 2017.

                            In April 2019 the band released Echoes which represents a step further into the Wicked Expectation production process. The sound is even more electronic and abstract with downtempo rhythms, allowing the band to play also DJ sets. In June 2020 the band released Emotional Control, two-tracks EP for the Turin-based label Sideshape Recordings.


                            Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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                              PUM Factory è orgogliosa di lanciare un nuovo progetto transmediale, nella ricerca tra musica elettronica, danza e video arte: “Tempo to Tempo” Ep.1

                              Il progetto è ideato in collaborazione con la Parallelo Dance storica compagnia di danza. 

                              L’idea vuole esplorare il confine tra la danza tribale e quella occidentale per riscoprire la matrice del tempo. Verranno analizzate strutture antropologiche di varie culture al fine di ottenere una congiunzione tra passato, presente e futuro. Si prevede lo sviluppo di cinque Episodi sul tema.

                              L’audizione e indirizzata a danzatori, danzatrici e performers per la realizzazione in video dell’Episodio1.

                              Il progetto “Tempo to Tempo” verrà proposto in festival nazionali e internazionali.

                              L’audizione verrà effettuata il giorno mercoledì 15 Luglio 2020 a partire dalle ore 18:30 a seconda dell’ordine delle adesioni pervenute. L’Audizione si terrà presso la sede della Parallelo Dance in Via Coccapani 54 Pisa c/o Mistral.

                              Il progetto è indirizzato a chi ama la danza, a tutti gli artisti motivati dalla voglia di sperimentare nuovi percorsi e dal desiderio di contribuire alla realizzazione di contenuti innovativi nel campo della danza e dei linguaggi multimediali arricchendo o consolidando le proprie esperienze performative.

                              Si collaborerà con artisti che offriranno un’esperienza e un expertise internazionale nel campo della danza e dei linguaggi multimediali.

                              È richiesta un’età minima di 18 anni compiuti. 

                              danza
                              Inviare una candidatura con:

                              Una breve descrizione dei propri studi/formazione professionale (max 200 parole). Chi fosse in possesso di un mini clip, è gradita la visione.

                              Info e candidature:

                              parallelodance@gmail.com                                       info@pumfactory.it

                              Testo integrale della call qui

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                                Alessandro Nuzzo Break the Wall

                                Alessandro Nuzzo

                                Comprendere la deriva mainstream

                                Intervistare anche l’altra parte – il mainstream – della fetta legata alla vita notturna è una questione di oggettività del metodo. Non possiamo costruire un nuovo concetto di Club Culture senza considerare anche le sue derive, o meglio ancora: le appropriazioni del mainstream verso quegli aspetti che funzionavano bene nel vero Underground. Agendo di rottura se è il caso, ma questo è insito nello stesso titolo della rubrica: Break The Wall (qui il numero passato se lo avete perso). E allora rompiamo questo muro e andiamo alla scoperta di quei tasselli, di quelle schegge impazzite che fuori dal contesto nativo rappresentavano i migliori ingredienti di partenza. Infondo è un esercizio di ascolto.

                                Qual’è la sottile linea rossa che oggi unisce il mainstream alla tanto amata Club Culture? Quali sono gli elementi sottratti? Quali quelli che si prestavano a questa operazione? E quali quelli che viviamo ancora oggi come forzature?

                                Con le giuste cautele, grazie alla nostra inviata speciale Rozz Ella abbiamo raccolto il pensiero di un altro giovane e brillante imprenditore locale “Alessandro Nuzzo”, gestore dello storico Caino a Pisa.

                                Prima di lanciarci nell’intervista vera e propria occorre una premessa ulteriore: su Under-blog parliamo di Arte, Musica, come quella elettronica e di tutto ciò che che possiamo definire contro cultura. E lo facciamo con la passione del ricercatore innamorato della qualità. Per questo non siamo soliti a rappresentare retoriche mainstream.
                                Forse perché in prima battuta è proprio il mainstream lo spirito in antitesi dal quale parte la nostra fuga da quel rumore di fondo che ha svuotato di significato i luoghi che amiamo in favore di “facili giochetti di pancia” (cit. Carlo Affatigato). Tuttavia riteniamo maturo il cercare di spingersi anche oltre il confine del nostro settore per scoprire qualcosa di nuovo, mantenendo quindi un sano contraddittorio tra mainstream e underground almeno laddove riconosciamo elementi di qualità anche tra le proposte più commerciali.
                                Forse perché anche fuori dal muro ci sono elementi preziosi da recuperare per riscrivere una nuova pagina per la Club Culture.
                                Lumiere Mainstream
                                Lumiere Pisa, ZooStaff
                                Ciao Alessandro, cosa è per te la Club Culture?

                                “Club” e “Culture” sono due parole che appartengono a due mondi infiniti che si uniscono e si intrecciano in perfetta armonia. Descrivono un movimento culturale che ruota intorno ad un linguaggio universale: LA MUSICA, in tutte le sue sfaccettature.

                                Quel linguaggio capace di unire diverse culture e nazionalità. Quel codice che arriva dritto al cuore per regalare emozioni, sogni, nuove conoscenze, opportunità e soprattutto nuove storie. La club culture racchiude stili musicali diversi, ognuno capace di dare un colore e una tonalità differente per ogni genere di pubblico.

                                Dal magico mondo della musica dance alle emozioni dei live, passando anche per gli “happy hour”,  ormai sempre più apprezzati in Italia. Capaci di abbinare il mondo della musica al gusto di un aperitivo, ad una pausa relax e all’arte del “mixology”, con cocktail innovativi che si sposano ad ogni situazione e stato d’animo. Proprio per questo ho sposato il concetto di Club Culture nella sua completezza e in diversi ambienti: dalle cene e dagli “happy hour” con il Caino di Pisa, agli aperitivi in riva al mare dello Zen Beach di Gallipoli. Dalle grandi notti del Giovedì del Lumiere Pisa, a quelle frizzanti dell’Estate in Salento con il Ten Gallipoli.

                                Ogni fase della serata può essere scandita da un ritmo diverso, ogni attimo è quello giusto per creare nuovi spazi culturali, per condividere esperienze e confrontarsi continuamente sulle questioni di vita quotidiana. Ogni attimo ricorda un momento da raccontare, un aneddoto, un viaggio, una nuova lezione di vita.

                                Tante volte quando mi capita di descrivere un live o un dj set mi piace definirlo come un viaggio musicale che abbraccia diversi momenti e anni della nostra vita, un viaggio creativo ed educativo che stimola la fantasia e ci aiuta a rivalutare determinate situazioni che ci hanno resi protagonisti in questa società.

                                Lumiere Mainstream
                                Lumiere Pisa, ZooStaff
                                Un disco che la rappresenta? 

                                Il 2006 è stato proprio l’anno in cui ho iniziato a sposare il mondo della Club Culture, proprio per questo scelgo un disco di quel periodo per me ricco di significato. Qualcosa iniziava a cambiare nella mia vita e ad assumere un ritmo ben chiaro. Il disco è “I’m really hot” di Missy Elliot e Timbaland, remixato magistralmente dal dj Antonio Ferrari, in arte Ralf. Grande maestro Italiano dell’House Music, un genere che ha segnato una svolta musicale nel mondo del club: da Chicago a Londra e naturalmente anche in Italia.

                                Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

                                Bisogna analizzare la questione dalle basi e capire attentamente la psicologia del pubblico. Ho iniziato il mio “viaggio” nel mondo del club a 18 anni. In 14 anni il mondo è cambiato e si è trasformato senza sosta. La tecnologia compie passi da gigante e cambia l’approccio, la mentalità, l’idea della gente nei confronti del clubbing. I miei primi passi li ho compiuti nel mondo delle pubbliche relazioni, a mio avviso fondamentali per studiare bene ciò che la gente desidera.

                                Ho iniziato a Gallipoli, città cardine del mondo dell’intrattenimento, che mi ha insegnato tanto e tutt’ora continua a darmi nuovi spunti.

                                Ho iniziato instaurando contatti diretti con le persone. Partendo dalla classica stretta di mano sono nate grandi amicizie, ho continuato a trasmettere il mio amore per il mio lavoro. Ho cercato di capire come si evolve la società in base ai cambiamenti.

                                Anche il mondo della comunicazione infondo rientra in un percorso culturale, rappresenta il biglietto da visita di un club. Senza comunicazione non si potrebbe fare Club Culture. In questo modo, nel mio piccolo e tramite le interazioni, riuscivo tante volte a comprendere cosa la gente chiedeva, quale genere di club poteva piacere, come organizzare una serata a 360 gradi: dalla musica agli effetti, dal personale all’ambiente accogliente e coinvolgente.

                                Mi sono immedesimato sempre nello sguardo e nelle aspettative del cliente.
                                E qui noi aggiungiamo che questi sono elementi fondamentali sia per l’Underground che per il Mainstream, ma spesso nel mondo dei Club Underground sono andati a perdersi. Spesso dall’altro lato della barricata si pensa che basta la “musica” e ci si stupisce quando il pubblico si porta da bere da casa. Forse la verità sta nel mezzo. Ovvero a fronte di pochissimi operatori che hanno saputo rinnovarsi nel tempo e adeguare le proposte artistiche ai cambiamenti, sono subentrati tanti operatori più improvvisati che col pensiero di “apro un bunker tutto buio con un mega impianto e tanto il resto lo fa la gente” hanno progressivamente contribuito a distruggere quella scintilla iniziale.

                                La crescita del mondo dei social network ha generato inconsciamente un distacco del mondo del club dal proprio pubblico, inizialmente sottovalutato e dopo sempre più crescente. È un peccato! Penso che il corretto utilizzo del social può divulgare una serata ricca di significato o un live esclusivo, ma non basta. Un gestore di un club o un organizzatore dovrebbe conoscere meglio la propria clientela e interagire direttamente, di persona, con le associazioni, con i gruppi di studenti, con la gente che apprezza questo mondo e anche con chi non lo apprezza, con l’intento di incuriosire e avvicinare nuova gente al proprio club. Bisogna armarsi sempre di pazienza e capire bene che una persona si sente a casa propria quando è coccolata, ed è una cosa normalissima. Inoltre bisognerebbe creare un legame tra la clientela e il club, promuovendo un prodotto musicale valido, proponendo “dj o artisti homemade”, ai quali affezionarsi, attuando un servizio impeccabile a partire dal personale con l’obiettivo di creare una famiglia all’interno del club stesso che trasmetta entusiasmo e valori importanti alla clientela. Ne approfitto per salutare il mio staff e i miei compagni di avventura che sono la mia seconda famiglia.

                                Ci teniamo a sottolineare che si tratta di un altro tema fondamentale che Alessandro tocca con la giusta delicatezza. Spesso sia nell’Underground che nel Mainstream parliamo di qualità ma poi ci dimentichiamo degli artisti locali, delle scene, di coloro che contribuiscono ad alimentare la scintilla a favore dei grandi nomi o dei facili incassi. Questo avviene in tutti e due i mondi paralleli. Siamo d’accordo con Alessandro che bisogna ripartire dalla scena locale. Lo diceva anche il nostro caro amico Fonx Fonzarelli in questa intervista per BtW.

                                È importante anche investire periodicamente su ospiti speciali, capaci di aumentare il blasone del club, ma senza dimenticare che l’afflusso continuativo della gente non deve assolutamente dipendere solo dalla presenza o meno dell’ospite. La creatività fa sempre la differenza.

                                Infine servirebbe una maggiore tutela da parte delle nostre istituzioni nei confronti del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, si tratta di investimenti importanti sulla cultura e sull’educazione del mondo giovanile. Serve una maggiore promozione della club culture made in Italy. Infine ci vorrebbe più unione, collaborazione e cooperazione tra i vari club presenti nella stessa città, per valorizzare il territorio e attrarre un bacino sempre più ampio di turisti. All’aumentare delle proposte di qualità, aumenta il bacino di gente.

                                Nuzzo Mainstream
                                Alessandro Nuzzo, Lumiere Pisa

                                Ora più che mai, in fase di pandemia, questo settore avrebbe bisogno di una grossa mano per poi essere rilanciato in grande stile. Lo meritiamo, e lo merita quel motore che lavora duramente dietro le quinte per dar vita allo spettacolo. Noi nel nostro piccolo cerchiamo di non fermarci e di nutrire tanta speranza per il futuro.

                                Sono diverse le iniziative social che stiamo proponendo durante il lock-down: dalla diretta del Giovedì Universitario di Pisa, alla diretta musicale della Domenica del Caino: il dj set di Marco Ruscio, tutto in vinile, con suoni ricercati, che servono a ricreare l’atmosfera dei nostri aperitivi. Per non parlare delle immagini condivise sui nostri social, con l’intento di ricordare serate speciali o momenti indimenticabili come una festa di laurea o una ricorrenza particolare. Tutto questo per infondere positività, in attesa del ritorno. Infondo, come dice Ligabue, “certe luci non puoi spegnerle”.

                                Quale è la Club cultura che vorresti? 

                                Mi piace vedere la club culture come un laboratorio e un’esplosione di idee. Un mondo in continua trasformazione, che non conosce limiti e che porta a reinventarsi continuamente, anche nei periodi più complicati. Infondo dalle difficoltà nascono sempre idee innovative. Basta non tralasciare la cura del dettaglio e la qualità, con l’obiettivo più importante di tutti: TRASMETTERE UN’EMOZIONE.

                                Caino mainstream
                                Caino, Pisa

                                Ringraziamo Alessandro per il suo contributo e li facciamo un grosso in bocca al lupo per tutto.

                                Crediamo, come emerge tra le righe che ci siano oggi molti più aspetti in comune tra chi opera – anche se in antitesi – per offrire socialità e contatto umano al centro del proprio mondo (innovazione, comunicazione diretta, utilizzo mirato delle tecnologie). Il mainstream ha saputo lavorare proprio su questo elemento, ovvero ricreare quella famiglia sociale allargata e quell’energia su cui poi instaurare legami. Se nell’Underground questo è sempre stato un elemento spontaneo, oggi è forse uno degli ingredienti mancanti. C’è chi sostiene che non si può recuperare ciò che è stato o vivere di nostalgia in eterno, verissimo. Tuttavia la domanda chiave è come alimentare nuovi movimenti spontanei e aggregazioni capaci di illuminare nuovamente le nostre notti e non solo. Tra le parole di Alessandro emerge lo stesso fascino per la Club Culture che possono avere anche le persone più lontane dalla sua proposta culturale. Certo non si può vivere di luce riflessa, tuttavia a noi piacerebbe tanto recuperare nel nostro piccolo quel bagliore originario.


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                                Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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                                  Fabio Meini 5ve records

                                  Fabio Meini

                                  5 dischi che hanno cambiato la storia delle sonorizzazioni e della musica da film!

                                  In questo quarto appuntamento con #5ve_R! vi presentiamo 5 dischi che hanno segnato il passo nella storia della musica italiana e non solo. Parliamo di sonorizzazioni e colonne sonore e lo facciamo con un’artista poliedrico, per noi un’autorità sul genere.

                                  Fabio Meini è prima di tutto un appassionato di Cinema. Da lì nasce la sua spinta come ricercatore di musica da film e sonorizzazioni italiane. Ma è anche un abile scrittore e poeta. Inizia con la prosa in vernacolo per i Gatti Mezzi, suo il testo della famosa “Caciucco Blues”. Successivamente sforna quattro libri: “Novelle per bimbetti cattivi”, “Cacciucco Blues e altri versi in pisano”, “I vivi e i morti” con illustrazioni di Andrea Pioli e “Vattro (Gocce di Paura)” in collaborazione con l’artista pisana Daria Palotti. Ma non si ferma con la scrittura. La sua passione lo porta anche a recitare, una piccola parte nel film “Sogni di gloria” di John Snellinberg, e altre parti in videoclip dei Calibro 35 e Tommaso Tanzini.

                                  In campo musicale dopo anni di dj set specializzato in musica degli anni 70, crea il progetto “Quando finisce la musica, spara!” insieme a VJ Giordz dando vita ad un vj-set cinematico sonorizzato in vinile.

                                  #5VE_R!
                                  Read more “Fabio Meini”

                                  Break the Wall

                                  Giovanni ‘Giangi’ Natalini aka Co-Pilot

                                  La musica come un mantra, come urgenza di comunicare qualcosa

                                  Ed è proprio quando sei stanco dell’ammasso informe di musica che oggi abbiamo a disposizione grazie al web che accendi il Co-Pilot-a; poi doppiamente curioso se ti fai guidare da Break the Wall e allo stesso tempo scopri alla guida un talento come Co-Pilot.

                                  ‘Giangi’ natalini è di sicuro una delle sorprese più interessanti della nostra quarantena. Si parla di Musica, quella con la M grande. Basta poco, buttate un orecchio sull’incipit della sua “Suburban Retro Wave Superstar” brano uscito nel suo ultimo lavoro D.Y.I per per Weme Records che trovate qui.

                                  Inoltre recentemente ha registrato un live set in esclusiva per l’etichetta New Interplanetary Melodies di Simona Faraone.

                                  È un grande piacere per noi poterci confrontare con ‘Giangi’ grazie a #BtW e assieme provare a riscrivere un altro pezzetto di storia verso una nuova CC! (qui il precedente numero).

                                  Chi sei? Descrivi te stesso in poche frasi

                                  Giovanni ‘Giangi’ Natalini aka Co-Pilot. Co-Pilot è il mio co-pilota, quello che ha sempre la soluzione, quello che sa sempre cosa fare, il Mr. Wolf della situazione. Co-Pilot ‘può esse piuma ma puo’ esse anche fero’.

                                  Quale musica elettronica ti rappresenta?

                                  Beh ce ne sono molti di sottogeneri che mi potrebbero rappresentare in qualche modo: dalla techno anni ’90 alla minimal odierna, dalla deephouse alla downtempo per passare all’afrobeat, dalla drone music alla field music fino alla glitch.

                                  Quando è iniziato questo amore?

                                  Premetto che il mio background ancestrale è per lo più punk/hardcore/alternative: ho tatuate le tre bandiere nere dei Black Flag 🙂 ma… mi ricordo che fui spiazzato da un fuori programma di Mike Patton nel live at Brixton Academy dei Faith no More: sul finale della song ‘Epic’, che finisce con un giro straziante di pianoforte di Roddy Bottum, il buon Mike intonò un cantato che nella song originale non c’era… così andai a spulciare forum, notizie e cose varie su quel live e scoprii che era l’inciso di ‘Pump up the Jam’ dei Technotronic. Da lì iniziai ad approfondire la techno anni 90 e posso affermare che gli LFO sono coloro che mi hanno svezzato riguardo la musica elettronica (tra l’altro sto lavorando a un re-edit dell’omonima track LFO).

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                                  Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

                                  Non sono propriamente la persona giusta per affrontare questo argomento, ma conosco abbastanza bene il mio territorio (il Ternano) e le sue dinamiche e posso dire che negli ultimi tempi (ovviamente prima del virus) i club li possiamo contare sul palmo di una mano e sono per lo più abbastanza generalisti. Parliamo di house e commerciale. Vedo più gente all’aperitivo che nei club…

                                  Quali sono le principali criticità?

                                  La criticità è l’interesse. L’esempio è quello classico del bottone ‘partecipa all’evento’, poi ci va ¼ di quelle persone. Un’altra criticità è il ricambio generazionale: ci sono pochi ragazzi che si ‘accollano’ l’organizzazione di eventi, vuoi per i 1000 impedimenti della burocrazia mediocre italiana, vuoi per la poca voglia di mettersi in gioco, a parte qualche eccezione.

                                  Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

                                  Beh ad esempio voi siete l’eccezione a cui facevo riferimento sopra. Si può migliorare solo facendo rete, creando le famose ‘Scene‘. Però le scene si formano dando spazio e credito agli artisti locali, cosa che difficilmente succede… c’è un certo snobismo molte volte da parte di realtà locali anche affermate che invece di dare risalto o aiutare la scena locale, cercano sempre e soprattutto all’estero per un pregiudizio di base e perchè fa figo. Poi, l’artista grande ed estero va bene, ma gli devi mettere al fianco quello locale per far crescere la già citata ‘SCENA’ altrimenti è solamente un ‘culto della personalità’ (Living Colour) degli organizzatori.

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                                  Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

                                  Beh ovviamente l’aspetto positivo che si può riscontrare oggi rispetto al passato è la presenza della tecnologia e dei media/social che in qualche modo aiutano l’artista nuovo a farsi minimamente conoscere. Ma il rovescio della medaglia è che c’è una tale confusione e una tale massa informe di artisti che è difficilissimo emergere. Siamo bombardati da milioni di input ed output (zoolander) che non riusciamo più a distinguere cosa c’è di buono e no. Comunque sia, la cosa importante del fare musica, che è un mantra per me, è che la musica deve essere un’ urgenza: devi avere qualcosa da dire altrimenti è un esercizio di stile.

                                  Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?
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                                  Le sensazioni verso DIY sono molto positive : riesco ancora ad ascoltarlo piacevolmente senza skippare dopo averlo provato, registrato, ascoltato, suonato milioni di volte 🙂 Sono sbalordito più che altro che viene apprezzato parecchio nell’ambiente techno! Poi comunque sono contento che sta avendo nel suo piccolo molti ascolti da vari tipi di ascoltatori, dai DJ a chi ascolta prevalentemente rock: a proposito di DJ, l’altro giorno mi sono arrivati i DJ Feedbacks della PR agency che sta seguendo l’uscita dell’ep e tra questi c’era un certo LAURENT GARNIER che ha scritto ‘very interesting music’. Te l’ho detto all’inizio: Co-Pilot ‘può esse anche FERO’ ! 😉


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                                  https://soundcloud.com/copilotismycopilot https://copilotismycopilot.bandcamp.com/releases https://www.instagram.com/copilotismycopilot/


                                  Edited by Roberta Ada Cherrycola

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                                    Giosuè Impellizzeri Break the Wall

                                    Giosuè Impellizzeri

                                    Nessun spazio all’improvvisazione, ma più lavoro di squadra e scambio di competenze per scrivere una nuova pagina.

                                    Possiamo davvero – tutti insieme – pensare di scrivere una nuova pagina per la Club Culture nel nostro paese. Anche se non esiste una ricetta specifica da cui partire, abbiamo dalla nostra le conoscenze e l’esperienza di diverse persone dotate di grande spessore umano, artistico e culturale.

                                    Giosuè Impellizzeri è sicuramente tra queste. Per gli artisti o i lavoratori culturali figure come quella di Giosuè rappresentano delle guide fondamentali, così come per gli appassionati che cercano nutrimento costante per placare l’insaziabile sete di conoscenza. Prendendo in prestito due versi a me cari di Eugenio Montale, il suo “scrivere” è come il “mastice che tiene insieme questi quattro sassi“. Uno di quelli che ha attraversato due decadi di storia musicale scrivendo tantissimo su riviste cartacee specializzate e svariate webzine. Ma non solo, ha prodotto musica su etichette italiane e internazionali, ha curato festival e realizzato una serie di set mixati per vari network radiofonici.

                                    Suo il libro Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book su una delle figure chiavi per la Club Culture, Dj Hell, uscito per CRAC Edizioni, così come altri lavori sulla musica elettronica raccolti nella collana Decadance e realizzati assieme a Luca Giampetruzzi.

                                    Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book

                                    È un grande onore per noi poterci confrontare con lui tra queste pagine e attraverso le diverse domande di #BtW giungere assieme ad una nuova consapevolezza, muovendo un ulteriore passo avanti nel tentativo di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! (qui il precedente numero).

                                    Chi sei?

                                    Mi occupo di musica elettronica e DJ culture da oltre vent’anni. Nel 1996 ho iniziato a scrivere con una vecchia Olivetti le prime recensioni che inviavo speranzosamente via fax alle redazioni di vari giornali. Nel corso del tempo mi sono dedicato anche alla composizione, alla radio, alla discografia e alla scrittura di libri, con una particolare predilezione per l’archivistica e le storicizzazioni, probabilmente derivata dagli studi universitari. In sostanza mi considero un appassionato desideroso di approfondire le conoscenze, in modo quasi scientifico, sulle cose per cui nutro interesse tra cui, ovviamente, la musica.

                                    Quale musica elettronica ti rappresenta?

                                    Difficile dirlo, è come chiedermi di estrarre dalla collezione il disco preferito. Essere nemico della monotematicità inoltre non mi aiuta a dare una risposta secca. Direi comunque da “Autobahn” dei Kraftwerk in giù, considerando il gruppo tedesco tra i principali “motori” di gran parte di ciò che è avvenuto all’elettronica dopo essersi smarcata dalla posizione più strettamente accademica delle decadi precedenti.

                                    Kraftwerk – We are the Robots
                                    Quando è iniziato questo amore?

                                    Credo intorno al 1988, ma inconsapevolmente. A livello intenzionale invece indicherei il 1992, quando iniziai a comprare dischi (usati) per cimentarmi in mixaggi domestici. Raccattavo, per poche migliaia di lire, materiale di scarto di altri aspiranti DJ del mio paese, ben felici di sbarazzarsi di dischi che non avrebbero più potuto usare durante le feste casalinghe che si organizzavano negli anni delle scuole medie. Tra quelli trovai “Move Your Feet To The Rhythm Of The Beat” del compianto Hithouse, uscito nel 1989.

                                    Lo ascoltavo decine di volte cercando di capire come si potesse “assemblare” una musica simile che mettevo agli antipodi di ciò che invece stavo apprendendo studiando il pianoforte, sin dal 1986. Un effetto ancora più dirompente lo provai attraverso la copertina di quel disco che, in una sorta di maxi tavola fumettistica, lasciava scorgere l’interno di uno studio di registrazione allestito in casa. Quelle “diavolerie” piene di pulsanti, leve e cursori alimentarono la mia curiosità per un mondo arcano e letteralmente tutto da scoprire.

                                    Cosa ne pensi della cultura in Italia legata alla musica e in particolare alla scena che segui?

                                    Dipende da cosa si intende per “cultura”. È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled? Identificare l’anno di uscita di un disco con un occhio fisso su Discogs? Fare un sunto o un copiaincolla di un capoverso di Wikipedia per descrivere un artista o un particolare periodo stilistico? Può forse ritenersi un divulgatore culturale chi scopiazza, per giunta male, libri ed articoli o realizza interviste compiacenti a personaggi famosi di turno col fine di accattivarsene le simpatie? Eppure c’è più di qualcuno, includendo persino chi si considera un appassionato, che di fronte a tutto ciò si mostra entusiasta, perché evidentemente considera “culturali” questo tipo di contenuti.

                                    “È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled?”

                                    Personalmente ritengo che la cultura musicale affondi le radici nella ricerca (autentica, non derivata dall’incrocio di una manciata di clic su Google), nella conoscenza (che per fortuna non è downloadabile ma frutto di esperienza accumulata in anni) e nell’imparzialità e capacità di analizzare criticamente anche più scenari stilistici senza spocchiose contrapposizioni da sterili battaglie ideologiche. La cultura musicale, per me, resta tale a prescindere dal campo di applicazione, che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza.

                                    “..che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza”

                                    A malincuore però giungo all’amara conclusione che la deculturalizzazione abbia avuto la meglio in Italia, ma con uno “storico” come il nostro era utopico sperare nel contrario. Nei decenni passati i media tradizionali (stampa, radio e tv) non hanno di certo aiutato, tolte poche eccezioni, a far emergere aspetti culturali legati al nightclubbing e alla musica correlata, puntando piuttosto a lucrare nel momento propizio per poi abbandonare il “giocattolo” una volta rotto e riprenderlo quando faceva più comodo. In assenza di un modello genuinamente ed autenticamente culturale che fungesse da traino, nell’immaginario collettivo si è insinuata una lunga serie di luoghi comuni che sarà arduo, o forse impossibile, estirpare.

                                    “il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza.”

                                    Dalla house intesa come stile messo in piedi da non musicisti incapaci e costretti a ripiegare su campionamenti di brani altrui, alla techno, ossessionante martellio privo di senso, dalla discoteca, girone infernale e teatro di dissolutezza, ai DJ, più vicini ad un hobby dopolavorista che ad una professione vera e propria. Paradossalmente il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza. In un quadro simile di cultura ne vedo davvero poca e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, appare evidente che il campo sia stato seminato male o per niente.

                                    Quali sono le principali criticità?

                                    La musica in Italia è marginalmente considerata una forma culturale, figurarsi quella elettronica e prevalentemente utilizzata nelle discoteche. È un settore scarsamente riconosciuto anche dalle istituzioni, come del resto avviene a tutte quelle attività creativo/artistiche o intellettuali. È quindi facile intuire la ragione per cui sia così diffuso un pressappochismo allarmante e disarmante. Che dire poi di quegli addetti ai lavori (o presunti tali) che continuano ad alimentare plateali inesattezze o incongruenze storiche con nozionismo spicciolo? E i tanti magazine completamente disinteressati a finalità educative, didattiche e formative? Si può pensare di combattere l’ignoranza ed essere presi sul serio pubblicando un articolo che descrive la Love Parade come «evento organizzato per festeggiare la caduta del Muro di Berlino»?

                                    L’Arte, così come il lavoro culturale di chi fa musica, la suona oppure la mixa sono considerati aspetti marginali in Italia; scarsamente riconosciuti dalle istituzioni emerge il bisogno di scrivere e di parlarne.

                                    Persino in discoteca le cose sembrano complicarsi perché pare essersi sensibilmente assottigliato il numero di locali in cui poter avanzare proposte diverse dalla prevedibilità del mainstream, e ciò è avvenuto perché molti art director hanno smarrito la progettualità ma soprattutto la visione di un intrattenimento “illuminato”, lasciandosi conquistare da obiettivi economicamente più vantaggiosi.

                                    Nel frattempo la club culture, un tempo vista di traverso dai benpensanti e conservatori, è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa. La club music si è quindi affrancata ed emancipata uscendo dal circolo esclusivo delle discoteche mentre una parte di DJ non viene più annessa ai personaggi di serie b anzi, recentemente alcuni particolarmente noti, strapagati e brandizzati sono stati definiti le “rock star del nuovo millennio”.

                                    “La club culture è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa.”

                                    Per certi versi però il “Dio DJ” che profetizzarono i Faithless nel 1998 è finito col diventare una parodia di ciò che era in origine. Consacrarsi a livello generalista ha voluto dire rinunciare all’autenticità perché, è bene rammentarlo, il divismo da stadio e il DJing non avevano molti punti in comune. Come scrissi già nel 2016, avremmo potuto parlare di rivoluzione se il DJing avesse scardinato la spettacolarizzazione delle rock band ma sembra invece che ne abbia semplicemente preso il posto.

                                    Quella che molti indicano trionfalmente come rivoluzione insomma, assomiglia più ad uno scambio di ruoli che ha acuito ulteriormente il livello di criticità culturale. Che fine farà il disc jockey quando la grande industria dell’intrattenimento, che ora lo ha eletto come archetipo del trascinatore di folle, si stancherà e sarà in cerca di una nuova figura da mitizzare? L’idolo di milioni di giovani rischierà di essere declassato a banale pigiatasti mandando in fumo la credibilità di quella che nacque come virtuosa espressione artistica?

                                    Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale stato delle cose e scrivere una nuova pagina?

                                    A dispetto del distanziamento sociale imposto dalla pandemia che viviamo da qualche mese, credo sarebbe fruttuoso l’assembramento (non fisico ovviamente!) ossia fare squadra e sistema allineando chi è mosso dagli stessi intenti e soprattutto dalla medesima passione, perché in Italia esiste eccome uno zoccolo duro di autentici appassionati preparatissimi in materia, sebbene spesso sottovalutati e sottostimati.

                                    La speranza non manca, serve coordinamento ed esperienza per scrivere una nuova pagina!

                                    Questa prospettiva però, pur auspicata da tempo immemore, continua a non trovare facile applicazione nel nostro Paese dove si preferisce coltivare il proprio orticello e non dividerlo con altri per creare realtà più solide. Il resto lo fa (purtroppo) l’invidia, che mi pare un male particolarmente radicato nel settore, ed una competizione malsana che mira a soddisfare solo interessi e tornaconti personali.

                                    Quali sono i pro (e i contro) delle eventuali operazioni da fare per migliorare la situazione?

                                    Mi piace vedere solo i pro dietro un propositivo lavoro di squadra. Unire le forze, mettendo quindi a disposizione del team le proprie competenze, potrebbe equivalere a perfezionare ogni aspetto dell’operato. Poi lo scambio vicendevole di opinioni è costruttivo, un sano confronto aiuta a maturare e a superare i propri limiti.

                                    Quali sono gli aspetti positivi del lavorare nell’ambito della musica al giorno d’oggi?

                                    Anche in questo caso dipende dall’approccio che si riserva alla musica e al mondo che gravita intorno ad essa. C’è chi cerca successo e popolarità, chi donne, chi denaro, chi appagamento per sfamare il proprio ego. Io nulla di tutto ciò ma di aspetti positivi ne potrei elencare tanti come il rapportarsi con persone provenienti da ogni parte del globo, allargare i propri orizzonti ma soprattutto scoprire senza sosta cose nuove. Ad alimentare da sempre la mia attenzione e il mio interesse per ciò che faccio è esattamente il piacere per la scoperta e la musica, come tutte le espressioni artistiche, resta una fonte inesauribile di meravigliose scoperte.


                                    Links:

                                    Decadance il blog realizzato dallo stesso Giosuè.

                                    “Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book” e recensione del libro su ondarock

                                    Pagine Autore di Giosuè su DJMAGITALIA, Soundwall


                                    Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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                                      Danijel Žeželj Factory Asks

                                      Danijel Žeželj

                                      Underground and independent as a way to build-up an everyday creative process that never ends

                                      It is an honor for our Under-blog to host an interview to a visual artist of the caliber of Danijel Žeželj. He is a great man and one of the greatest visual artists ever, words in some cases do not add much compared to the contribution of his Art.

                                      We already had the honor of hosting Danijel a few weeks ago on our streaming channel (CCTv) for a live streaming performance and it was simply super! He did a special live painting show with music performed by a young artist from Pisa Underground Movement, DEVICE. Danijel welcomed this initiative with enthusiasm, asking us to be able to highlight during the live one of the Italian’s fundraising initiatives to deal with coronavirus emergency and we thought it might be the opportunity for Tuscan hospitals. It was a beautiful afternoon and many followed us (see at the end the video extract).

                                      After, we asked Danijel to participate in our Factory Asks with few questions, thinking that would be a great inspiration for many other artists and people who follow our blog and our activities.

                                      Who are you? Please describe yourself in few sentences

                                      I’m a visual artist, I make graphic novels, paintings, prints, animations, live painting & live music performances. The common thread of all these works is visual narration, exploration of storytelling through images. That’s what keeps me going, finding the narrative line in a single image or a sequence of images. ­

                                      LUNA PARK, 2009. Kevin Baker and Danijel Žeželj
                                      160 pages, DC Vertigo, USA, 2009; Magic Press, Italy, 2010
                                      How did your artistic career begin (just an anecdote)?

                                      The very first work that I have “published”, or make public, was a painting on the wall I secretly made with a couple of friends in the underground passage in Zagreb’s train station. I was 16 or 17 years old. It was a painting of a boxer with the makeup of a clown. Although I started publishing my first comics a few years later I always felt that this clown boxer was my first “official” artwork. But the wall painting was quite bad:)

                                      What is you work mainly inspired by?

                                      The relationship. In every possible sense: the relationship between friends and enemies, the relationship between man and his dog, the relationship between a broken window and the street bellow, the relationship between an orange and apple, between art and politics, between black and white, between light and shadow, etc. It’s all about the relationship and the balance.

                                      RED RIDING HOOD REDUX – trailer from Danijel Zezelj on Vimeo.

                                      As a visual artist what is your maximum aspiration?

                                      I work with my hands. I paint, draw, cut, spray, stamp, erase and then do it all over again. I guess my aspiration is to keep working and stay excited about it as long as possible.

                                      What does underground/independent mean to you, if still mean something?

                                      It means a lot, always. Underground and independent to me means being ready and willing to use your own mind and hands to construct and build something, to create. It does not have to be “Art” as in traditional classification of Arts, it could be carpentry, cooking, programing, geology, woodwork, any craft you learn and become good at. If you learn a craft, you have an instrument for building things up, and you can keep building and learning. It’s an everyday creative process that never ends.

                                      What do you think about Art communities in your city and beyond?

                                      I have never been too deeply involved in working within any art community or movement, I prefer to keep my independence and stay away from established rules of any group. I spent many years living abroad, in Italy, Seattle and New York, so I learned that your home and community is wherever you are, and in my experience, it is more important what you can give than what you receive. Also, today and more than ever before, we definitely all live in a global village, so the idea of community has much broader meaning. Never the less, the sense of community and home comes down to your own personal choice of right or wrong, positive or negative, and whatever direction you decide to take and however you spend your time and energy.

                                      What are your next projects?

                                      Because of the ongoing pandemic, some of the exhibitions and live painting projects have been canceled, but other work is ongoing. I just finished a graphic novel about Vincent van Gogh and it will be published in France in September, by Glénat Editions, with an exhibition in Paris (if corona permits). I’m also starting work on a new animation movie “The Drummer”, and then another couple of graphic novels, one written by myself and the other by Ales Kot, for USA publisher Image.

                                      THOUSAND from Danijel Zezelj on Vimeo.

                                      Thank you Danijel!

                                      Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

                                      Links:

                                      Danijel is a well-known and respected visual artist, he has published and exhibited for: The New York Times, Marvel Comics, Washington Chronicle, DC Comics, the San Francisco Guardian, Harper’s Magazine, Dark Horse, L’Espresso, Il Grifo, De Agostini, Image Comics, Dargaud, Editions Mosquito, Hazard Edizioni Eris Edizioni and others.

                                      Please check his website for additional info.

                                      DANIJEL ZEZELJ – BLUE Live Painting on CCTv – Music by DEVICE

                                      Other interviews:

                                      EtnaComics

                                      Lospaziobianco: The dream is mightier than the gravity – Danijel Zezelj


                                      Edited by Roberta Ada Cherrycola www.instagram.com/ada.cherrycola

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                                        Sterling, foto Martina Ridondelli Break the Wall

                                        Sterling

                                        La regola del fare, costanza, impegno e risultati

                                        Intervista ad un nuovo producer di musica elettronica: Sterling aka Gabriele Bartolucci 

                                        Oggi raggiungiamo la prima cifra doppia per Break the Wall. Decima puntata che festeggiamo assieme ad un nostro grande amico, compagno d’avventura. Un artista vulcanico, dotato di talento e metodo. Oggi vi presentiamo Gabriele Bartolucci aka Sterling che proprio in questi giorni ha raggiunto anche lui un primo importante traguardo. Parliamo dell’uscita del suo nuovo “ANAHEIM EP” per la teutonica Bunny Tiger di Sharam Jey.

                                        Per chi in questi anni ha seguito le attività del PUM, o di recente ha avuto modo di partecipare a qualche serata per Club Cultura al Caracol (Pisa), si ricorderà di Sterling. I suoi set coinvolgenti, in grado di far ballare la pista, per ore. Lui, un producer amante del learning by doing, negli ultimi anni di esperienza ne ha maturata tanta, sia in studio che sulla pista. Innumerevoli notti senza dormire, inseguendo diversi demoni. Maturando nel contempo una forte versatilità, diverse capacità stilistiche e tecniche, atteggiamento, resistenza e l’esperienza necessaria per portare tutto al next level.

                                        “Learning by doing, impegno ed esperienza hanno portato ad Anaheim EP per Sharam Jey”
                                        Foto by Martina Ridondelli

                                        Se vi siete persi il precedente numero di #BtW, oppure è la prima volta che vi trovate qui, #BtW è una rubrica di UNDERBLOG che vuole portare nuova conoscenza nella cultura club, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervengono. Un vero e proprio percorso di ricerca nella speranza di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! Buon Viaggio!

                                        Chi c’è dietro al producer di nome Sterling?

                                        L’idea del nome nasce da un personaggio di una serie televisiva americana di qualche anno fa “Mad Men”, le prime volte l’ho utilizzato come dj radiofonico del programma Fingertips su Radio Roarr e in Dj set back2back assieme a Dadapop nelle prime wild nights del colorificio occupato, si parla del 2012.

                                        Inizio a fare musica molto prima di quel periodo, sperimentando inizialmente con diverse digital audio workstation (DAW) come Cubase e Reason, successivamente poi Ableton live. L’influenza musicale era quella dell’elettronica d’autore: Vitalic, Aphex Twin, Four Tet, Plastikman, Boards of Canada etc.. successivamente poi da quell’ ondata è nata l’elettronica come la conosciamo oggi.

                                        “Il punto di partenza è l’elettronica d’autore: Aphex Twin, Four Tet, Plastikman etc.”

                                        Parto dalla minimal elettronica, un must di metà anni 2000 per arrivare poco dopo alla dubstep che mi vedrà impegnato negli anni seguenti come dj del duo Bang’a’bros. 

                                        Da li poi i vari progetti Machine Overdrive più sulle sonorità Moderat e John Hopkins, Wagual che riprende il sound Four Tet, Max Cooper e attualmente Tribalanza che punta decisamente sul dancefloor e sull’elettronica internazionale da Festival. Suono pure la chitarra e cerco quando possibile di riportare certe soluzioni chitarristiche ritmiche e melodiche all’interno delle mie tracce.

                                        Cosa è per te la musica elettronica?

                                        E’ l’espressione musicale dominante di questi anni, è il naturale sviluppo dell’espressività artistica nella musica nell’era del digitale e della rete. Piano piano i suoni sintetici hanno sostituito sempre di più quelli “reali” legati alla performazione di uno strumento usuale (con tutte le sue caratteristiche fisiche) come una chitarra o un pianoforte.

                                        Da questo processo è nata l’estetica della musica elettronica e i suoi codici hanno sostituito molti punti di riferimento dati per scontati nel corso dei decenni precedenti. Oltre a questo è una forma creativa che permette molta libertà come si stà vedendo recentemente nel nuovo Rnb, nell’hip hop e anche nel Pop più in generale, generi che stanno vivendo una nuova rinascita stilistica. Oggi è l’universo dei suoni digitali scelti con parsimonia e processati in maniera maniacale dai producer di mezzo mondo attraverso effetti e plugin di ogni sorta, l’elettronica ad oggi sembra dare più possibilità combinatorie.

                                        “L’elettronica ha sostituito i codici classici ma sembra dare più possibilità combinatorie”

                                        Più in generale l’elettronica è il nuovo rock e si vede come le star di ibiza e del tomorrow land trovino nelle nuove generazioni un terreno più fertile per lanciare un nuovo mondo di suoni e di suggestioni legate alla loro musica. Adesso i ritmi e i suoni digitali sono il pane quotidiano, una generazione cresciuta con la minimal ha il background giusto per godere a pieno di questa musica e delle sue future (ulteriori) contaminazioni.

                                        Come vedi la Club Culture in Toscana e dintorni?

                                        Potrebbe andare meglio, ci sono tante piccole realtà poco sviluppate ma tenaci che non si coordinano tra di loro, c’è molta dispersione e si rischia come sempre in questi casi di non raggiungere l’obiettivo (comune) prefissato: la creazione di una scena che abbia una sua vitalità e che si tramuti anche in opportunità economica per tutti.

                                        Non mancano realtà forti e che si muovono bene, così come producer di talento. Tra gli addetti ai lavori penso al Lattex Plus e a qualche altro club Fiorentino che è sul pezzo, poi chiaramente il Caracol con CC…ma sono di parte!

                                        Il tuo nuovo Ep è appena uscito sull’etichetta tedesca Bunny Tiger… parlacene
                                        Sterling – Anaheim Ep – Bunny Tiger

                                        E’ un Ep che è nato nei ritagli di tempo del progetto Tribalanza con un altro producer di grande spessore, Alessandro del Fabbro (Dj Gomma) che negli ultimi anni mi ha impegnato (e insegnato) molto. Sono ritornato anche grazie ad Alessandro a Cubase che nel frattempo è molto migliorato diventando una delle migliori DAW sul mercato. Sono partito da una serie di tracce influenzate principalmente da Maceo Plex, Rampa e dalla Innervisions, una delle realtà più futurische e sul pezzo all’interno della nuova scena elettronica, volevo qualcosa di pulito e con pochi suoni che fosse il linea col momento attuale, più un lavoro tecnico-creativo e di sound design.

                                        “Uno sguardo al futuro, non può mancare come ingrediente chiave”

                                        Grazie a Sharem Jey e alla sua Bunny Tiger che ha creduto al mio suono e a queste tracce. Adesso sto lavorando a una decina di tracce tutte molto simili tra di loro e principalmente pensate per la pista e per la danza.


                                        Alcuni preziosi link:

                                        Beatport

                                        Tribalanza

                                        Ascolta “ANAHEIM EP” qui:

                                        Foto by Ivo Almilamaro

                                        Sterling aka. Gabriele Bartolucci inizia a sperimentare con la musica elettronica nel 2002 ed il primo EP esce nel 2005 sotto il nome di “Minimal Illness”. Nel 2009 inizia un percorso all’interno della musica uk bass, dubsteb lanciando il duo Bang’a’bros. Sotto lo pseudonimo di Sterling insieme a Dj Darius conduce 3 stagioni del formato radiofonico “Fingertips”, magazine settimanale di approfondimento legato alle ultime tendenze della musica elettronica.

                                        Nel boom dell’elettronica Pisana, Fingertips è stato un punto di riferimento”

                                        Insieme a Dadapop, Neuro e Chino fonda i Machine Overdrive, quartet live analog elettronico che si isprira alle sonorità di Vitalic e Moderat, nel 2013 esce il loro ep su Type Konnection. Nel 2014 nasce il Pum ed è uno dei fondatori. Nel 2016 insieme a Dadapop fonda il duet afro-ethnic-house Wagual. Dal 2017 collabora stabilmente con Alessandro del Fabbro e Daniele Vergamini all’interno del progetto Tribalanza, recenti le uscite su Traum Schallplatten, Opilec Music e prossimamente su Perplex!


                                        Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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                                          Dj Michele Fonx Fontanelli Break the Wall

                                          Dj Fonx

                                          Riformare la CC, tre livelli su cui intervenire ma serve un maggiore coordinamento tra Club

                                          Con molto piacere in questa ottava puntata di Break the Wall, ci spostiamo con Michele Fontanelli aka Dj Fonx per parlare di coordinamento e Club Culture. Due temi fondamentali che cercheremo di esplorare grazie alla sua esperienza e visione attraverso una riflessione che guarda al futuro con lucidità e prospettiva. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa nuova ed interessante intervista.

                                          Cosa è per te la Club Cultura?

                                          Eh, in due righe mi sembra difficile, più che altro che cosa si intende per club culture? Sarò un’pò provocatorio. Dai tempi delle prime vere situazioni (Paradise garage, Loft, etc. e poi dopo tutta la scena Inglese) che hanno portato alla nascita di quello che oggi conosciamo, sono cambiate tantissime cose, a livello sociale, culturale, tecnologico ed economico.

                                          Paradise Garage coordinamento
                                          Fonte: m.dagospia, Paradise Garage (New York, 1977)

                                          Questa “cultura”, se così vogliamo chiamarla, è nata in posti piccoli, con un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali, il pubblico medio di queste situazioni era composto da Gay Afro-Ispanico-Americani con tendenze tossicomane. Diciamo l’esatto opposto del modello italico che si è diffuso di più, discotecone fotoniche con tanta gnocca in bella evidenza, fighettismo diffuso, molti soldi e sostanze illecite di vario tipo (questo forse unico aspetto che ci accomuna con le esperienze estere citate). E la provocazione parte da qui: di quale club cultura vogliamo parlare? Di quella italiana? Perché il fenomeno veramente di massa in italia è stato quello dei ’90, con la progressive prima con l’house dopo fino ad arrivare alla Minimal dei 2000, quindi megadiscoteche e discorso fatto sopra.

                                          “un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali”

                                          Per il mio percorso personale, sia come dj/producer che come promoter ma anche come semplice clubber, la discoteca “ ufficiale” è arrivata dopo, quando in quegli ambienti si sono accorti, con quasi dieci di ritardo, che nel mondo la musica da ballo era cambiata, riguardava uno spettro più ampio di sonorità e ritmi, rispetto ad un solo tipo di cassa dritta (e anche le prime cose americane e tedesche qui venivano viste minacciosamente). Ci sono state esperienze in posti che erano sul pezzo con quello che stava succedendo nel mondo, ma non appartenenti a quegli ambienti, come ad esempio: Pergola a Milano, il Link ed il Livello57 a Bologna, il Maffia a Reggio Emilia, Agatha a Roma.

                                          “Un tempo c’erano i centri sociali..”
                                          L57 coordinamento
                                          Fonte: segnalidivita.com, L57, Bologna 1998

                                          Situazioni considerate off, molti di questi erano Squat o Centri sociali. Poi c’è stata tutta la scena dei rave e delle feste illegali. Chiamiamolo Underground? Anche se a me questa definizione non piace. In questi ambienti si respirava fondamentalmente controcultura, o subcultura, musicale, visiva e sociale. Non si delegava al sistema ufficiale dell’intrattenimento di proporci anche le cose “alternative”, ma queste situazioni diventavano esse stesse le Alternative.

                                          “In Italia non c’è una cultura diffusa a livello di Club..”

                                          Penso che in Italia non si possa parlare di una vera e propria cultura diffusa a livello di Club (aggiungiamo noi è forse mancato il coordinamento), penso piuttosto che ci siano state e ci siano ancora oggi realtà che si sono mosse in una direzione virtuosa (spesso anche mitologica, si pensi all’esperienza pionieristica della “ Baia degli angeli” e al fenomeno del cosiddetto afro, a gente come Baldelli e Mozart andrebbe fatto un monumento), ma spesso non molto collegate fra loro, e ognuna dipendente dalle proprie dinamiche territoriali.

                                          Altre persone ti diranno che il Tenax, l’Insonnia o l’Imperiale sono state il top, è una questione di gusti, percorsi personali e quindi molto soggettiva; e secondo me è anche il bello di questo ambiente, ogni suono e ritmo ha avuto la “sua casa”, l’importante sarebbe non fare i fondamentalisti. Alla fine la club culture, è una cosa molto semplice: musica proposta da un dj, un buon impianto audio che la riproduca e persone che hanno voglia di far festa e ballare. Come la si fa è la discriminante fra fare cultura e fare solamente business ed intrattenimento.

                                          Un disco che la rappresenta? 

                                          Domanda molto soggettiva e difficile, un disco che la rappresenti mi sembra impossibile…proprio per quello che ti ho detto prima, ognuno, per la propria esperienza, avrà dei riferimenti musicali diversi, per me sono parte della club culture anche la scena dei Sound System o la scena degli Allnighter, dipende dai punti di vista. 

                                          Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui?

                                          Già da qualche anno la scena è, a mio avviso, alle prese con una trasformazione epocale. Per i giovanissimi “club culture” è un’espressione senza significato. I djs sono divi pop, Miley Cyrus vale quanto Guetta o Marshmellow. E non interessa più se sei bravo a mixare, se sei un cultore dei vinili, se hai la capacità di mettere i dischi per sei ore tenendo le persone incollate alla pista. Oggi conta solo lo show. E se poi il dj sul palco preme solo un tasto, poco importa. Sono nati tantissimi Festival di elettronica, e molto pubblico si è spostato su questo tipo di eventi, creando anche un’effetto negativo a cascata sui club, dato i cachet che vengono pagati ai Festival, non sono competitivi con quelli dei club, limitando la possibilità di programmazione di questi ultimi, che spesso si ritrovano a fare gli stessi nomi per non rischiare soldi.

                                          Poi i Social e gli schiuma party di Ibiza (come esempio da seguire), con i suoi privée e i dj superstar hanno fatto il resto, ‘mercificando’ una scena club diventata cartolina e obbligando a epocali door selection il resto, nell’illusione che lo spirito originale possa in qualche modo sopravvivere nei muscoli dei buttafuori.

                                          Assenza di coordinamento il modello delle cattedrali nel deserto (Ibiza)
                                          Fonte: Ibiza Spotligh, Club Cartolina

                                          Quindi la club culture non esiste più. O meglio, da fenomeno per pochi al successo popolare, oggi quella più autentica è ridiventata un fenomeno non per i molti. E secondo me deve ripartire dalle origini, dai piccoli spazi, dalle serate dove ancora si coltiva l’idea che il club è un luogo di sperimentazione. Un’occasione per condividere divertimento e musica. Noi aggiungiamo manca coordinamento.

                                          “Ripartiamo dai clubbers”

                                          Se si chiama club culture allora ripartiamo dai club e dai clubbers, cercando di creare percorsi inclusivi per far crescere delle reali scene locali, con numeri si spera superiori a quelli di una festa delle medie. Da una parte i soliti nomi hanno rotto le palle, ma anche i dj locali, che te la fanno pesare come se i generi che “ suonano” li avessero inventati loro, non sono il massimo.

                                          Lo so, non sarò molto simpatico, ma è meglio dirsi le cose per come sono (essendo io anche dj), l’ autoreferenzialità è un limite abbastanza comune di chi fa cose “Underground” in Italia, non capendo che l’obiettivo deve essere quello di fare più proseliti, come moderni evangelizzatori, e non stare a dare patentini di credibiltà  e purezza a questo o quello. Se si vuole affrontare seriamente il problema, va proprio rifondato un movimento. Un movimento multiforme e soprattutto “croccante”! (citazione da uno dei più genuini clubbers del Deposito!).

                                          coordinamento all'interno del bar25, Berlino
                                          Clubbers in Bar25, Berlin
                                          Cosa manca?

                                          Sono tre i livelli che mancano e un coordinamento tra questi: 

                                          Uno, istituzionale 

                                          inesistente, come sempre per quello che riguarda musica, cultura e divertimento “intelligente” in Italia. Questo settore viene considerato una rottura, trattato come un problema di ordine pubblico, una accolita di debosciati. L’esperienza tedesca è lontana anni luce rispetto alla nostra; 

                                          Due, Club e Addetti ai lavori

                                          Agenzie di booking per prime che non si aiutano. I Club molto impegnati a far quadrare i propri conti, non disdegnando anche scazzi con gli altri Club. Che scommettono poco sulle novità, e cercano di andare sul sicuro. E che per avere esclusive sugli altri Club, fanno il gioco delle peggiori agenzie di booking per riuscire a fare ospiti con prezzi fuori mercato. Le agenzie italiane si distinguono per questa oscillazione dei cachet degli artisti esteri (e spesso succede anche per gli artisti italiani), a Tizio gli chiedono X e a Caio Y, per poi scoprire dalla fonte estera che spesso i ricarichi sono anche del 30/40% di quello richiesto dal management dell’artista; 

                                          Tre, il Pubblico 

                                          ormai sempre più dipendente dall’hype di quell’artista o di quel club, senza uno sviluppo serio di un gusto personale e “critico”. Basta inseguire sempre e solo i soliti nomi, i “brand internazionali” del clubbing. Sarebbe positivo inoltre prestare attenzione anche ai “local heroes” e ai talenti più freschi ed inediti, perché in origine il clubbing era avventura e scoperta, non rassicurazione e teatrini da backstage. Fare più attenzione alla musica e meno agli aspetti accessorii, cercare le situazioni che fanno proposte artistiche non convenzionali ed originali, e non la solita pappa pronta coi soliti nomi. 

                                          Cosa andrebbe cambiato?

                                          Credo di aver già parlato di alcuni cambiamenti auspicabili, in più dovrebbero svilupparsi ulteriori aspetti: maggiore collaborazione tra i Club; coordinamento tra Club per evitare sovrapposizioni di programmazione; fronte unico con le istituzioni; fare rete per poter contrattare a livello nazionale, tour di artisti, direttamente con i management, bypassando molte inutili agenzie, per promuovere artisti minori in modo che possano girare in Italia, e altrettanto il lavoro contrario, in modo che anche talenti italiani arrivino a l’estero.

                                          Costruire serate dal basso, facendo crescere un vivaio di dj locali, creando (attraverso il coordinamento) delle reali scene locali, e non “scenette” virtuali che si fermano esclusivamente all’ambito dei social network. Senza fare guerre ideologiche agli artisti più noti o alle agenzie e management, ci sono persone che hanno fatto molto per lo sviluppo di questa scena, ma si tratta piuttosto di riordinare e riequilibrare un po’ le dinamiche, come dobbiamo farlo per l’ecosistema e per l’economia, per il bene di tutti. Nessuno escluso. Darsi tutti una bella calmata, soprattutto dal punto di vista economico.

                                          Ultima domanda quale è la cc che vorresti? 

                                          Ritornare all’attitudine originale,  ritrovarsi in spazi dove la prima cosa da fare è abbinare il divertimento alla qualità e cercare di trasmetterlo al pubblico. Chi riuscirà in questa formula (e aggiungiamo ancora, serve coordinamento) saprà dare dignità alla parola clubbing. Diversamente il discorso verterà unicamente sulla scena più commerciale, come è sempre stato in Itaglia.

                                          Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

                                          Immaginarsi ora come potrà essere il dopo è difficile, perché ci sono in ballo diverse variabili, te ne cito alcune: Come si comporteranno le istituzioni? Saremo sicuramente gli ultimi a ripartire, poi non abbiamo (dal punto di vista istituzionale ma non solo) valenza culturale come il teatro o il cinema o la musica classica, siamo i “ peggio”, quelli che fanno casino, si ubriacano e si drogano. Quindi chi riuscirà a tenere botta fino al momento della riapertura sarà già un grande, perché penso aiuti per noi non ci saranno, siamo un’Associazione e non una Società (nuovamente un coordinamento non sarebbe male!).

                                          insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore

                                          Pensare che dopo siano rispettate le distanze di sicurezza in posti dove si balla, si sta insieme, e si fa baldoria? Le persone saranno sempre così smaniose di trovarsi in luoghi chiusi? A stretto contatto con perfetti sconosciuti? Sinceramente non ho risposte a queste domande, so solo che quando ci penso mi prende una grossa angoscia. Se sarà trovato un vaccino, potremmo sperare di tornare a prima della reclusione forzata, in caso contrario la vedo parecchio hardcore.

                                          Già avere tirato su un posto con l’identità del Deposito Pontecorvo è una scommessa enorme, per la provincialissima Pisa, poi non poterlo fare in condizioni di normalità rende tutto un’avventura che sa di contemporanei Don Chisciotte. Sicuramente, per quanto mi riguarda, se ci saremo ancora, insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore economico altrimenti le cose non si fanno,  lascio volentieri il campo agli hipster del momento. 


                                          Alcune info preziose:

                                          Michele Fonx Fontanelli – Dj e Producer

                                          Dj Fonx, Deposito Pontecorvo

                                          Dj eclettico, nel vero senso della parola, il suo suono spazia dalla black music delle origini (funk, soul, jazz, reggae e disco) fino alle sue espressioni contemporanee (Hiphop, Drum’n’bass/Jungle, dubstep, breakbeat, nudisco, elettro, bassmusic). Ed ha fatto girare i dischi nei posti più diversi: dai centri sociali ai club, dai paddock della Formula 1 alle feste di quartiere per strada, dalle jam di b-boys ai più rinomati jazz club. Inizia a dedicarsi ai Giradischi e ai Vinili, come dj, nel ’ 6, con la crew SVC. E’ fondatore e animatore di Casseurs Foundation. Dopo varie esperienze negli ambienti Hip Hop-Breakbeat-Drum’n’bass toscani, nel 2001 fonda con il milanese Painè (Compl8/Temposphere rec) I Maniaci Dei Dischi e così inizia a lavorare sulle produzioni e suona mensilmente @ Cox 18 (Milano), oltre a molte date in giro per l’Italia e passaggi su varie radio (RadioRai2/Weekendance; Popolare Network).

                                          La prima testimonianza, pubblicata, di questa collaborazione è il singolo del secondo album di Painè (“Spontaneous”), per Temposphere records, dal titolo BENE feat. dj Fonx e con remix di: The Herbaliser (Ninja Tune-Uk), Quantic (Tru-Thoughts-Uk), Boogie Drama (Soundplant records-It).

                                          In seguito esce il primo EP de I Maniaci Dei Dischi ‘OUR HOUSE EP’ seguito da un’altro ep dal titolo “SMILING FACES EP” entrambi su Temposphere records (sub label di Right Tempo), oltre a un remix per Baixinho (Vitaminic/Royality) e tracce licenziate in Giappone ed Austria (primavera 2003). Inizio 2004 viene pubblicato il primo album de I Maniaci dei Dischi, dal titolo “Hey presto!”, su Temposphere Rec. 

                                          Da Dicembre 2003 fino al 2010 cura, insieme a Matteo Pzzo Chellini, ogni sabato sera, su Controradio (radio fiorentina a copertura regionale affiliata al circuito nazionale di Radio Popolare), una trasmissione radiofonica settimanale dal titolo RITMO, un viaggio nelle musiche da ballo di domani, di ieri e di oggi.  

                                          Nel 2012 esce con The Brother Green…

                                          E’ uno degli animatori della NuCombo crew, insieme a Nove, con cui è stato resident dj dell’appuntamento Massive Night, presso il DressCode (ex Insomnia, Pisa) dal 2004 al 2011, condividendo la consolle con il meglio della scena drum’n’bass/jungle europea ed italiana. Ha anche dato vita alla crew Black Friday, girando dischi in tutta la Toscana, all’insegna del suono black più puro, ovvero funk, soul, afrobeat, rap, disco e reggae.

                                          Nel 2012 esce con The Brother Green, collettivo con il tastierista/organista Paolo Peewee Durante, Roberto “Bombo” Fiorentini al basso, e Piero Gesuè alla voce. Pubblica l’album “No Country for young men”: un disco trascinante che contamina la matrice funk con l’elettro, la disco, il soul, l’hip hop, il blues ed una spruzzata di jazz. Ha fondato e gestito l’etichetta Burnow, che ha fatto uscire gli albums di: The Brother Green, Pezzone ed Apes on Tapes. E’ tra i fondatori, e ne è anche presidente, del Deposito Pontecorvo, music club situato a Pisa.

                                          Ha collaborato e fatto girare dischi con:
                                          • Casino Royale;
                                          • SanAntonioRockSquat;
                                          • Sun Wu Kung collective;
                                          • Esa aka El Presidente Otr/Gente Guasta;
                                          • Richard Dorfmeister (Austria);
                                          • Daddy G (Massive Attack/Uk);
                                          • Rayner Truby (Ge); Rich Medina (Usa);
                                          • Boots Ryley (The Coop/Usa);
                                          • Deda/Katzuma;
                                          • Gopher;
                                          • Dre Love;
                                          • Andrea Mi;
                                          • Biga;
                                          • Rob Luis (Tru-Thoughts/Uk);
                                          • Paul Murphy (Uk);
                                          • Congo Natty (Congo Natty records/Uk);
                                          • Rob Swift (Usa);
                                          • Dj Rocca/Ajello (Maffia Sound System/CrimeaX);
                                          • Volcov;
                                          • Michael Rutten (Jazzanova-Sonar Collective/ Ger);
                                          • Lele Sacchi; Sergio Messina;
                                          • Claudio Sinatti;
                                          • Serial Killaz (Uk);
                                          • Benny Page (Uk);
                                          • Royalize;
                                          • Andy Smith (Uk);
                                          • Dj Vadim (Uk/Usa);
                                          • Nick Record Kicks;
                                          • Victor Duplayx;
                                          • Rocco Pandiani;
                                          • Gak Sato (Jp);
                                          • Alien Army;
                                          • General Levy;
                                          • Bonnot;
                                          • Next One;
                                          • Roll Deep (Uk);
                                          • XCoast;
                                          • Gilles Petterson;
                                          • Taxman;
                                          • Sigma (uk);
                                          • Pendolum (au);
                                          • Shy Fx (Digital Soundboy/Uk);
                                          • Rosalia De Souza;
                                          • Nicola Conte;
                                          • Ardiman Mc;
                                          • Kleopatra j;
                                          • Beans (Usa);
                                          • Manitoba (oggi Caribou);
                                          • dj Marky (Bra);
                                          • Hype (Uk);
                                          • Khalab;
                                          • Aphrodyte (Uk);
                                          • Colle der Fomento;
                                          • Apes on Tapes;
                                          • Fricat;
                                          • Popolous;
                                          • HomeGroove-Red Bull Music Academy;
                                          • Eastpack Italia;
                                          • Associazione Culturale M.Y.A.;
                                          • Circolo ExWide;
                                          • Associazione Culturale Cantiere S. Bernardo;
                                          • Controradio Firenze;
                                          • Cox18 Milano;
                                          • Arezzo Wave Love Festival/Fondazione Italia Wave

                                          Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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                                            Marco Dragoni Break the Wall

                                            Marco Dragoni

                                            Una riflessione aperta tra invecchiamento del club e le nuove scene

                                            6a puntata di Break the Wall, questa volta con un caro amico: Marco Dragoni, classe 1977, membro fondatore della crew Casseurs Foundation con cui organizzava la storica HipHop Convention “Panico Totale”.

                                            Dj e ricercatore musicale dalla metà degli anni 90, organizzatore di eventi legati alla street cultur; musicalmente nasce come selecter di rap e reggae, partecipa attivamente al progetto drum’n’bass di Nu Combo agli inizi dei 2000, per poi tornare a sonorità più black nelle serate organizzate dal collettivo Black Friday assieme agli amici Herrera e Padella per citarne alcuni. Nel 2005 crea Sanantonio42, negozio di street wear, skateboards, graffiti e dischi, ma soprattutto un punto di riferimento per tutta la scena locale che attualmente gestisce con il socio Dj Pzzo.

                                            In 2 righe, che cos’è per te la Club Culture?

                                            Drago: – “Posso dire che la CC non è solo quello che si trova dentro un club durante un party, però dentro a un club vorrei trovare un buon impianto audio prima di un bel bancone del bar. Ho troppo rispetto per la musica soprattutto per le sensazioni che mi da.

                                            Un disco che secondo te la rappresenta?

                                            Sono troppi i dischi che rappresentano questa cultura. Faccio fatica a dire anche un solo genere che mi piace, per me è fondamentale avere un approccio di ricerca, per questo quando mi chiedono cosa preferisco vado in crisi. Però mi fido sempre di chi ne sa più di me, cerco di seguire i loro consigli e così facendo espando le mie conoscenze.

                                            Le persone frequentano sempre meno i club. Molti chiudono, anche in paesi “avanti” come la Germania.. Che cosa potremmo fare qui? Cosa manca? E che cosa andrebbe cambiato?

                                            I club cambiano a seconda dei mutamenti sociali, se la maggior parte chiudono bisogna capire che qualcosa sta cambiando e analizzare se il cambiamento ha contribuito a portare situazioni positive. Un’ analisi corretta sarebbe quella di capire che tutto cambia molto velocemente. Il festival concentra in poco tempo quello che il club ti dava in un intera stagione, ma bisogna vedere quanto il fruitore assorba in un periodo così breve. Per me la discoteca ha una funzione sociale non solo economica. Quindi siamo tutti responsabili di quello che succede nel bene e nel male.

                                            Qual’è la Club Culture che vorresti?
                                            Marco Dragoni e Matteo Pizzo per Sanantonio42

                                            Quello che vorrei io non è detto che piaccia agli altri, ma si deve trovare un compromesso. Per esempio non mi piace che si generalizzi, ci sono scene che non mi entusiasmano musicalmente ma che mi hanno colpito per come hanno distrutto certi cliché. Mi viene da pensare alla Trap che considero la più popolare in questo momento, ha causato una rottura generazionale che non si verificava da tempo, soprattutto ha messo in discussione certi punti fermi tra i miei coetanei, non giovanissimi ma sempre giovani, che hanno iniziato a criticare il genere come è accaduto ai tempi del punk e della techno. Ha accelerato un invecchiamento che dovrebbe farci riflettere.”

                                            Di seguito un bel mixtape che il Drago ha fatto per il canale mixcloud di Club Cultura con un sacco di sonorità da paesi diversi, ritimi che spaziano dalla bossanova alla nu-disco, passando per la disco e il funk!


                                            Links:

                                            About Marco through SANATONIO42


                                            Edited by Roberta Ada Cherrycola

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                                              Break the Wall

                                              Ehua

                                              “Ehua: vorrei una CC più inclusiva, sia in termini di musica che di line up”

                                              Terzo e fondamentale appuntamento con Break the Wall, la nuova rubrica di UndeRbloG che vuole contribuire a ricostruire una matrice di senso comune per comprendere il suono di oggi e le sue evoluzioni, riportando al centro del rapporto tra arte e collettività quell’idea di movimento e di cultura, fondamentali per ricostruire una nuova Club Culture (CC).

                                              Con molto piacere oggi vi presentiamo le idee e lo spirito di una giovane amica, Ehua alias Celine Angbeletchy, compagna di vecchia data per il PUM (Pisa Underground Movement) e autrice su questo blog di M.A.D. (music, art, dance in underground urban environments) che ringraziamo per il suo fondamentale contributo.

                                              Una tra le più interessanti artiste della scena musicale Londinese (Femme Culture, Nervous Horizon), Ehua è produttrice e DJ, anima curiosa dalla mente aperta, ossessionata dalla musica. Ma la musica è solo una delle forme creative attraverso le quali lei esprime il suo talento creativo. Da sempre molto vicina al mondo delle arti, compone anche colonne sonore per performance artistiche e co-gestisce GRIOT, un magazine online e una piattaforma creativa che celebra le arti dall’Africa.

                                              Ehua, Boiler Room
                                              Copyright Boiler room

                                              Se vi siete persi il precedente numero di BTW, stiamo cercando volta per volta di allargare il raggio di gravitazione dei concetti che trattiamo, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervistiamo. Quindi non è solo una questione di scala o di distanza geografica, fondamentale – nel nostro esperimento – è il rapporto dialettico tra la qualità degli spunti che si sviluppano grazie ai diversi ospiti e la naturale imprevedibilità insita nelle loro risposte alle nostre domande (che lasciano ampio spazio agli intervistati per toccare a fondo i temi che gli stanno più a cuore). Buon Viaggio!

                                              Ehua
                                              Copyright Ehua
                                              “Ehua: vorrei una CC più inclusiva, sia in termini di musica che di line up”
                                              1. In due righe cosa e’ per te la cc?

                                              La cc è un universo molto complesso in continuo divenire, non è qualcosa di monolitico e universale, ma un fenomeno locale e globale che sta assumendo nuove declinazioni e includendo sonorità non esclusivamente eurocentriche. In generale, la cc è quel movimento che si crea quando nuove sonorità maturate all’interno di determinati contesti sociali arrivano sulla dance floor e vengono incorporati nella vita delle persone e nella cultura di un luogo o di una società.

                                              2. Un disco che la rappresenta?
                                              Ehua Nervous Horizon
                                              Copyright Nervous Horizon

                                              Come ho detto, essendo la cc in costante divenire e soggetta a fenomeni culturali locali, trovo davvero difficile indicare un solo disco che la rappresenti nella sua totalità. Quindi direi che per quanto riguarda la cc di Londra—città in cui vivo e che ha una scena club estremamente sfaccettata—le ultime VA compilation di etichette come Nervous Horizon e Hyperdub [rispettivamente NH Vol. 3 e Hyperswim] sono un ottimo mosaico di stili, generi e avanguardie molto presenti nella cc Iondinese in questo periodo. Ma allo stesso tempo, l’universo gqom ha avuto un fortissimo impatto in UK, e DJ come Sicaria Sound, Sherelle, Lcy e FAUZIA hanno contribuito al ritorno di sonorità tra i 140 e 160 bpm, quindi è impossibile indicare un singolo disco.

                                              3. Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

                                              La cc è in declino da ormai molti anni e mentre i club chiudono ovunque, i festival sono sempre piu popolari. Anche Berlino ha iniziato a subire i primi colpi perché le logiche di mercato prevalgono sempre, e lo stesso vale per Londra. L’Italia è un paese molto chiuso in termini di evoluzione della musica club e delle culture ad essa legate, anche il mondo underground è veramente poco inclusivo, quindi credo che la prima cosa da fare sia proprio quella di aprirsi di lasciare entrare ritmi, sonorità, culture.

                                              4. Quale è la cc che vorresti?

                                              Sicuramente vorrei una cc più inclusiva, sia in termini di generi musicali, ma anche in termini di line up. Vorrei che l’inclusività fosse messa al centro insieme al talento per dare spazio a narrazioni sonore alternative per una cc ricca, all’avanguardia e non autoreferenziale.

                                              Ehua

                                              “Io metto una lente / davanti al mio cuore / per farlo vedere alla gente.” cit. Aldo Palazzeschi


                                              Links:

                                              Diplozoon EP

                                              (Femme Culture)

                                              by Ehua

                                              Ehua BandCamp


                                              Short Bio

                                              Ehua è una produttrice e DJ italiana con base a Londra. Il suo EP di debutto, Diplozoon, è uscito a novembre 2018 sull’etichetta londinese Femme Culture. L’uscita ha seguito New Moon—un singolo caratterizzato da “una struttura percussiva, con un twist atmosferico, brevi vocals che si riverberano accompagnati da synth lussureggianti e ondulati” (DJ Mag)—e Tiger, brano parte della Compilation di Femme Culture x UNWomen HeForShe.

                                              Tra le sue ultime uscite figurano il remix di Retina di Joe Turner per Future Bounce, Ruby, pezzo uscito ad Ottobre su Or.VA1 di Orphan. Records (NY), e Meteora, traccia parte delle terza compilation dell’etichetta londinese Nervous Horizon, NH V/A VOL.3.

                                              La musica è solo una delle forme creative attraverso le quali Ehua esprime il suo talento creativo. Da sempre molto vicina al mondo delle arti, compone anche colonne sonore per performance artistiche e co-gestisce GRIOT, un magazine online e una piattaforma creativa che celebra le arti dall’Africa, dalla diaspora africana e dal mondo.

                                              Altre interviste:

                                              Diplozoon EP

                                              Premiere Ehua – Meteora


                                              Rozza - cultura

                                              Edited by Domenica Carella. Domenica in arte RozzElla è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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                                                Dj Tillo live nano verde 5ve records

                                                Dj Tillo

                                                5 dischi che hanno fatto breccia nella mia vita

                                                Secondo episodio di #5ve_R!. Oggi scopriamo Tillo, e i 5 dischi che hanno fatto breccia nel cuore e nell’animo di uno dei più interessanti Dj della nostra regione.

                                                Chi non ha ancora avuto questo piacere, potrà sentire Tillo il 6 marzo per Club Cultura al Caracol (Pisa).

                                                Per i più appassionati e scafati viveur, i suoi set rappresentano un momento irrinunciabile che ti trovi al tramonto in riva al mare, oppure nel mezzo di un free party nel cuore della notte.

                                                La sua selezione ti farà ballare e sognare fino all’ultima traccia.

                                                Godiamoci questa nuova avventura con #5ve r!

                                                Read more “Dj Tillo”

                                                Factory Asks

                                                ELENA BRAVI & FRANCESCA PUCCI

                                                L’Arte come laboratorio per le nuove generazioni

                                                In questa puntata di Factory Asks vi presentiamo il lavoro di Elena e Francesca, due giovani artiste che hanno fatto della loro passione per l’arte un laboratorio di crescita per le nuove generazioni.

                                                Ciao! Mi chiamo Elena, 30 anni (a maggio ahimè 31!), laureata in storia dell’ arte all’università di Firenze. Dopo un’ esperienza in galleria mi sono avvicinata al mondo della didattica per bambini, sviluppando un laboratorio legato all’arte grazie ad alcune collaborazioni prima su Firenze poi con associazioni del territorio lucchese.

                                                Invece io sono Francesca Pucci, classe 1983. Mi sono diplomata alla scuola di fotografia APAB di Firenze. Collaboro con festival di cinema e riviste di musica e da circa un anno e mezzo gestisco un laboratorio artistico per bambini e ragazzi insieme ad Elena.

                                                 Come nasce il tuo interesse per l’arte? C’è un momento che ricordi in particolare?

                                                Elena | Il mio interesse per l’arte nasce alle scuole superiori. Inizialmente i piani erano altri, ho fatto il liceo scientifico linguistico perchè volevo diventare interprete e girare il mondo, poi al terzo anno, grazie ad una professoressa di storia dell’arte, arriva la folgorazione. L’arte antica, il rinascimento, il ‘600, l ‘800 e le Avanguardie, Picasso. Musei, mostre, libri d’arte erano diventati la mia priorità! Finito il liceo non è stato difficile scegliere a quale facoltà iscrivermi.

                                                Francesca | Ero davvero piccolissima. Mi nutro di arte da sempre. Dalle elementari le materie artistiche erano le mie preferite e a 14 anni ho scelto di frequentare l’istituto d’arte ad occhi chiusi. Da ”grande” la passione artistica è spaziata nel cinema e soprattutto nella fotografia. Il percorso è stato lungo e tortuoso, ma è stato ed è ancora bello,  sperimentare, sbagliare e imparare. Tanto.

                                                Che esperienza hai nel campo culturale?

                                                Elena | Le mie esperienze più importanti fino a questo momento in ambito culturale riguardano i bambini e il laboratorio d’arte a loro dedicato. Citerei i laboratori di due anni fa durante il festival Cartasia. Lì ho avuto carta bianca per progettare visite giudate e laboratori creativi. Più recentemente ho avuto modo, insieme a Francesca, di portare alla scuola primaria di Capannori dei laboratori di avviamento alla fotografia, ideati e progettati interamente da noi.

                                                Francesca | Come fotografa mi occupo di fotografia di musica e cinema. E’ impossibile per me non pensare alla fusione di queste arti tra di loro. Nell’ultimo periodo le mie esperienze in ambito culturale hanno spostato l’attenzione anche sui bambini lavorando insieme a Elena.

                                                Quali sono i maggiori ostacoli che hai incontrato (o che incontri) nella tua realizzazione professionale?

                                                Elena | Gli ostacoli più grandi riguardano soprattutto la resistenza riguardo l’arte contemporanea, che spesso non viene capita o è ritenuta non adatta ai bambini. In una città piccola come Lucca poi è difficile farsi strada tra associazioni o realtà già ben radicate nel territorio. Devo dire però che in alcuni casi ho trovato molta collaborazione e interesse e sono riuscita a concretizzare alcuni miei progetti.

                                                Francesca | La diffidenza dei “grandi”.

                                                Quali son state le più grandi soddisfazioni fino ad ora?

                                                Elena | Credo che la più grande soddisfazione sia vedere i bambini incuriositi e interessati a un linguaggio artistico nuovo per loro. Appassionarli all’arte contemporanea è il mio obiettivo principale e loro mi ripagano dieci volte tanto!

                                                Francesca | Gli occhi incuriositi dei bambini. Ma anche le loro risposte inaspettate. I bambini sono degli osservatori e dei creatori di immagini puri!

                                                Laboratorio Artistico
                                                Copyright Elena Bravi & Francesca Pucci
                                                A cosa stai lavorando al momento?

                                                Elena | In questo momento sto portando avanti un progetto di fotografia insieme a Francesca. Dopo l’esperienza alla primaria di Capannori vorremmo coinvolgere i ragazzi delle medie e avvicinarli alle tecniche e al linguaggio fotografico. Personalmente sto lavorando con una cooperativa che gestisce la didattica del Centro Pecci e altri musei tra Prato, Pistoia, Pescia e Montecatini.

                                                Francesca | Come ha già detto Elena, vorremmo avvicinare sempre più bambini e ragazzi al mondo della fotografia e dell’arte in generale, riuscire a nostro modo ad educarli a leggere le immagini che ci circondano e  quelle che stanno nella loro immaginazione.

                                                Perché hai scelto di lavorare con i bambini/adolescenti?

                                                Elena | I bambini sono ad oggi i miei unici interlocutori per quanto riguarda l’arte! Sono curiosi, senza pregiudizi, senza schemi, sinceri. E arrivano al cuore delle cose. Sono capaci di capire Pollock o Fontana meglio di qualsiasi critico d’arte!

                                                Francesca | Perché sono puri. Perché dovremmo re-imparare anche noi a vivere il mondo attraverso i loro occhi. E a raccontare storie attraverso le loro voci.

                                                Come vedi il panorama artistico italiano? Quali i punti di forza, quali di debolezza?

                                                Elena | Lo vedo un po’ stagnante, non c’è ancora quella spinta decisiva, non si investe a dovere, l’arte è ancora argomento di serie B. Credo che le cose più interessanti siano al di fuori dei circuiti ufficiali, penso alla street art ad esempio. Il mondo dell’arte è sempre più eterogeneo, così come i mezzi espressivi. Per quanto riguarda l’arte italiana, forse sta perdendo un po’ quella capacità di saper parlare del proprio tempo, di essere specchio della società.

                                                Francesca | Sottovalutato, purtroppo!

                                                Grazie Francesca, grazie Elena!

                                                Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista
                                                Links:

                                                Lucca Museum

                                                Lab4Kids Lucca

                                                Francesca Pucci bio


                                                Edited by Nicol P. Claroni

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                                                  don't think twice Archivio

                                                  Don’t think twice

                                                  pillola #1

                                                  La pillola n.1…ricordo che imperversava l’estate ed il sottoscritto contava i tre soldi che gli restavano nelle tasche, come sempre.

                                                  Tre soldi erano parecchi perché in effetti non aveva una ragazza a cui pagar la cena (sono uno che cambia poco e lo fa lentamente, per cui non prendetevela) ma solo parecchi amici che comunque costavano meno della ragazza che non c’era.

                                                  Allora nel brodo di pensieri e riflessioni (altresì note come seghe mentali da cui tutti siamo affetti più o meno intensamente) giunsi alla conclusione che potevo farne un interesse condiviso (poiché appunto il disagio è cosa diffusa e presente, non prendetevela neppure questa volta). 


                                                  dtt_25
                                                  dontthinktwice_logo2

                                                  Così nasce la rubrica don’t think twice, che si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole.

                                                  Non si tratta di una sola pillola o consiglio ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica cazzi.


                                                  pillola #2

                                                  Mettiamola così, tutti abbiamo visto quella puntata dei Simpsons in cui Marge ripete ossessivamente a Lisa che è riuscita a cambiare suo padre Homer, come un mantra, per convincere sé stessa e tentare vanamente di convincere la povera Lisa.

                                                  Se non l’avete vista andate a vederla, sia chiaro però che non ho la più pallida idea di quale cazzo di stagione si tratti delle millantamila disponibili della serie… forse wikipedia può aiutare, forse decisamente no.

                                                  Ma tutto questo cosa c’entra col resto o con questa dannata rubrica? come te lo spiego… il tema è il mutamento che mettiamo in atto quando vogliamo piacere all’altro, cioè le molteplici seghe mentali, i super filtri che molti (non tutti eh) di noi mettono in atto per far trasparire la parte più splendida di sé. m’è capitato per esempio di cominciare ad ascoltare i Chemical Brothers per capire meglio cosa ascoltasse la ragazza dai capelli rossi (true story, non si tratta dei peanuts). è stato un abbozzo di cambiamento finito lì, perché oltre non mi sono spinto, non ce n’è stato bisogno, trasmettevo e trasmetto tutt’ora troppo l’idea del dissociato… i più buoni dicono che ricordi un professore stressato di cambridge.

                                                  …in ogni caso cambiamo poco e lentamente più di quanto ci piaccia credere, non parliamo poi delle abitudini mattiniere, un disastro. nella pillola di questa settimana una dichiarazione di sconfitta, l’ennesima.
                                                  dtt_39
                                                  dontthinktwice_logo2

                                                  La rubrica don’t think twice si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole. Non si tratta di consigli ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica bruscolini.


                                                  Edited by Davide L.

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                                                    Giegling Archivio

                                                    Save the Music #02

                                                    Giegling

                                                    giegling
                                                    Copyright Giegling

                                                    Certe cose si creano e basta. Un po’ come l’amore. L’unione e la comunione di intenti di unità singole che vanno ad intrecciarsi con estremità differenti, parallele fino a quel determinato momento. È quello che ci ricorda il battito estenuante di un goccia che esplode a contatto con il terreno. Giegling evoca terra. Sapore di reale, estremamente al passo coi tempi, forse anche in anticipo sulla tabella di marcia. Rude ed allo stesso tempo tremendamente efficace. Il contatto con la natura che si attacca alla ferma convinzione dell’uomo, esso stesso influenzato nel suo incessante e quantomai necessario rapporto con ciò che fisicamente lo circonda.

                                                    Il messaggio principale che passa non è il prolisso arrivismo dell’etichetta “standard”, dove tutto ciò che conta è saper vendere bene il proprio prodotto “no matter what”, ma la rivalutazione in chiave puramente musicale di ciò che dovrebbe essere un collettivo discografico: la musica è al centro dell’universo. Nessun ghirigoro, nessun tentativo di ammaliare l’ascoltatore con strambe trovate pubblicitarie. Resta qualcosa di minimale e al contempo affascinante: il mood del suono.

                                                    La rivalutazione in chiave puramente musicale di ciò che dovrebbe essere un collettivo discografico
                                                    giegling
                                                    Copyright Giegling

                                                    Giegling non a caso nasce fuori dalle ingombranti sagome delle metropoli tedesche. A Weimar. In una fabbrica abbandonata Konstantin (metà del duo Kettenkarussell) e Dj Dustin iniziano una serie di serate per promuovere la propria musica. Nel fabbricato si sviluppano 3 sale che trattano rispettivamente house e techno, elettronica sui generis, funk e soul. Futuri temi principali e punti cardine dalla label.

                                                    Nel 2008 la fabbrica viene abbattuta e coi pochi soldi rimasti il non più duo (si è aggiunto Ateq) decide di stampare il primo vinile.

                                                    You and me make love forever di Kettenkarussell segna fin da principio il carattere camaleontico delle opere Giegling. Un approccio alla dancefloor allo stesso tempo tradizionale e rivoluzionario. In ogni release dell’etichetta di Weimer si trovano pezzi tipicamente dance che vengono accompagnati da una introspezione che il produttore di turno compie su sé stesso, sulla propria musica e sul rapporto tra essa e il pubblico ricevente. Questa ricerca rende l’ascolto adatto a qualsiasi tipo di situazione. Sia essa all’interno di un club, sul proprio divano, durante una corsa oppure negli gli attimi di un lungo viaggio.

                                                    Ma come funziona questo collettivo?

                                                    Come funzionino le cose all’interno del collettivo lo spiega bene in un’intervista Ateq: si scopre che Vril è il “ministro del destino”, Leafar Legov è responsabile delle mutandine bagnate in pista. Dustin si occupa dei contratti, Konstantin della pressione, Prince of Denmark dei sogni. Ateq delle vibrazioni artistiche, Dwig è responsabile dei samples mentre Deer è il tutor tecnico del progetto. In definitiva ciò che fa la differenza è un’organizzazione che rende semplice il lavoro di ciascuno. Certo poi è la musica che parla e in questo caso lo fa incantando.

                                                    Il carattere peculiare che rende difficilmente catalogabile sotto un unico filone il genere trattato nelle produzioni Giegling parte dal minimalismo di Kettenkarussell per arrivare ai tre moniker Prince Of Denmark, Traumprinz e Dj Metatron, che fanno da maschera ad un’unica identità (talmente importante e libera da qualsiasi vincolo da avere dedicata una sub label chiamata per l’appunto Traumprinz), anonima per il momento e che è una fusione di house, techno, ambient e breakbeat, oltre che una gioia per le orecchie in tutte le salse. In mezzo troviamo produzioni tra le più complete e visionarie degli ultimi anni. Si passa dalla classe cristallina di Edward al vento sonoro e impetuoso di Vril, per non parlare dei talentuosi Map Ache e Matthias Reiling (già noto per il suo altro progetto Session Victim).

                                                    giegling

                                                    Tra i progetti più interessanti della casa discografica meritano una menzione: la “Staub Serie”, letteralmente la “Serie di Polvere”, che comprende 7 12” realizzati da Prince of Denmark, Vril, Rau (un alias di Ateq) e Zum Goldenem Schwarm ( lo “Sciame Dorato”) e che è descritta dallo stesso Ateq come “un messaggio segreto di come le cose dell’universo e l’umana natura si leghino insieme” e, i “Giegling Mix” simbolo delle produzioni della casa tedesca e giunti alla fama internazionale proprio quest’anno, dato che “This is Not”, l’ultimo della serie realizzato da Dj Metatron e contenente materiale unreleased, è stato nominato miglior mix dell’anno dalla rivista specializzata Resident Advisor.

                                                    “Forum” sub-label nata dalla madre nel 2013

                                                    Altro cenno lo merita “Forum” sub-label nata dalla madre nel 2013 e specializzata nella produzione di Lp a caratteri techno. Partendo da “The Body” di Prince of Denmark  l’obiettivo di Forum è sempre stato quello di scandagliare un genere sempre più inflazionato donandogli un tocco unico e riconoscibile. Ecco allora gli effetti visionari di Prince of Denamrk con il suo The Body, la potenza espressiva di Vril nel suo Tours, la peculiarità di Zum Goldenen Schwarm con Aufgang e le sonorità ambient e mistiche di Sa Pa.

                                                    In definitiva cosa ci si può aspettare per il futuro di Giegling e cosa il lavoro di questi ragazzi ci ha insegnato?

                                                    Che con la qualità e una giusta programmazione, si possano bipassare le leggi scontate del mercato musicale odierno. Il resto sono solo lacrime e godimenti sonori.

                                                    Giegling

                                                    Lista Releases: www.discogs.com/label/144751-Giegling

                                                    Qua sotto trovate 24 tracce che ripercorrono la storia dell’etichetta dal 2010 ad oggi. Le canzoni sono in ordine cronologico per evidenziare lo sviluppo e l’attività incessante di ricerca.


                                                    Links:

                                                    Sito web / Discogs 


                                                    Edited by Jacopo Boni

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                                                      Matteo Zamagni Archivio

                                                      Matteo Zamagni

                                                      Music, Art, Dance in underground urban environments – m.a.d.

                                                      Arte Frattale ØØØØ

                                                      La storia di Matteo Zamagni, media artist italiano residente a Londra, è la riprova che quando si investe in giovani talenti non si fa mai cosa sbagliata

                                                      Matteo ha 23 anni, è nato Rimini ed è uno tra i 50 artisti scelti dal Barbican Centre per far parte del Fish Island Labs. Questo laboratorio artistico situato ad Hackney Wick, Londra, è nato dal connubio di forze tra il rinomato centro di produzione culturale e l’impresa sociale The Trampery. Il progetto offre uno spazio di lavoro e incontro ad artisti emergenti che hanno l’obiettivo di esplorare le infinite possibilità artistiche create dall’unione di arte e tecnologia, spaziando dalla scultura, al film editing, alla digital art.

                                                      All’interno del Fish Island Lab, Matteo ha scelto forse l’avanguardia artistica tra le più di nicchia all’interno del panorama delle arti multimediali: la realtà virtuale. Esplorando la matematica dei frattali e le più complesse tecniche di grafica 3D, Matteo è riuscito a trasformare in arte visuale la rappresentazione matematica di forme biologiche e naturali. Dopo 12 mesi di duro lavoro, gli artisti del Fish Island Lab hanno riassunto l’ethos della loro sperimentazione artistica e tecnologica nella mostra Interfaces, tenutasi nel prestigioso Barbican Centre. 

                                                      Fin da subito l’installazione Nature Abstraction, si è rivelata il fiore all’occhiello dell’esibizione, attirando l’attenzione di curiosi ed esperti.

                                                      Vedere la lunga e paziente fila di persone in attesa di abbandonarsi per qualche minuto alle meraviglie della realtà virtuale, ha suscitato in me ancora più interesse e curiosità nel lavoro di Matteo. Ma solo dopo aver indossato l’Oculus Rift ed essermi lasciata trasportare (perdendo l’equilibrio svariate volte) in un mondo altro, astratto, composto da forme aliene ma allo stesso tempo familiari, ho capito la vera portata dell’arte frattale e dell’esperienza artistica a 360° che essa può ricreare.

                                                      Ho incontrato Matteo per farmi raccontare com’è iniziato il suo percorso artistico, quali tecnologie utilizza e quali sono i suoi progetti futuri. Parlaci della tua esperienza all’interno del Fish Island Lab.

                                                      Condividere uno spazio con artisti dai simili interessi è stato incredibile. Abbiamo creato uno spazio di discussione molto interessante; per non parlare dei workshop, gli eventi e la visibilità che questa opportunità ha portato ad ognuno di noi.

                                                      Che ci dici della tua installazione Nature Abstraction per la mostra al Barbican Centre?

                                                      Interfaces è stata senza dubbio una delle esperienze più costruttive ed eccitanti che abbia mai vissuto fino ad ora. Ha reso possibile la creazione di una miriade di progetti sviluppati da un gruppo di artisti emergenti il cui scopo è esplorare la relazione tra arte, tecnologia e interazione con il pubblico, che non è più un osservatore “passivo” ma diventa parte integrante del processo artistico.

                                                      su Nature Abstraction

                                                      Dopo un lungo periodo di produzione è stato incredibile vedere la mia installazione Nature Abstraction completa. Essendo un processo che parte da un’idea estremamente astratta, renderla concreta è una sensazione indescrivibile. E ancora più eccitante è stato osservare le reazioni del pubblico che entrava nel cubo luminoso e provava l’Oculus Rift. 

                                                      Di fatti l’installazione è progettata in modo da ricreare un ambiente astratto utilizzando una struttura a cubo sulle cui facce sono proiettati video di composti organici e biologici filmati al microscopio; a questi vengono uniti effetti visivi analogici (come rifrazione e riflessione, o altre proprietà fisiche della luce) che tramite l’utilizzo di un proiettore come sorgente vengono poi filmati nuovamente dalla videocamera. In questo modo l’osservatore è invitato ad entrare all’interno del cubo e ad indossare l’Oculus Rift per lasciarsi trasportare in mondi 3D surreali creati matematicamente.

                                                      Secondo me l’arte in questa nuova era digitale ha più che mai superato i suoi limiti. L’utilizzo di nuove tecnologie che facilitano l’interazione multi-sensoriale dell’osservatore permette all’artista di esprimersi pienamente a diversi livelli di significato. Ed e’ per questa ragione, maggiormente, che credo di essere entrato in questo campo.

                                                      Perché hai scelto la realtà virtuale e la matematica dei frattali?

                                                      Per Nature Abstraction volevo creare un ambiente in cui l’osservatore potesse “staccare la spina” per 10 minuti ed entrare in un mondo surreale composto da frattali 3D. Essenzialmente formule matematiche che riconducono visivamente a forme biologiche e architettoniche, in modo tale da aprire un varco sull’idea di una struttura invisibile che compone la realtà che viviamo ogni giorno. L’idea di usare Oculus Rift insieme ad altri apparecchi elettronici è servito ad amplificare l’esperienza per l’osservatore e renderlo parte integrante  dell’artwork in sé, stimolando sensi come vista e udito fino ad illudere la mente di trovarsi altrove. 

                                                      Quali sono le tecnologie che usi principalmente?

                                                      Gli strumenti variano sempre da progetto a progetto. Molti software sono disponibili online per quanto riguarda video editing, special effects, 3D, realtime graphics, photo-scanning ecc. Inoltre ci sono sensori di tipo uditivo che individuano determinate frequenze audio presenti nell’ambiente, oppure il Kinect o il Leap Motion che tracciano il movimento del corpo tramite sensori a raggi infrarossi. Alcuni di questi strumenti sono relativamente economici e già con essi si hanno infinite possibilità. Ma nel mio caso l’idea astratta è quella che nasce prima di tutto, dopodiché cerco gli strumenti adatti per svilupparla e realizzarla nel mondo fisico. 

                                                      Attualmente sto esplorando molti softwares 3D realtime e offline come Cinema4D e Houdini (utilizzato per il Visual FX anche in produzioni holliwoodiane), softwares specifici per frattali 3D, ed altri per vj-ing e projection mapping. Durante il mio percorso ho sempre notato una continua evoluzione nel modo in cui creo nuovi progetti. Credo sia dovuto al fatto che mi piace scoprire e imparare ad utilizzare nuovi strumenti per poi combinarli insieme in lavori futuri.

                                                      Come definisci la scena artistica in cui si inserisce il tuo lavoro?

                                                      Dal mio punto di vista : FANTASTICA.
                                                      Essendo un movimento digitale, nasce in primis da internet e dalla divulgazione di tante pratiche artistiche online. C’è un intero network di digital artists da tutto il mondo online radunati in vari gruppi, forum e piattaforme che discutono e condividono argomenti d’interesse. E’ così che ho iniziato e ho avuto la fortuna di incontrare di persona alcuni degli artisti da cui ho tratto più ispirazione.

                                                      Su cosa stai lavorando al momento e quali sono i tuoi progetti futuri?

                                                      Ho un po’ di progetti su cui sto lavorando al momento, sia di breve che lungo termine. Sto sviluppando una seconda installazione in cui lo scopo sarà quello di ricreare una esperienza extracorporea, stimolando più sensi possibile in modo da indurre la mente a pensare di essere altrove. Sono ancora nella fase iniziale di sviluppo e penso che ci vorrà almeno un anno per la realizzazione. 

                                                      Inoltre sto cercando di mettere insieme un collettivo online di digital artists. Sarà una piattaforma dove poter condividere idee, collaborare, ed esprimere concetti in relazione a mondi astrali e alla relazione tra scienza e spiritualità, un tema particolarmente caro a molti artisti sparsi nel mondo. Credo che questo movimento nasca da una necessità di condividere idee ed esprimersi attraverso l’arte infusa nella tecnologia.


                                                      Links:

                                                      Vimeo channel

                                                      Wired interview

                                                      Anisegallery

                                                      Times Square Arts


                                                      Edited by Celine Angbeletchy

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                                                        Archivio

                                                        VOGUE, STRIKE A POSE

                                                        Italian Version

                                                        Queer, music, dance and social stigma mixed together bring to life a new cultural dimension that escapes from mainstream trends and gives everybody the opportunity to shine, to be someone.
                                                        Malcolm-McLaren

                                                        “This society – going to a football game, basketball – that’s their entertainment. You know, a ball is ours. We prepare for a ball. We may spend more time preparing for a ball than anybody would spend preparing for anything else. You know, a ball is like our world. A ball, to us, is as close to reality as we’re gonna get to all of that fame and fortune and stardom and spotlights.”

                                                        From the documentary “Paris is Burning”, 1990
                                                        A new dimension

                                                        Vogue, a word that certainly doesn’t sound new. Well-know fashion magazine, unforgettable hit from the singer Madonna, but also emblematic artistic phenomenon that for decades has sparked the underground urban scene in many cities around the world.

                                                        This word not only refers to a contemporary style of dance, but it also indicates a sub-culture rooted in the queer, LGBT, working class black and latin communities of New York and other American cities. It combines various forms of self-expression, dance in the first place, but also music and fashion, with  political and social issues such as status, ethnicity and sexual orientation. However, the element that mostly characterises this cultural movement is the dance style: vogueing. It combines plastic poses and fluid movements performed with arms and hands, and, unsurprisingly, the name refers to the influential fashion magazine, as the moves and gestures aim at recreating those iconic poses.

                                                        ParisIsBurning122v02v
                                                        Copyright the documentary “Paris is Burning
                                                        Into the sub-culture

                                                        Unlike other dance styles come to light from urban sub-cultures such as hip hop or breakdancing – where performances take place mostly on the street – the so-called “ballrooms” have a prominent role for vogueing. In these venues the various “houses” (crews of dancers organized hierarchically like real families) organize balls: competitions where the voguers or ball- walkers perform in different categories (e.g. Fantasy, Realness, etc.).

                                                        Since the Sixties vogueing has evolved in several different styles. The Old Way, popular before 1990, can be seen as a real fight between two rivals walkers. In the famous documentary on the Vogue culture “Paris is Burning“, Willi Ninja says:

                                                        “Now, where street gangs get their rewards from street fights, a gay house street-fights at a ball. And you street-fight at a ball by walking in the categories.”

                                                        The New Way style, characterized by geometric, articulate movements, was mainly performed during the first half of the nineties. It diverges consistenlty from another style, the Vogue Femme, more graceful and fluid, that since 1995 has evolved significantly creating two new subcategories: Dramatics, highly energetic acrobaticstyle and Soft and Cunt, more feminine and sensual.

                                                        The rise of vogueing

                                                        Born from the working class communities of the american inner cities, vogueing expanded overseas. In the United Kingdom the Vogue scene has spread from London to other cities like Liverpool, Manchester and Glasgow, where it recently regained a strong importance. Every year the city of Liverpool hosts the largest national Vogue competition, the “House of Suarez Liverpool’s Ball”. The event is organized by Darren Suarez, a professional dancer and mother of the House of Suarez. For what concerns the capital, the best ways to be part of the London vogueing scene is to attend the House of Trax nights. These old-school parties are organized monthly in East London by the music label Trax Coture. It promotes club music such as Chicago, Detroit and Baltimore House, that have recently become prominent in the British underground electronic scene.

                                                        Thanks to professional crews of dancers, fashion shows and celebrities the vogue culture reached the whole world. At the beginning of the nineties Madonna (with her single “Vogue”) and Malcom McClaren were the first to let vogueing be known outside the USA.

                                                        Lately the british singer, dancer, producer, choreographer and director FKA Twigs, whose reputation is growing exponentially worldwide, made vogueing the hallmark of her performances. Unwillingly she has become one of the main promoters of Vogue in the current music industry by performing with professional voguers as Benjamin Milan (mother of the House of Milan) in the acclaimed shows “Congregata” and in some of  her music videos.

                                                        A new powerfull and expressive style

                                                        In recent years, the artistic and expressive power of this style of dance has grown as never before, reaching the Far East. In particular, this culture in Japan is a real art and fashion trend. Aya Sato and Bambi, media-artists, dancers, choreographers and models have an incredible entourage. They organize workshops and take part in international art projects. Thanks to their talent and their originality, Aya Sato and Bambi were chosen by Madonna as backup dancers for her infamous performance at the Brits Awards 2015.  With no doubt these two artists will bring new interesting outlooks to the nipponic Vogue scene.

                                                        The artistic and conceptual mix of dance, fashion and music as forms of self-expression, make vogueing and, more generally, the Vogue culture a phenomenon of incomparable originality. Thanks to plastic poses and movements that often resemble those of a mime, Vogue put into direct contact dancers and spectators. It is a unique form of art that represents a political statement, not only it outlines social status and cultural background, it also unveils the desires, passions and dreams of an individual.

                                                        As Madonna says:

                                                        “Life’s a ball, so get up on the dance floor.”

                                                        Quando queer, musica, danza e stigma sociale si uniscono e si forma l’alchimia che porta alla luce una dimensione culturale nuova, folle, che quindi evade dalle logiche mainstream e dà ad ognuno la possibilità di brillare, di essere qualcuno a modo suo.
                                                        Malcolm-McLaren

                                                        “This society – going to a football game, basketball – that’s their entertainment. You know, a ball is ours. We prepare for a ball. We may spend more time preparing for a ball than anybody would spend preparing for anything else. You know, a ball is like our world. A ball, to us, is as close to reality as we’re gonna get to all of that fame and fortune and stardom and spotlights.”

                                                        Tratto dal documentario “Paris is Burning”, 1990
                                                        Una nuova dimensione

                                                        Vogue, è una parola che sicuramente non vi suonerà nuova. Nota rivista di moda,  famoso singolo di Madonna.

                                                        Vogue è anche un emblematico fenomeno artistico di grande rilievo, che ha animato per decenni ed anima ancora oggi la scena underground di molte città del mondo.

                                                        Il termine non si riferisce solamente ad uno stile di danza contemporanea. Il richiamo nascosto è in quella che viene considerata una “vera e propria cultura radicata” nelle comunità queer e LGBT della classe operaia nera e latina di New York ed altre città statunitensi.

                                                        Dove si uniscono diverse forme di auto-espressione, come la danza, ma anche la musica e la moda, e temi di natura politico-sociale come lo status, l’etnia, l’orientamento sessuale.

                                                        Tuttavia, l’elemento che più caratterizza questo movimento culturale è sicuramente lo stile di danza, appunto vogueing, che mescola pose plastiche a movimenti fluidi eseguiti con braccia e mani.

                                                        Non a caso, il nome rimanda proprio alla famosa rivista, poiché le movenze e i gesti di questa danza vogliono ricreare le stesse pose e immagini di quelle iconiche pagine patinate.

                                                        ParisIsBurning122v02v
                                                        Copyright the documentary “Paris is Burning
                                                        Parte di una sotto-cultura

                                                        Al contrario di altri stili di danza nati da subculture urbane come l’hip hop o la breakdance in cui le performance avvengono principalmente per strada, il luogo prediletto per il vogueing sono le cosiddette ballrooms.

                                                        All’interno di queste sale da ballo le varie houses, ovvero crews di ballerini organizzate gerarchicamente come vere e proprie famiglie, organizzano i balls:

                                                        • competizioni in cui i voguers o ball-walkers si esibiscono in diverse categorie (Fantasy, Realness, Solo ecc.).

                                                        Dagli anni Sessanta fino ad oggi il vogueing è andato evolvendosi, costituendo diversi stili.

                                                        Lo stile Old Way, stile in voga prima del 1990, si configura come una vera e propria battaglia tra due walkers rivali. Nel famoso documentario sulla cultura Vogue Paris is Burning, un giovane parlando del significato del termine “house” afferma:

                                                        “Una house è una gang di strada gay. Se una gang di strada accresce la sua reputazione con gli street fights, una house lo fa esibendosi nelle categorie dei balls.”

                                                        Lo stile New Way della prima metà degli anni Novanta è caratterizzato invece da movimenti geometrici e articolati, a differenza del Vogue Femme, più aggraziato e fluido. Quest’ultimo dal 1995 in poi si è evoluto, dando vita a due nuove sotto categorie:

                                                        • Dramatics, stile acrobatico ed energetico, e Soft and Cunt, più femminile e sensuale.
                                                        L’ascesa del vogueing

                                                        Nato dalla dimensione comunitaria dei bassifondi delle inner cities americane, il vogueing si è poi esteso oltreoceano. Nel Regno Unito la scena Vogue si è diffusa da Londra ad altre città del paese come Liverpool, Manchester e Glasgow, nelle quali ha recentemente riacquistato una forte centralità.

                                                        In particolare, a Liverpool ogni anno si tiene la competizione Vogue più grande a livello nazionale, il “Liverpool’s House of Suarez Ball”. L’evento è organizzato da Darren Suarez, ballerino professionista e mother, cioè fondatore, della House of Suarez.

                                                        Per quanto riguarda la capitale, uno dei migliori modi per assistere ai più spiccati talenti della scena Vogue londinese è partecipare alle serate House of Trax.

                                                        Questi party old-school organizzati mensilmente nell’East London, sono animati dai beat caratteristici della Chicago, Detroit e Baltimore House. Perchè sono generi che da qualche anno sono tornati in voga nella scena elettronica underground britannica.

                                                        Tutto questo grazie a etichette come la Night Slugs, che vanta artisti del calibro di Jam City e L-vis 1990.

                                                        Grazie a crews di ballerini professionisti, fashion shows e celebrità la cultura Vogue si è estesa in tutto il mondo.

                                                        All’inizio degli anni Novanta Madonna con il suo singolo “Vogue” è stata una delle prime insieme a Malcolm McLaren a rendere noto alle grandi masse questo movimento culturale.

                                                        Oggi, il merito per aver riportato all’attenzione internazionale, questo affascinante stile di danza va sicuramente a FKA Twigs.

                                                        La cantante, ballerina, producer, coreografa e regista inglese la cui notorietà sta crescendo esponenzialmente in tutto il mondo, ha fatto del vogueing un tratto distintivo delle sue performance.

                                                        Esibendosi con voguers professionisti come Benjamin Milan (mother della House of Milan) nei suoi spettacoli “Congregata” e in alcuni dei suoi video, Twigs ha riacceso i riflettori sul Vogue diventandone un’importante promotrice.

                                                        Uno stile potente ed espressivo

                                                        La potenza artistica ed espressiva di questo stile, negli ultimi anni è esplosa come non mai, arrivando anche in estremo oriente.

                                                        Il vogueing in Giappone è una vera e propria moda.  

                                                        Aya Sato e Bambimedia-artists, ballerine, coreografe e modelle unite sia nel lavoro che nella vita – organizzano numerosi workshops di vogueing molto partecipati e apprezzati in tutto il mondo.

                                                        Proprio grazie al loro talento e alla loro originalità sono state volute dalla grande Madonna, come backup dancers per la sua esibizione ai Brit Awards 2015.

                                                        E’ indubbio che il futuro di queste due artiste nella scena Vogue nipponica ci riserverà molte interessanti sorprese.

                                                        La commistione di danza, moda e musica, rendono il “vogueing” e la cultura Vogue un fenomeno di originalità inequiparabile. Attraverso pose plastiche e movenze che spesso ricordano quelle di un mimo, questa espressione d’arte sembra mettere in contatto diretto ballerini e spettatori. Il vogueing è un vero e proprio linguaggio del corpo, e non ha solamente l’obiettivo di impressionare o emozionare. Ci racconta l’intero universo di un individuo: non delinea solamente il suo status sociale e il background culturale, ci parla dei suoi desideri, dellle passioni e dei sogni. Racchiude quello che pensiamo che la società ci impedisca di essere o di avere. I voguers usano il loro corpo per esprimersi tramite un linguaggio inclusivo e universale che proprio grazie alla sua unicità sta tornando in voga nei panorami urbani di tutto il mondo.

                                                        D’altronde, proprio secondo Madonna:

                                                        “life’s a ball, so get up on the dance floor!”.

                                                        Edited by Celine Angbeletchy

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                                                          SMrecords Archivio

                                                          Save The Music #01

                                                          Smallville Records

                                                          Germania: terra ermetica, fredda, apparentemente distante dai popoli mediterranei scanzonati e umoristici. Posto perfetto per un’analisi lucida e ragionevole della società occidentale moderna. E cosa rappresenta più fedelmente a livello musicale l’ambiente odierno se non l’elettronica nelle sue varie e quasi infinite sfaccettature. Ecco perché i tedeschi sono così bravi. Dietro all’abilità a estraniarsi e al rigore mentale che unisce i puntini di una esistenza ordinata si nasconde il segreto delle grande produzioni “deep” che da parecchi anni questo popolo coltiva, crea e promuove.

                                                          Ed ecco anche perché questa terra è piena di etichette degne di nota che hanno fatto e continuano a fare la storia della cultura club nel mondo. In questo articolo ci concentreremo su una in particolare: la Smallville Records.

                                                          Una delle label più innovative e con un roaster tra i più interessanti e variegati sulla scena.

                                                          Nata dall’amore e la passione per la musica di Julius Steinhoff e Just von Ahlefeld (il duo alla base del progetto Smallpeople che esce ovviamente sotto l’etichetta di loro proprietà) e in seguito raggiunti da un altro musicista delle vicinanze, un tale chiamato Peter Kersten ai più conosciuto come Lawrence e co-fondatore di un’altra storica etichetta, la Dial Records.

                                                          In principio un negozio

                                                          La Smallville era in principio un negozio per appassionati di vinili aperto ad Amburgo dai due fondatori che solo successivamente si sarebbe trasformata nell’etichetta che oggi conosciamo con il primo Ep prodotto nell’ormai lontano 2006.

                                                          smallville members
                                                          Smallville people, Copyright Smallville Records

                                                          Passione, dedizione e amore per il proprio lavoro. Ecco ciò che ha sempre contraddistinto e alimentato ogni passo intrapreso dalla coppia (poi diventata un trio). A questo va aggiunta la ricerca continua di un’evoluzione prima di tutto artistica e, di conseguenza anche musicale, che rimanesse sempre e comunque unica e indipendente rispetto a tutte le altre produzioni che circondavano il panorama degli artisti coinvolti nel processo creativo dell’etichetta. Possiamo esemplificare la filosofia della Smallville con il semplice dettato:

                                                          creiamo una casa discografica dove noi e i nostri amici faremo sempre quello che vogliamo”.

                                                          Smallville records
                                                          Poi una label per rigenerare la Deep House

                                                          Alla base di tutto c’è quindi un’estrema confidenza tra musicisti e produttori, cosa che si riflette nel suono caldo e nella nuova spinta che questa etichetta sta dando ad un genere (la deep house) che rischiava di fossilizzarsi nella nomea appiccicatole addosso negli ultimi anni.

                                                          smallville

                                                          Questo sentimento di indipendenza va ad influire su ogni decisione collegata all’uscita di un nuovo prodotto della casa discografica che debba essere fatto conoscere all’esterno. Ne nasce così una cura maniacale del dettaglio che fa la differenza e va in questo verso la decisione di affidare l’art work di ogni copertina al fumettista ed artista tedesco Stefan Marx, cosa che rende ogni Ep o Lp originale e con una propria impronta riconoscibile.

                                                          Scopriamo insieme quel sound che ha reso famosa l’etichetta di Amburgo nel corso degli anni.

                                                          Ad oggi la Smallville ha prodotto e fatto uscire 42 opere di svariati artisti. I punti forti del collettivo rispondono ai nomi di: Moomin, Smallpeople, STL, Christopher Rau, Steven Tang, Arnaldo, Jacques Bon, i già citati possessori della label Julius Steinhoff e Lawrence e ancora molti altri.

                                                          Potremmo definire il genere trattato e affrontato come Deep House ma il merito principale di questa etichetta è stato quello di ristrutturare un genere troppo inflazionato negli ultimi anni aggiungendovi scorze di numerosi altre varietà, partendo dalla techno (e come non potrebbe? siamo in Germania, patria di questa variante musicale), per arrivare fino all’ambient music o anche alla dub (STL – At Disconnected Moments)  non rinunciando mai ad quel sapore jazzy (Moomin –  The Story About You) che s’intravede molto spesso tra le righe degli spartiti delle produzioni degli artisti sopracitati.

                                                          Ristrutturare un genere troppo inflazionato negli ultimi anni aggiungendovi scorze di numerosi altre varietà

                                                          Aldilà delle varianti sonore che ogni singolo artista porta con se nel suo bagaglio, quello che contraddistingue maggiormente il suono di questa label è la pulizia e la finezza di canzoni sempre eleganti che fanno un vero e proprio screening del pubblico ascoltatore, andando alla ricerca loro stesse di orecchi educati e sensibili, con l’obiettivo non dichiarato di creare un uditorio che si allontani il più possibile dai suoni commerciali e stereotipati dai quali siamo sommersi al giorno d’oggi.

                                                          17_smallville13coverweb
                                                          Copyright Smallville Records

                                                          L’esigenza di cambiamento e autonomia si specchiano a meraviglia in tutto ciò che questa etichetta fa e la rendono in definitiva indiscutibilmente tra le migliori e più interessanti del momento.

                                                          Dulcis in fondo la playlist Spotify con cui potrete farvi un’idea e approfondire i temi e le note trattate dalla SMALLVILLE RECORDS.


                                                          Links:

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                                                          Edited by Jacopo Boni

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                                                            Plato - Rueda - Sideshape New Sounds

                                                            Rueda: una metafora della vita. Ecco il perchè.

                                                            Un brano che rinforza la maturità raggiunta dal produttore torinese Plato

                                                            “Questi giorni sono un po’ come andare su una ruota panoramica, un continuo scendere e salire di emozioni. Siamo come due giostre di quella ruota che stanno vicine ma allo stesso tempo distanti, che continuano a girare e girare nella speranza di potersi toccare.”
                                                            Cit. Maniaco d’Amore

                                                            Siamo davvero felici di annunciarvi oggi su New Sounds che il prossimo 20 Novembre 2020 uscirà il nuovo brano di Pasquale Lauro in arte Plato per Sideshape Recordings (Torino) sul Bandcamp ufficiale dell’etichetta discografica.

                                                            Un nostro caro amico, produttore, arrangiatore e sound designer al di fuori da ogni limite di genere.

                                                            Tempo addietro – nel 2016 – lo avevamo intervistato su Under-blog per Factory Ask, precisamente quando uscì il suo capolavoro “Awake“.

                                                            Come allora – ancora oggi Plato ama spaziare su trame sonore che variano dall’ambient alla house, dalla world music alla realizzazione di soundtracks. Questo eclettismo misto ad una ricerca armonica più emozionale rende le sue produzioni adatte sia ad un ascolto più intimo che al clubbing più raffinato.

                                                            Per Rueda, l’artista torinese ha scelto di accompagnare il brano con l’immagine di una ruota panoramica. Un’immagine davvero significativa in un momento come quello che stiamo vivendo, dove i corpi vengono separati, distanziati, isolati mentre la vita prosegue.

                                                            “Rueda” by Plato; Artwork: Maniaco D’amore [Pietro Tenuta]; Copyright Sideshape Recordings; Release date 20 November 2020

                                                            Rueda è come la vita che gira senza sosta, caratterizzata da più o meno momenti felici, ma tutti in ugual modo importanti.

                                                            Nel brano La presenza del suono costante dell’arpeggiatore vuole evocare un flusso ininterrotto di energia vitale, su una ritmica spezzata tipica dell’elettronica nordeurpea, sospesa in alcuni momenti per sottolineare quanto siano importanti le pause e le riprese durante la nostra esistenza.

                                                            In questo sviluppo ritmico ci vediamo tutta la formazione jazzistica di Plato, mentre per le atmosfere – per chi ha avuto modo di ascoltare l’artista in passato – ci troviamo un pò a cavallo tra i suoni dei suoi primi brani con il progetto Unlimit in collaborazione con Imo e il  cantante-performer londinese Randolph Matthews e l’album Awake in una visione più matura del comparto armonico.

                                                            In Rueda si percepisce tutto lo sviluppo che il progetto ha avuto in questi anni, frutto del lavoro che Plato ha avviato su fronti paralleli come la collaborazione con la compagnia teatrale Fabula Rasa all’interno del progetto Black Fabula come soundscaper / sound-designer, per il quale ricordiamo il brano Refugee. Ma anche un pizzico della vena pop dell’artista, che recentemente ha avuto modo di esplorare con il progetto Vento assieme al cantautore Torinese Esma.


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                                                            Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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