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FACTORY ASKS 0020 : DAVIDE URGO

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Nome Artista 0020 : Davide Urgo

BIO

Davide Urgo è nato a Napoli nel 1990. Ha frequentato il Liceo Artistico e poi l’Accademia di Belle Arti di Napoli dove si è laureato in Pittura. L’incontro con disegnatori e scrittori della sua città ha inclinato i suoi interessi verso il fumetto e lo ha portato a partecipare alla creazione di una rivista indipendente, “Hey,Pachuco!” e ad attività culturali di diverso genere, come mostre e performances. Attualmente vive e lavora a Bologna, dove frequenta il corso di Linguaggi del Fumetto all’Accademia di Belle Arti.

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Disegno da sempre, fin da quando ero bambino. Ho studiato arte e il disegno per anni a scuola e soprattutto con amici artisti che ho incontrato lungo la via. Dagli incontri e dagli esperimenti conseguenti è lentamente emerso ciò che personalmente mi piace dell’arte visiva e quello che potrei definire il mio “stile”, formato amalgamando spunti  diversi , presi da diversi ambiti come la psicologia, l’esoterismo e la musica.

02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Le mie ispirazioni sono l’arte antica, la pittura rinascimentale, Moebius (Jean Giraud) e i fumettisti degli anni 70, l’arte psichedelica e i sogni.

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03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Vivere con l’arte e le mie creazioni.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Il messaggio più importante dei miei lavori è che esistono realtà nascoste ai nostri occhi, ma ugualmente presenti e influenti nella nostra vita. E che il linguaggio e la coscienza permeano ogni cosa nella realtà, rendendola significativa. L’universo è più vasto di quanto appare e non finiremo mai di scoprire i suoi contenuti.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Underground è una rete di persone che lavora in questo momento per creare qualcosa di così nuovo che non riesci a definirlo, l’avanguardia della percezione.

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06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Ho portato con me le ultime produzioni e anche lavori più datati, a cui sono affezionato. Sono i disegni che porto con me in strada con lo scopo di esporli e diffonderli. Per me il festival P.U.M è stata un occasione per conoscere persone interessanti ed ampliare le mie vedute, scambiando opinioni e visioni.

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Secondo me sono fondamentali eventi come questo per espadere i propri orizzonti e mostrare il proprio lavoro in un ambiente amichevole ed aperto. Credo che ci vorrebbe maggiore disponibilità delle istituzioni, connessioni tra i diversi eventi che crescono in tutto il mondo e più interesse da parte delle persone che non praticano arte.

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0019 : DEVICE

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Nome Artista 0019: Device

BIO:

Mi chiamo Lorenzo anno 1993, sono nato a Bologna. Ho sempre apprezzato l’arte, non ho seguito scuole di musica. Mi sono formato autonomamente nell’ambito musicale, da lì mi sono spinto in vari ambiti artistici.
Al momento lavoro a progetti come Broken Mirror (presentato al festival P.U.M. del Dicembre 2015) in cui mi occupo di installazioni per VideoMapping e collaboro con Marco Rossitto ad un progetto di VideoMaking. Invito a partecipare chiunque sia interessato alle nostre attività. Siamo un bell’agglomerato di gioventù per lo più Pisana.

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Percorso? Quale percorso? Penso di non aver mai scelto un percorso, o meglio, non mi sono mai accorto di aver fatto una scelta per essere dove sono o per essere quello che sono. Posso dire che i miei genitori mi hanno sempre supportato/sopportato nell’incremento della mia cultura artistica e non. Ho mosso i miei primi passi nell’ambito musicale, ma sono sempre stato attratto da qualsiasi tipo di forma artistica.

02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Beh, diciamo che mi faccio aiutare dalle mie emozioni. Mi accorgo che al giorno d’oggi l’ambito artistico, come quasi tutti gli ambiti, si sta evolvendo nella nostra cultura del multitasking. Molto spesso, sopratutto negli ultimi anni, stiamo optando quasi sempre per “rappresentazioni” che sfocino in molteplici campi, per dare sfogo a molteplici voci e a molteplici collaborazioni, questo perchè siamo ispirati da molteplici flussi.

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03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Penso di essere realista da questo punto di vista, non aspiro alla massima onorificenza o anche al semplice “portare la pagnotta a casa”. Io spero che la mia arte, ma non solo la mia, un giorno possa essere libera. Sarebbe bello avere spazi dove persone comuni possano esporsi, scambiarsi idee, informazioni, contatti o anche solo complimenti e critiche. Sono convinto che un’opera d’arte al di fuori del valore economico che può esserle assegnato, debba avere un’importante valore socio-culturale.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Credo sia impossibile non innamorarsi della propria opera, completa o incompleta che sia.  È come una relazione che nasce e che inevitabilmente è destinata a finire prima o poi. Può sembrare triste vederla così, ma nel momento in cui espongo qualcosa, essa diventa materia di analisi da parte di chi la osserva; molte volte anche se concretizzata, può capitare che l’osservatore stesso non riesca a percepire le emozioni che si celano dietro quel Lavoro perché non sono partecipi della mia evoluzione/crescita nel realizzarla.  Alla fine l’osservatore sovrapporrà il proprio punto di vista su quello dell’autore, ogni “fottutissima” volta.
Per concludere e rispondere alla domanda, esplico: non c’è bisogno di lasciare un vero e proprio messaggio ogni volta, basta saper essere, saper rappresentare e saper metabolizzare ogni esperienza… L’arte è solo un rubinetto aperto dal quale bisogna decidere se idratarsi o no.

 

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05. Che cosa vuol dire underground per te?

Ormai faccio poca distinzione tra cosa è Underground e cosa è alla “Moda”… sono due facce della stessa medaglia. Solo che nella “Moda” girano un sacco di soldi, e una volta che ti sei fatto un nome l’opera più banale può essere valorizzata al “Must” della cultura. Penso che i movimenti Underground servano a persone come me e i miei colleghi, che nel mondo della “Moda” sanno bene che vestirebbero abiti stretti, sempre che si riesca a varcare quella soglia sottilissima tra Moda e Underground.

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Mi sono immerso in questo fantastico ambiente culturale fondato dal P.U.M.  A dire il vero mi avevano chiamato per supportare il lavoro del VJ, compito che non avevo mai preso realmente in considerazione, fino a quando non sono stato istruito e supportato da Giacomo Dell’Apina, che per giunta ho avuto la fortuna di ospitare a casa tre giorni, durante i quali abbiamo legato un sacco. Abbiamo dedicato un sacco di tempo per montare uno “schermo” dove proiettare le opere Visual. Alla fine del festival questa esperienza mi ha invogliato ad organizzarmi con un altro ragazzo per la progettazione di nuovi pannelli, il progetto si chiama Broken Mirror e speriamo che per il prossimo festival vi si possa lasciare senza fiato.

deviceHand Job – Lorenzo Puccini – PUM ART FEST // Foto di Nicol P.

Oltre a questo mi sono dilettato nell’ambito della scultura insieme ad una amica, per progettare un logo per il P.U.M.,  l’opera si chiama HandsJob (coraggioso gioco di parole che richiama il lavoro “manuale”).

L’idea era semplice: tre mani in gesso che dovevano comunicare le lettere P, U e M… Nulla di complicato, vero? Ad essere sincero, sì! Grazie ai consigli di un professore dell’Istituto Artistico di Pisa, sono riuscito a creare delle mani lontane dall’anamorfismo (compito che mi ero preposto per l’opera), senza dover ricorrere a calchi su calchi, e sopratutto spendendo il giusto.
Devo essere sincero, questa scultura in fase di assemblaggio ha avuto un sacco di problemi, che grazie alla pazienza e alla manualità di mia madre siamo riusciti a risolvere, giusto in tempo per la mostra… Il risultato? Penso sia piaciuta… Anche se la maggior parte dei visitatori non ha riconosciuto le lettere, ma è riuscita a spiegare semplici gesti riconducendoli addirittura ad ambienti socioculturali questo a dimostrazione che l’osservatore sovrappone il proprio punto di vista su quello dell’autore e alla fine il bello dell’arte e dei festival che la ospitano, è anche questo.

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso

In realtà non abbiamo bisogno di molto, basterebbe un luogo dove poter lavorare, dove poter investire tempo, più che soldi. Mi interesserebbe vedere un posto dove gli artisti di tutta Pisa, possibilmente anche di tutta Italia/Europa/Mondo/Universo, possano sentirsi liberi di esprimersi senza mediazioni.

Vorrei che l’arte fosse contagiosa, vorrei che ogni giorno la gente sentisse il bisogno di esprimere qualcosa, vorrei che ci provassero tutti, anche senza riportare a casa dei risultati… La vita è effimera, l’arte è immortale.

 

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0018 : BRIAN DI CALMA

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Nome Artista 0018 : Brian Di Calma

BIO

Sono quello che nella mia lingua del tutto inventata descriverei come un personaggiurdo. Sono Italo-Americano, nato negli Stati Uniti a Pittsburgh, e sono dieci anni che vivo in Europa, la maggior parte in Italia. La mia vita è un’ esperienza vissuta dentro un film di serie B. Ho vissuto per sei anni in eco-villaggi in Andalusia e sugli Appennini: so allevare animali, coltivare ortaggi, curare con medicine naturali, fare birra, vini, liquori, formaggi, carni, e sono un mito in cucina. Faccio coltelli artigianali realizzati con materiali riciclati e corna caduche di cervo, e sono artista di strada. Sono cantante e disegnatore. Ho una mentalità fortemente contro il sistema e cerco di vivere fuori dalle regole. Essendo una persona che tecnicamente non esiste, per me dunque non esistono regole, a parte una, semplice e che comprende tutto – il rispetto.

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

La musica è sempre stata una presenza fortissima nella mia vita e non credo di poter vivere senza. Ho cominciato a suonare per strada in Andalusia nel 2011, e ho girato cinque paesi europei suonando con diversi artisti. Con la creazione dei coltelli ho cominciato nel 2012 vicino a Pistoia, più o meno per caso e il disegno nell’ottobre 2015 essendomi trovato in una casa di artisti a Bologna.

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02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Musicalmente, ci sono troppi artisti che mi hanno modellato per scriverli tutti. Ho un dono meraviglioso nella mia voce, e non ho mai studiato. Quando canto, mi sento uno strumento collegato all’ energia ambientale circostante e in qualche maniera riesco a canalizzare quest’energia e a trasformarla in musica. Anche se io sono fisicamente presente, il mio conscio è scollegato dal mondo fisico che mi circonda per quel breve periodo, in rete con un altro mondo, rete costruita di onde energetiche invisibili. Riguardo al disegno, dovrei ringraziare i miei amici artisti (e famiglia) qui a Bologna, specialmente: Mario Ventriglia, Davide Urgo, Albero Cosenza e Daniele Ventola in quanto senza il loro supporto e osmosi non mi troverei a scrivere questo, ora.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Direi di riuscire a vivere tranquillamente fuori dal sistema con i diversi tipi di arte che creo.

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04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Sì, questo per me è fondamentale. Essendo uno che vende la propria arte, mi rifiuto di ‘vendermi’ creando qualcosa che a me non piace, che non manda un messaggio mio personale, in maniera da guadagnare di più o commercializzando la mia arte. A volte i messaggi sono ben chiari, a volte molto più sottili, e a volte è puro divertimento. In ogni caso, il messaggio dipende da come viene interpretata l’opera nell’occhio e la mente degli altri, e forse ogni persona interpreta il messaggio in maniera diversa. Uso poche parole scritte perché vorrei che il disegno o la pittura parlassero per sè e si lasciasse all’ osservatore la possibilità di vedere e ricevere il messaggio in maniera personale senza essere già indirizzato altrimenti.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Per me è la rete…la rete tra noi artisti, noi alternativi, contro un sistema corrotto e orwelliano. Ci vivo dentro, ed è molto forte.

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Ho portato vari disegni, tra cui i miei primi di “Mondo Cane!” (i miei animali antropomorfizzati), e la serie “Bottiglie in banana” (una specia di delirio alcoolico surrealistico). Ho portato pure qualche coltello. In realtà, avevo cominciato col disegnare solamente due mesi prima, e il PUM Factory Fest è stata la mia prima mostra. L’esperienza per me è stata molto, ma molto positiva e la cosa più importante sono stati i contatti fatti con gli altri artisti e “undergroundiani” per espandere e far crescere questa “rete”.

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07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Secondo me sono molto importanti, specialmente per i contatti e possibilità che possono crearsi. Di solito io lavoro per strada, e incoraggio i giovani artisti a mostrarsi anche loro assieme a noi per le opportunità che la strada ti presenta: dopotutto, ho beccato l’invito al PUM Fest lavorando per  strada durante Lucca Comics, grazie a Nicol P. La strada ti dà un guadagno (anche se minimo) subito, ti dà visibilità, ti aiuta a sviluppare autostima e confidenza e ti presenta possibilità di fare mostre, partecipare a riviste, etc. Incontri un sacco di persone. Hai un contatto dal vivo insieme alla tua arte con tanta gente diversa ogni giorno, e ogni tanto incontri qualcuni che ti può portare opportunità interessanti.

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| The Factory | Brian Di Calma |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

Factory Asks

FACTORY ASKS 0017 : M45

Nome Artista 0017 : M45

BIO

Sono un figlio degli anni ’90 convinto che per saltare esista solamente il tasto A , ho spalmato i miei primi neuroni sopra “sprite” di videogiochi che la gioventù di adesso considererebbe talmente difficili e frustranti da sembrare test per l’università degli X-man o degli enigmi di “Cicada 3301” (questo riferimento lo capiranno in tre sì e no). Nel frattempo disegnavo dove potevo, sopratutto dove non potevo, finché i due mondi si sono toccati vedendo i lavori della GRL (Graffiti Research Lab) e scoprendo che non ero l’unico a essere cresciuto a inchiostro e pixel.

1. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

La risposta più breve sarebbe a casaccio, o meglio “trovandomici”… la mia filosofia di base è “iterate faster and release early and often” e “c’è sempre un modo”. Questa tendenza all’essere “MacGyver digitali” (senza la permanente e il capello biondo) viene sostanzialmente dal non avere budget e dall’avere un innegabile spirito “hack-to-learn”. Ho avuto la fortuna di lavorare con gente veramente meravigliosa a bellissimi progetti e anche di essere sfruttato in malo modo per cose di cui non ho preso merito. Quindi riassumendo, come ho intrapreso il mio percorso artistico? Come la Parigi-Dakar in mono-ciclo.

                                                  foto di Studio 47

2. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Mi ispiro alla gente, banale ma vero…mi pongo sempre dal lato dell’utente e cerco di fare qualcosa che alla fine non sia un aulico “l’artista voleva rappresentare la palingenetica obliterazione dell’io siderale che si avviluppa tra le pieghe dello spazio tempo”, ma che prima di tutto diverta, poi che possa essere vista come un gioco, un mezzo o un’ esperienza. Penso che gli spazi espositivi siano già spazi ostici per il pubblico “comune”, se poi metti quattro ore di inquadratura su una mela e lo chiami “decadimento della materia” ci sta che la gente non venga…

3. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Aggiungere almeno altre dieci virgolette intorno alla parola artista. Non morire di gastrite. Avere abbastanza soldi per poter comprare pizza e caffè (ma questo è più un obbiettivo nella vita). La pace nel mondo?

4. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Non credo, forse più il sapore DIY (do it yourself) e quella poca cura dei dettagli …del messaggio mi occupo poco, il mezzo è il messaggio, è triste ma è così, fateci pace.

foto di Studio 47

 

5. Che cosa vuol dire underground per te?

Domanda spinosa: purtroppo esiste il mercato dell’underground che in alcuni casi è peggio di quello mainstream, un marasma di gente con scarse competenze che sta in una situazione perché “fa figo” ma poi manca la sbatta, manca il sudore. Ma il termine “underground “ è perfetto perché sotto terra trovi fango, melma e vermi…ma ogni tanto trovi anche gente brillante come i diamanti, preziosa come l’oro e forte come il ferro e che ti ripaga di tutto il fango che hai spalato.

 

 

6. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Ho portato un mio “giocattolo” che per mancanza di termini migliori si chiama “loop music”: tecnicamente una variante di reactable usando la libreria reactivision e i segnali osc/tuio per controllare ableton e triggerare loop quantizzati e divisi in tipi di suoni. Se non vi siete ancora addormentati la versione breve è “metti cubetto sul tavolo e parte un loop di batteria, ne metti un altro parte il basso e via dicendo”. Per me significa democratizzazione del gesto di composizione musicale, far provare a tutti la gioia di “suonare” senza necessariamente saperlo fare. In più ho partecipato assieme a Micol e Lorè all’ allestimento delle tre serate per quanto riguarda visual, montaggio, smontaggio, rollaggio cicchini, caffè, conversioni video, bestemmie, cioccolate calde alle 5, etc etc.

PUM ART FEST / Foto di Nicol P.

7. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Ovviamente è una cosa importante e sinceramente bisognerebbe dare più spazio a chi organizza queste cose, ma quando dico spazio intendo spazio fisico -non “attenzione giornalistica”- e spazio di azione convertito in vil denaro. Inoltre sarebbe bello avere uno spazio dove allestire esperimenti, workshop, residenze artistiche e quant’altro.

 

| The Factory | M45 |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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Don’t think twice

pillola #1

La pillola n.1…ricordo che imperversava l’estate ed il sottoscritto contava i tre soldi che gli restavano nelle tasche, come sempre.

Tre soldi erano parecchi perché in effetti non aveva una ragazza a cui pagar la cena (sono uno che cambia poco e lo fa lentamente, per cui non prendetevela) ma solo parecchi amici che comunque costavano meno della ragazza che non c’era.

Allora nel brodo di pensieri e riflessioni (altresì note come seghe mentali da cui tutti siamo affetti più o meno intensamente) giunsi alla conclusione che potevo farne un interesse condiviso (poiché appunto il disagio è cosa diffusa e presente, non prendetevela neppure questa volta). 


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Così nasce la rubrica don’t think twice, che si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole.

Non si tratta di una sola pillola o consiglio ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica cazzi.


pillola #2

Mettiamola così, tutti abbiamo visto quella puntata dei Simpsons in cui Marge ripete ossessivamente a Lisa che è riuscita a cambiare suo padre Homer, come un mantra, per convincere sé stessa e tentare vanamente di convincere la povera Lisa.

Se non l’avete vista andate a vederla, sia chiaro però che non ho la più pallida idea di quale cazzo di stagione si tratti delle millantamila disponibili della serie… forse wikipedia può aiutare, forse decisamente no.

Ma tutto questo cosa c’entra col resto o con questa dannata rubrica? come te lo spiego… il tema è il mutamento che mettiamo in atto quando vogliamo piacere all’altro, cioè le molteplici seghe mentali, i super filtri che molti (non tutti eh) di noi mettono in atto per far trasparire la parte più splendida di sé. m’è capitato per esempio di cominciare ad ascoltare i Chemical Brothers per capire meglio cosa ascoltasse la ragazza dai capelli rossi (true story, non si tratta dei peanuts). è stato un abbozzo di cambiamento finito lì, perché oltre non mi sono spinto, non ce n’è stato bisogno, trasmettevo e trasmetto tutt’ora troppo l’idea del dissociato… i più buoni dicono che ricordi un professore stressato di cambridge.

…in ogni caso cambiamo poco e lentamente più di quanto ci piaccia credere, non parliamo poi delle abitudini mattiniere, un disastro. nella pillola di questa settimana una dichiarazione di sconfitta, l’ennesima.
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La rubrica don’t think twice si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole. Non si tratta di consigli ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica bruscolini.


Edited by Davide L.

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    FACTORY ASKS 0016 : BRUCIO

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    Nome Artista 0016: Brucio

    BIO

    Nasco nel 1985. Faccio parte di alcune associazioni di promozione culturale e cerco di partecipare a più progetti fallimentari possibili, ho girato un po’ negli ultimi anni portando in giro le mie tavole di legno dipinte ad acrilico guadagnando il maldischiena.

    01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

    Mi è sempre piaciuto disegnare, prima col writing poi coi fumetti e ora con gli acrilici, è sempre stato una buona alternativa a quello che avrei dovuto realmente fare e visto che mi veniva decentemente ho continuato.

    02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

    Prima dal lettering dei writer, i movimenti delle lettere e le colorazioni, poi i classiconi del fumetto underground italiano e americano (Crumb, Paz, BadTrip…), sono tutte cose che rivedo nei miei disegni.
    Anche i libri che leggo e la musica che ascolto influenzano quello che sto disegnando in un dato periodo, come soprattutto le cose che mi accadono direttamente, gli stati d’animo e i luoghi che vivo. Assorbo tutto ma poi cerco sempre di non copiare e trovare un modo diverso e personale di fare le cose.

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    03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

    Non so rispondere a questa domanda. Mi sono impegnato ma mi vengono in mente solo cagate.

    04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    Ho cambiato un sacco di temi nei miei disegni anche a seconda delle tecniche, un quadro è difficile che lanci lo stesso messaggio di un fumetto o di una vignetta, credo e spero che tuttavia siano legati da un’atmosfera di fondo.
    Ci sono però messaggi che non metterei mai nei miei lavori. Almeno per ora.

    05. Che cosa vuol dire underground per te?

    Sotto terra.
    È dove andremo quando moriremo, e pensare di starci anche da vivo non è del tutto confortante anche se la gente è più simpatica, la musica è più bella e l’arte è più spontanea, le persone non se la menano col copyright e se possono aiutarti o insegnarti qualcosa di solito lo fanno, si mangia un sacco di pasta al sugo vegetariano e si dorme mezzi collassati su dei materassi di solito accanto ad altri uomini, la gente fuma un sacco di sigarette, le bariste e i baristi di solito sono molto simpatici ma fanno i cocktail a caso perché sono sbronzi anche loro, però io me ne frego perché spesso mi porto da bere da casa.

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    06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

    Ho portato alcune tavole di legno dipinte ad acrilico e alcuni fumetti di Lo-Fi comics.

    07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

    Ogni festival è un occasione di incontro e di scambio di conoscenze un modo per creare una rete di collaborazioni.

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    Foto di Nicol P.

    | The Factory | Brucio |

    “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

     

    Stories

    FRACTAL ART ØØØØ

    The story of this young Italian artist based in London proves that supporting young talents it’s always worth it.

    Matteo Zamagni is a 23 years old from Rimini and he was chosen from the Barbican Centre to be part of the Fish Island Labs project. This art laboratory located in Hackney Wick (London) was born from the joint forces of the renowned cultural centre – The Barbican – and the social enterprise The Trampery. The project’s core concept aimed at putting together fifty young artists in a iconic studio space with the objective of exploring the many artistic possibilities created by the mix of arts and new technological tools, ranging from sculpture to digital art. After 12 months of hard work, the Fish Island Labs’ artists have summed the ethos of their artistic and technological experimentation in an exhibition held in August at the Barbican Centre, Interfaces.

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    Undoubtedly, Matteo’s installation Nature Abstraction was the highlight of the exhibition, attracting the attention of enthusiasts and experts. In the wide landscape of media art, he has chosen a very niche avant-garde, virtual reality. By exploring the mathematics of fractals and complex 3D graphic techniques Matteo successfully managed to turn the mathematical representation of organic forms into visual art. I had already seen some of Matteo’s previous projects, but my curiosity grew even more when I arrive at the exhibition and I saw the long and patient line of people waiting to try the Oculus Rift. I was completely blown away by his installation and I realised the real extent of fractal art and the artistic experience it can recreate.

    I met Matteo to find out more about how he started his artistic career, which technologies he uses and what are his future plans.

    Tell us about your experience in the Fish Island Lab.
    Sharing such a space with artists with similar interests to mine has been absolutely incredible. Even though, each individual artist is a blend of interdisciplinary skills ranging from shadow puppetry, sculpture, data visualisation, fashion and fine art, there was always something to learn from each other. Moreover the Lab hosted many workshops, collaborations and events, making it a great opportunity for us all.

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    What about your installation Nature Abstraction for the Barbican Centre exhibition?
    Interfaces was undoubtedly one of the most constructive and exciting experiences of my life so far.  After a long time and hard work it was amazing to see my installation Nature Abstraction complete. When something starts from an abstract idea, making it real it’s an indescribable feeling. And it was even more exciting to see the reaction of the public walking into the cube and trying the Oculus Rift. In fact, the installation is designed in order to recreate a contemplative environment by using a cube whose faces are projected with images of organic forms filmed through a microscope; these are merged with analog visual effects (such as refraction and reflection, or other physical properties of light) and then filmed again. In this way, the viewer is invited to enter the cube, wear the Oculus Rift and explore a surreal 3D world created mathematically.
    In my opinion, art exceeds its limits more than ever in this new digital era. New technologies facilitate the multisensory interaction of the observer, allowing the artist to fully express himself.

    Why did you choose virtual reality and the mathematics of fractals ?
    With my installation Nature to Abstraction I wanted to create an environment in which the viewer could ” switch off” for 10 minutes and enter a surreal world made up of 3D fractals. Essentially these are a 3D representation of mathematical formulas that visually lead back to biological and architectural forms. The idea of using the Oculus Rift along with other electronic equipment has been very useful to amplify the experience for the observer. In fact by stimulating sight and hearing it is possible to almost induce the audience  in a state of trance.

    What technologies do you use?
    The tools always vary from project to project. Many softwares are available online for what concerns video editing, special effects, 3D, realtime graphics, photo-scanning etc. In addition, there are auditory sensors that detect audio frequencies or other types like the Kinect or the Leap Motion that trace back the body movements through infrared sensors. Some of these tools are relatively cheap and they offer endless possibilities. With regards to my work, the abstract idea always comes first. Then I look for the tools to develop and implement my idea in the physical world. I am currently exploring many 3D realtime and offline softwares such as Cinema4D and Houdini (also used for Visual FX in Hollywood productions), specific softwares for 3D fractals, photogrammetry and other softwares for vj-ing and projection mapping.

    How would you define the artistic scene in which your work fits into?
    From my point of view: it’s FANTASTIC.
    It’s a digital movement, born from the internet and from the disclosure of artistic practices online. There is a huge online network of media artists gathered discussing and sharing topics of interest.

    What are you working on at the moment and what are your future plans?
    I have lots of projects going on at the moment. I’m developing a second installation which aims recreating an OBE (Out of Body Experience) literally projecting the audience elsewhere. I’m still in the initial stage and it will take at least a year to develop properly. Moreover I’m trying to put together an online collective of digital artists which will consist of a platform where they’ll be able to share ideas, collaborate and express concepts in relation to astral worlds and the relationship between science and spirituality, a dear topic to many artists around the world.

     

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    FACTORY ASKS 0015 : C.A.C.C.A.

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    Nome progetto 0015: C.A.C.C.A. – Cose A Caso Con Attenzione

    BIO

    Siamo 5 ragazzi della provincia di Parma: Stefani è curatrice, Matteo artista, Francesco graphic designer e (all’occasione) giardiniere, Giacomo è artista anche lui e io, Nicola, studio antropologia. Siamo un po’ sparsi per l’Italia e C.A.C.C.A. è anche una buona occasione per tenerci legati tra di noi.

    01. Come e da dove è nata l’idea di fondare la vostra rivista?

    L’idea è nata a un film festival: avevamo appena visto un cortometraggio sulla storia di una fanzine, abbiamo fatto mente locale e ci siamo resi conto che frequentavamo le persone giuste per fare qualcosa di simile anche noi. Giacomo è un grande illustratore e aveva già partecipato a una fanzine bolognese, Francesco aveva la passione per l’editoria e io quella per la scrittura. Abbiamo cominciato in tre ma dopo poco si sono aggiunti anche Matteo e Stefani, che hanno permesso che la cosa potesse diventare un po’ più seria.

    02. Vi siete ispirati a qualche magazine già esistente? O in generale cosa vi guida nelle vostre scelte editoriali?

    Direi che per il momento le scelte editoriali sono state poche: ci siamo limitati a decidere il “format” all’inizio, dopodiché ogni numero nasce da idee condivise con i vari collaboratori (e non l’avevo ancora detto, ma tutti possono diventare collaboratori di C.A.C.C.A., basta scriverci su facebook!) e per noi della redazione si tratta soltanto di fare una selezione dei lavori che potranno trovare spazio sul numero che stiamo curando e di impostare l’impaginazione.

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    03. Come finanziate la stampa dei vostri numeri e quali tecniche di stampa usate?

    Abbiamo un amico tipografo che ci ha letteralmente salvati; si è appassionato alla rivista e ci permette di avere stampe di alta qualità a prezzi accessibili per una realtà piccola come la nostra.

    04. Qual è il messaggio principale che vorreste comunicare tramite la vostra zine?

    Noi cerchiamo di dare spazio a persone che sappiano fare qualcosa di bello – qualunque cosa possa voler dire. La sfida è quella di stimolare persone, che in parte sono nostri amici e in parte perfetti sconosciuti, a produrre qualcosa di nuovo ogni volta e a dare un’interpretazione interessante della parola chiave del numero.

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    05. Che cosa vuol dire underground per voi?

    Per noi underground vuole dire essenzialmente fare un po’ quello che vogliamo: pochi vincoli editoriali, grande libertà e un lavoro che rimane più sul versante dell’artigianato che su quello industriale.

    06. Quanto sono importanti secondo voi occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorreste che venisse fatto in questo senso?

    Sono indubbiamente occasioni molto importanti. Soprattutto all’inizio non è facile trovare un proprio spazio, e quando capitano eventi di questo genere è bello trovarsi tra persone che fanno la stessa cosa, pur abitando magari a centinaia di chilometri di distanza. Ci si scopre, alla fine, sempre sulla stessa barca.

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    | The Factory | C.A.C.C.A. |

    “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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    FACTORY ASKS 0014 : LUISELLA BRENDA

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    Nome artista 0014 : Luisella Brenda

    BIO

    Sono nata a Livorno, e già da piccola ho mostrato subito un forte interesse per l’arte, la pittura, il disegno, lo scarabocchiare tavoli, mobili e pareti, alche i miei genitori capirono che la faccenda non si sarebbe placata e quindi mi iscrissero all’ Istituto d’Arte di Pisa dove ho preso la specializzazione in pittura, subito dopo sono andata alla  Scuola Internazionale di Comics di Firenze frequentando il corso di illustrazione. Dal 2011 ho iniziato seriamente il mio percorso come professionista lavorando come illustratrice freelance. A tutt’oggi mi sto costruendo passo dopo passo, lavoro su commissione e intanto mi realizzo su vari progetti personali, e diverse collaborazioni. Perciò quando lavoro disegno e nel mio tempo libero…disegno!

    Luisella                    Foto di Martina Ridondelli

    01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

    Ho iniziato sin da piccola ad avere passione e curiosità verso le arti visive, così la strada verso quel percorso è stata più che naturale: ho iniziato con l’Istituto d’Arte a Pisa, specializzandomi in pittura, dopodichè ho proseguito con la Scuola Internazionale di Comics a Firenze, stavolta specializzandomi in illustrazione.

    02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

    Mi ispiro un po’ a tutto ciò che mi circonda, agli illustratori e ai pittori che mi piacciono, alla fotografia, al cinema, alla normalissima tv, ai libri, alla mia immaginazione e alla realtà. La musica mi accompagna sempre mentre lavoro, ed è anch’essa fonte di ispirazione. Cerco di ricreare nelle mie illustrazioni ciò che ricavo anche da semplici momenti delle mie giornate e della mia vita in generale.

    03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

    Mi piacerebbe creare collezioni come sto facendo adesso con la serie delle Pin Up, da poter poi trasporre su vari supporti, dalla tela ad olio alla t-shirt. Vorrei che le mie creazioni esistessero non solo su carta, ma prendessero vita in varie forme e modi, insomma, vorrei mandare a spasso i miei personaggi!

    04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    Ciò che caratterizza i miei lavori, almeno in questa fase, è certamente l’ironia. Essendo io in primis autoironica, è come se insegnassi ai miei personaggi a prendersi un po’ in giro.

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    05. Che cosa vuol dire underground per te?

    Tutto ciò che è indefinibile e che rimanda ad un concetto di nuovo, originale e creativo, con un occhio al progresso dell’immaginario nel suo insieme.

    06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

    Ho portato la mia collezione di Pin Up tradotte nella mia chiave stilistica.  Mi ispiro alle Pin Up di Gil Elvgren, partendo da questo spunto creo il personaggio secondo la mia mano e la mia testa, cercando però di dargli una veste ironica, appunto.

    07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

    Credo siano molto importanti, è un modo per farsi conoscere e conoscere artisti che come te stanno facendo della loro passione un lavoro. Sono essenziali per gli scambi di idee che possono esserci e che sicuramente ci arricchiscono; conoscere diversi punti di vista e confrontarsi è fondamentale.

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    “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”