don't think twice

Don’t think twice

pillola #1

La pillola n.1…ricordo che imperversava l’estate ed il sottoscritto contava i tre soldi che gli restavano nelle tasche, come sempre.

Tre soldi erano parecchi perché in effetti non aveva una ragazza a cui pagar la cena (sono uno che cambia poco e lo fa lentamente, per cui non prendetevela) ma solo parecchi amici che comunque costavano meno della ragazza che non c’era.

Allora nel brodo di pensieri e riflessioni (altresì note come seghe mentali da cui tutti siamo affetti più o meno intensamente) giunsi alla conclusione che potevo farne un interesse condiviso (poiché appunto il disagio è cosa diffusa e presente, non prendetevela neppure questa volta). 


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Così nasce la rubrica don’t think twice, che si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole.

Non si tratta di una sola pillola o consiglio ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica cazzi.


pillola #2

Mettiamola così, tutti abbiamo visto quella puntata dei Simpsons in cui Marge ripete ossessivamente a Lisa che è riuscita a cambiare suo padre Homer, come un mantra, per convincere sé stessa e tentare vanamente di convincere la povera Lisa.

Se non l’avete vista andate a vederla, sia chiaro però che non ho la più pallida idea di quale cazzo di stagione si tratti delle millantamila disponibili della serie… forse wikipedia può aiutare, forse decisamente no.

Ma tutto questo cosa c’entra col resto o con questa dannata rubrica? come te lo spiego… il tema è il mutamento che mettiamo in atto quando vogliamo piacere all’altro, cioè le molteplici seghe mentali, i super filtri che molti (non tutti eh) di noi mettono in atto per far trasparire la parte più splendida di sé. m’è capitato per esempio di cominciare ad ascoltare i Chemical Brothers per capire meglio cosa ascoltasse la ragazza dai capelli rossi (true story, non si tratta dei peanuts). è stato un abbozzo di cambiamento finito lì, perché oltre non mi sono spinto, non ce n’è stato bisogno, trasmettevo e trasmetto tutt’ora troppo l’idea del dissociato… i più buoni dicono che ricordi un professore stressato di cambridge.

…in ogni caso cambiamo poco e lentamente più di quanto ci piaccia credere, non parliamo poi delle abitudini mattiniere, un disastro. nella pillola di questa settimana una dichiarazione di sconfitta, l’ennesima.
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La rubrica don’t think twice si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole. Non si tratta di consigli ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica bruscolini.


Edited by Davide L.

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    Giegling

    Save the Music #02

    Giegling

    giegling
    Copyright Giegling

    Certe cose si creano e basta. Un po’ come l’amore. L’unione e la comunione di intenti di unità singole che vanno ad intrecciarsi con estremità differenti, parallele fino a quel determinato momento. È quello che ci ricorda il battito estenuante di un goccia che esplode a contatto con il terreno. Giegling evoca terra. Sapore di reale, estremamente al passo coi tempi, forse anche in anticipo sulla tabella di marcia. Rude ed allo stesso tempo tremendamente efficace. Il contatto con la natura che si attacca alla ferma convinzione dell’uomo, esso stesso influenzato nel suo incessante e quantomai necessario rapporto con ciò che fisicamente lo circonda.

    Il messaggio principale che passa non è il prolisso arrivismo dell’etichetta “standard”, dove tutto ciò che conta è saper vendere bene il proprio prodotto “no matter what”, ma la rivalutazione in chiave puramente musicale di ciò che dovrebbe essere un collettivo discografico: la musica è al centro dell’universo. Nessun ghirigoro, nessun tentativo di ammaliare l’ascoltatore con strambe trovate pubblicitarie. Resta qualcosa di minimale e al contempo affascinante: il mood del suono.

    La rivalutazione in chiave puramente musicale di ciò che dovrebbe essere un collettivo discografico
    giegling
    Copyright Giegling

    Giegling non a caso nasce fuori dalle ingombranti sagome delle metropoli tedesche. A Weimar. In una fabbrica abbandonata Konstantin (metà del duo Kettenkarussell) e Dj Dustin iniziano una serie di serate per promuovere la propria musica. Nel fabbricato si sviluppano 3 sale che trattano rispettivamente house e techno, elettronica sui generis, funk e soul. Futuri temi principali e punti cardine dalla label.

    Nel 2008 la fabbrica viene abbattuta e coi pochi soldi rimasti il non più duo (si è aggiunto Ateq) decide di stampare il primo vinile.

    You and me make love forever di Kettenkarussell segna fin da principio il carattere camaleontico delle opere Giegling. Un approccio alla dancefloor allo stesso tempo tradizionale e rivoluzionario. In ogni release dell’etichetta di Weimer si trovano pezzi tipicamente dance che vengono accompagnati da una introspezione che il produttore di turno compie su sé stesso, sulla propria musica e sul rapporto tra essa e il pubblico ricevente. Questa ricerca rende l’ascolto adatto a qualsiasi tipo di situazione. Sia essa all’interno di un club, sul proprio divano, durante una corsa oppure negli gli attimi di un lungo viaggio.

    Ma come funziona questo collettivo?

    Come funzionino le cose all’interno del collettivo lo spiega bene in un’intervista Ateq: si scopre che Vril è il “ministro del destino”, Leafar Legov è responsabile delle mutandine bagnate in pista. Dustin si occupa dei contratti, Konstantin della pressione, Prince of Denmark dei sogni. Ateq delle vibrazioni artistiche, Dwig è responsabile dei samples mentre Deer è il tutor tecnico del progetto. In definitiva ciò che fa la differenza è un’organizzazione che rende semplice il lavoro di ciascuno. Certo poi è la musica che parla e in questo caso lo fa incantando.

    Il carattere peculiare che rende difficilmente catalogabile sotto un unico filone il genere trattato nelle produzioni Giegling parte dal minimalismo di Kettenkarussell per arrivare ai tre moniker Prince Of Denmark, Traumprinz e Dj Metatron, che fanno da maschera ad un’unica identità (talmente importante e libera da qualsiasi vincolo da avere dedicata una sub label chiamata per l’appunto Traumprinz), anonima per il momento e che è una fusione di house, techno, ambient e breakbeat, oltre che una gioia per le orecchie in tutte le salse. In mezzo troviamo produzioni tra le più complete e visionarie degli ultimi anni. Si passa dalla classe cristallina di Edward al vento sonoro e impetuoso di Vril, per non parlare dei talentuosi Map Ache e Matthias Reiling (già noto per il suo altro progetto Session Victim).

    giegling

    Tra i progetti più interessanti della casa discografica meritano una menzione: la “Staub Serie”, letteralmente la “Serie di Polvere”, che comprende 7 12” realizzati da Prince of Denmark, Vril, Rau (un alias di Ateq) e Zum Goldenem Schwarm ( lo “Sciame Dorato”) e che è descritta dallo stesso Ateq come “un messaggio segreto di come le cose dell’universo e l’umana natura si leghino insieme” e, i “Giegling Mix” simbolo delle produzioni della casa tedesca e giunti alla fama internazionale proprio quest’anno, dato che “This is Not”, l’ultimo della serie realizzato da Dj Metatron e contenente materiale unreleased, è stato nominato miglior mix dell’anno dalla rivista specializzata Resident Advisor.

    “Forum” sub-label nata dalla madre nel 2013

    Altro cenno lo merita “Forum” sub-label nata dalla madre nel 2013 e specializzata nella produzione di Lp a caratteri techno. Partendo da “The Body” di Prince of Denmark  l’obiettivo di Forum è sempre stato quello di scandagliare un genere sempre più inflazionato donandogli un tocco unico e riconoscibile. Ecco allora gli effetti visionari di Prince of Denamrk con il suo The Body, la potenza espressiva di Vril nel suo Tours, la peculiarità di Zum Goldenen Schwarm con Aufgang e le sonorità ambient e mistiche di Sa Pa.

    In definitiva cosa ci si può aspettare per il futuro di Giegling e cosa il lavoro di questi ragazzi ci ha insegnato?

    Che con la qualità e una giusta programmazione, si possano bipassare le leggi scontate del mercato musicale odierno. Il resto sono solo lacrime e godimenti sonori.

    Giegling

    Lista Releases: www.discogs.com/label/144751-Giegling

    Qua sotto trovate 24 tracce che ripercorrono la storia dell’etichetta dal 2010 ad oggi. Le canzoni sono in ordine cronologico per evidenziare lo sviluppo e l’attività incessante di ricerca.


    Links:

    Sito web / Discogs 


    Edited by Jacopo Boni

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      Matteo Zamagni

      Matteo Zamagni

      Music, Art, Dance in underground urban environments – m.a.d.

      Arte Frattale ØØØØ

      La storia di Matteo Zamagni, media artist italiano residente a Londra, è la riprova che quando si investe in giovani talenti non si fa mai cosa sbagliata

      Matteo ha 23 anni, è nato Rimini ed è uno tra i 50 artisti scelti dal Barbican Centre per far parte del Fish Island Labs. Questo laboratorio artistico situato ad Hackney Wick, Londra, è nato dal connubio di forze tra il rinomato centro di produzione culturale e l’impresa sociale The Trampery. Il progetto offre uno spazio di lavoro e incontro ad artisti emergenti che hanno l’obiettivo di esplorare le infinite possibilità artistiche create dall’unione di arte e tecnologia, spaziando dalla scultura, al film editing, alla digital art.

      All’interno del Fish Island Lab, Matteo ha scelto forse l’avanguardia artistica tra le più di nicchia all’interno del panorama delle arti multimediali: la realtà virtuale. Esplorando la matematica dei frattali e le più complesse tecniche di grafica 3D, Matteo è riuscito a trasformare in arte visuale la rappresentazione matematica di forme biologiche e naturali. Dopo 12 mesi di duro lavoro, gli artisti del Fish Island Lab hanno riassunto l’ethos della loro sperimentazione artistica e tecnologica nella mostra Interfaces, tenutasi nel prestigioso Barbican Centre. 

      Fin da subito l’installazione Nature Abstraction, si è rivelata il fiore all’occhiello dell’esibizione, attirando l’attenzione di curiosi ed esperti.

      Vedere la lunga e paziente fila di persone in attesa di abbandonarsi per qualche minuto alle meraviglie della realtà virtuale, ha suscitato in me ancora più interesse e curiosità nel lavoro di Matteo. Ma solo dopo aver indossato l’Oculus Rift ed essermi lasciata trasportare (perdendo l’equilibrio svariate volte) in un mondo altro, astratto, composto da forme aliene ma allo stesso tempo familiari, ho capito la vera portata dell’arte frattale e dell’esperienza artistica a 360° che essa può ricreare.

      Ho incontrato Matteo per farmi raccontare com’è iniziato il suo percorso artistico, quali tecnologie utilizza e quali sono i suoi progetti futuri. Parlaci della tua esperienza all’interno del Fish Island Lab.

      Condividere uno spazio con artisti dai simili interessi è stato incredibile. Abbiamo creato uno spazio di discussione molto interessante; per non parlare dei workshop, gli eventi e la visibilità che questa opportunità ha portato ad ognuno di noi.

      Che ci dici della tua installazione Nature Abstraction per la mostra al Barbican Centre?

      Interfaces è stata senza dubbio una delle esperienze più costruttive ed eccitanti che abbia mai vissuto fino ad ora. Ha reso possibile la creazione di una miriade di progetti sviluppati da un gruppo di artisti emergenti il cui scopo è esplorare la relazione tra arte, tecnologia e interazione con il pubblico, che non è più un osservatore “passivo” ma diventa parte integrante del processo artistico.

      su Nature Abstraction

      Dopo un lungo periodo di produzione è stato incredibile vedere la mia installazione Nature Abstraction completa. Essendo un processo che parte da un’idea estremamente astratta, renderla concreta è una sensazione indescrivibile. E ancora più eccitante è stato osservare le reazioni del pubblico che entrava nel cubo luminoso e provava l’Oculus Rift. 

      Di fatti l’installazione è progettata in modo da ricreare un ambiente astratto utilizzando una struttura a cubo sulle cui facce sono proiettati video di composti organici e biologici filmati al microscopio; a questi vengono uniti effetti visivi analogici (come rifrazione e riflessione, o altre proprietà fisiche della luce) che tramite l’utilizzo di un proiettore come sorgente vengono poi filmati nuovamente dalla videocamera. In questo modo l’osservatore è invitato ad entrare all’interno del cubo e ad indossare l’Oculus Rift per lasciarsi trasportare in mondi 3D surreali creati matematicamente.

      Secondo me l’arte in questa nuova era digitale ha più che mai superato i suoi limiti. L’utilizzo di nuove tecnologie che facilitano l’interazione multi-sensoriale dell’osservatore permette all’artista di esprimersi pienamente a diversi livelli di significato. Ed e’ per questa ragione, maggiormente, che credo di essere entrato in questo campo.

      Perché hai scelto la realtà virtuale e la matematica dei frattali?

      Per Nature Abstraction volevo creare un ambiente in cui l’osservatore potesse “staccare la spina” per 10 minuti ed entrare in un mondo surreale composto da frattali 3D. Essenzialmente formule matematiche che riconducono visivamente a forme biologiche e architettoniche, in modo tale da aprire un varco sull’idea di una struttura invisibile che compone la realtà che viviamo ogni giorno. L’idea di usare Oculus Rift insieme ad altri apparecchi elettronici è servito ad amplificare l’esperienza per l’osservatore e renderlo parte integrante  dell’artwork in sé, stimolando sensi come vista e udito fino ad illudere la mente di trovarsi altrove. 

      Quali sono le tecnologie che usi principalmente?

      Gli strumenti variano sempre da progetto a progetto. Molti software sono disponibili online per quanto riguarda video editing, special effects, 3D, realtime graphics, photo-scanning ecc. Inoltre ci sono sensori di tipo uditivo che individuano determinate frequenze audio presenti nell’ambiente, oppure il Kinect o il Leap Motion che tracciano il movimento del corpo tramite sensori a raggi infrarossi. Alcuni di questi strumenti sono relativamente economici e già con essi si hanno infinite possibilità. Ma nel mio caso l’idea astratta è quella che nasce prima di tutto, dopodiché cerco gli strumenti adatti per svilupparla e realizzarla nel mondo fisico. 

      Attualmente sto esplorando molti softwares 3D realtime e offline come Cinema4D e Houdini (utilizzato per il Visual FX anche in produzioni holliwoodiane), softwares specifici per frattali 3D, ed altri per vj-ing e projection mapping. Durante il mio percorso ho sempre notato una continua evoluzione nel modo in cui creo nuovi progetti. Credo sia dovuto al fatto che mi piace scoprire e imparare ad utilizzare nuovi strumenti per poi combinarli insieme in lavori futuri.

      Come definisci la scena artistica in cui si inserisce il tuo lavoro?

      Dal mio punto di vista : FANTASTICA.
      Essendo un movimento digitale, nasce in primis da internet e dalla divulgazione di tante pratiche artistiche online. C’è un intero network di digital artists da tutto il mondo online radunati in vari gruppi, forum e piattaforme che discutono e condividono argomenti d’interesse. E’ così che ho iniziato e ho avuto la fortuna di incontrare di persona alcuni degli artisti da cui ho tratto più ispirazione.

      Su cosa stai lavorando al momento e quali sono i tuoi progetti futuri?

      Ho un po’ di progetti su cui sto lavorando al momento, sia di breve che lungo termine. Sto sviluppando una seconda installazione in cui lo scopo sarà quello di ricreare una esperienza extracorporea, stimolando più sensi possibile in modo da indurre la mente a pensare di essere altrove. Sono ancora nella fase iniziale di sviluppo e penso che ci vorrà almeno un anno per la realizzazione. 

      Inoltre sto cercando di mettere insieme un collettivo online di digital artists. Sarà una piattaforma dove poter condividere idee, collaborare, ed esprimere concetti in relazione a mondi astrali e alla relazione tra scienza e spiritualità, un tema particolarmente caro a molti artisti sparsi nel mondo. Credo che questo movimento nasca da una necessità di condividere idee ed esprimersi attraverso l’arte infusa nella tecnologia.


      Links:

      Vimeo channel

      Wired interview

      Anisegallery

      Times Square Arts


      Edited by Celine Angbeletchy

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        VOGUE, STRIKE A POSE

        Italian Version

        Queer, music, dance and social stigma mixed together bring to life a new cultural dimension that escapes from mainstream trends and gives everybody the opportunity to shine, to be someone.
        Malcolm-McLaren

        “This society – going to a football game, basketball – that’s their entertainment. You know, a ball is ours. We prepare for a ball. We may spend more time preparing for a ball than anybody would spend preparing for anything else. You know, a ball is like our world. A ball, to us, is as close to reality as we’re gonna get to all of that fame and fortune and stardom and spotlights.”

        From the documentary “Paris is Burning”, 1990
        A new dimension

        Vogue, a word that certainly doesn’t sound new. Well-know fashion magazine, unforgettable hit from the singer Madonna, but also emblematic artistic phenomenon that for decades has sparked the underground urban scene in many cities around the world.

        This word not only refers to a contemporary style of dance, but it also indicates a sub-culture rooted in the queer, LGBT, working class black and latin communities of New York and other American cities. It combines various forms of self-expression, dance in the first place, but also music and fashion, with  political and social issues such as status, ethnicity and sexual orientation. However, the element that mostly characterises this cultural movement is the dance style: vogueing. It combines plastic poses and fluid movements performed with arms and hands, and, unsurprisingly, the name refers to the influential fashion magazine, as the moves and gestures aim at recreating those iconic poses.

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        Copyright the documentary “Paris is Burning
        Into the sub-culture

        Unlike other dance styles come to light from urban sub-cultures such as hip hop or breakdancing – where performances take place mostly on the street – the so-called “ballrooms” have a prominent role for vogueing. In these venues the various “houses” (crews of dancers organized hierarchically like real families) organize balls: competitions where the voguers or ball- walkers perform in different categories (e.g. Fantasy, Realness, etc.).

        Since the Sixties vogueing has evolved in several different styles. The Old Way, popular before 1990, can be seen as a real fight between two rivals walkers. In the famous documentary on the Vogue culture “Paris is Burning“, Willi Ninja says:

        “Now, where street gangs get their rewards from street fights, a gay house street-fights at a ball. And you street-fight at a ball by walking in the categories.”

        The New Way style, characterized by geometric, articulate movements, was mainly performed during the first half of the nineties. It diverges consistenlty from another style, the Vogue Femme, more graceful and fluid, that since 1995 has evolved significantly creating two new subcategories: Dramatics, highly energetic acrobaticstyle and Soft and Cunt, more feminine and sensual.

        The rise of vogueing

        Born from the working class communities of the american inner cities, vogueing expanded overseas. In the United Kingdom the Vogue scene has spread from London to other cities like Liverpool, Manchester and Glasgow, where it recently regained a strong importance. Every year the city of Liverpool hosts the largest national Vogue competition, the “House of Suarez Liverpool’s Ball”. The event is organized by Darren Suarez, a professional dancer and mother of the House of Suarez. For what concerns the capital, the best ways to be part of the London vogueing scene is to attend the House of Trax nights. These old-school parties are organized monthly in East London by the music label Trax Coture. It promotes club music such as Chicago, Detroit and Baltimore House, that have recently become prominent in the British underground electronic scene.

        Thanks to professional crews of dancers, fashion shows and celebrities the vogue culture reached the whole world. At the beginning of the nineties Madonna (with her single “Vogue”) and Malcom McClaren were the first to let vogueing be known outside the USA.

        Lately the british singer, dancer, producer, choreographer and director FKA Twigs, whose reputation is growing exponentially worldwide, made vogueing the hallmark of her performances. Unwillingly she has become one of the main promoters of Vogue in the current music industry by performing with professional voguers as Benjamin Milan (mother of the House of Milan) in the acclaimed shows “Congregata” and in some of  her music videos.

        A new powerfull and expressive style

        In recent years, the artistic and expressive power of this style of dance has grown as never before, reaching the Far East. In particular, this culture in Japan is a real art and fashion trend. Aya Sato and Bambi, media-artists, dancers, choreographers and models have an incredible entourage. They organize workshops and take part in international art projects. Thanks to their talent and their originality, Aya Sato and Bambi were chosen by Madonna as backup dancers for her infamous performance at the Brits Awards 2015.  With no doubt these two artists will bring new interesting outlooks to the nipponic Vogue scene.

        The artistic and conceptual mix of dance, fashion and music as forms of self-expression, make vogueing and, more generally, the Vogue culture a phenomenon of incomparable originality. Thanks to plastic poses and movements that often resemble those of a mime, Vogue put into direct contact dancers and spectators. It is a unique form of art that represents a political statement, not only it outlines social status and cultural background, it also unveils the desires, passions and dreams of an individual.

        As Madonna says:

        “Life’s a ball, so get up on the dance floor.”

        Quando queer, musica, danza e stigma sociale si uniscono e si forma l’alchimia che porta alla luce una dimensione culturale nuova, folle, che quindi evade dalle logiche mainstream e dà ad ognuno la possibilità di brillare, di essere qualcuno a modo suo.
        Malcolm-McLaren

        “This society – going to a football game, basketball – that’s their entertainment. You know, a ball is ours. We prepare for a ball. We may spend more time preparing for a ball than anybody would spend preparing for anything else. You know, a ball is like our world. A ball, to us, is as close to reality as we’re gonna get to all of that fame and fortune and stardom and spotlights.”

        Tratto dal documentario “Paris is Burning”, 1990
        Una nuova dimensione

        Vogue, è una parola che sicuramente non vi suonerà nuova. Nota rivista di moda,  famoso singolo di Madonna.

        Vogue è anche un emblematico fenomeno artistico di grande rilievo, che ha animato per decenni ed anima ancora oggi la scena underground di molte città del mondo.

        Il termine non si riferisce solamente ad uno stile di danza contemporanea. Il richiamo nascosto è in quella che viene considerata una “vera e propria cultura radicata” nelle comunità queer e LGBT della classe operaia nera e latina di New York ed altre città statunitensi.

        Dove si uniscono diverse forme di auto-espressione, come la danza, ma anche la musica e la moda, e temi di natura politico-sociale come lo status, l’etnia, l’orientamento sessuale.

        Tuttavia, l’elemento che più caratterizza questo movimento culturale è sicuramente lo stile di danza, appunto vogueing, che mescola pose plastiche a movimenti fluidi eseguiti con braccia e mani.

        Non a caso, il nome rimanda proprio alla famosa rivista, poiché le movenze e i gesti di questa danza vogliono ricreare le stesse pose e immagini di quelle iconiche pagine patinate.

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        Copyright the documentary “Paris is Burning
        Parte di una sotto-cultura

        Al contrario di altri stili di danza nati da subculture urbane come l’hip hop o la breakdance in cui le performance avvengono principalmente per strada, il luogo prediletto per il vogueing sono le cosiddette ballrooms.

        All’interno di queste sale da ballo le varie houses, ovvero crews di ballerini organizzate gerarchicamente come vere e proprie famiglie, organizzano i balls:

        • competizioni in cui i voguers o ball-walkers si esibiscono in diverse categorie (Fantasy, Realness, Solo ecc.).

        Dagli anni Sessanta fino ad oggi il vogueing è andato evolvendosi, costituendo diversi stili.

        Lo stile Old Way, stile in voga prima del 1990, si configura come una vera e propria battaglia tra due walkers rivali. Nel famoso documentario sulla cultura Vogue Paris is Burning, un giovane parlando del significato del termine “house” afferma:

        “Una house è una gang di strada gay. Se una gang di strada accresce la sua reputazione con gli street fights, una house lo fa esibendosi nelle categorie dei balls.”

        Lo stile New Way della prima metà degli anni Novanta è caratterizzato invece da movimenti geometrici e articolati, a differenza del Vogue Femme, più aggraziato e fluido. Quest’ultimo dal 1995 in poi si è evoluto, dando vita a due nuove sotto categorie:

        • Dramatics, stile acrobatico ed energetico, e Soft and Cunt, più femminile e sensuale.
        L’ascesa del vogueing

        Nato dalla dimensione comunitaria dei bassifondi delle inner cities americane, il vogueing si è poi esteso oltreoceano. Nel Regno Unito la scena Vogue si è diffusa da Londra ad altre città del paese come Liverpool, Manchester e Glasgow, nelle quali ha recentemente riacquistato una forte centralità.

        In particolare, a Liverpool ogni anno si tiene la competizione Vogue più grande a livello nazionale, il “Liverpool’s House of Suarez Ball”. L’evento è organizzato da Darren Suarez, ballerino professionista e mother, cioè fondatore, della House of Suarez.

        Per quanto riguarda la capitale, uno dei migliori modi per assistere ai più spiccati talenti della scena Vogue londinese è partecipare alle serate House of Trax.

        Questi party old-school organizzati mensilmente nell’East London, sono animati dai beat caratteristici della Chicago, Detroit e Baltimore House. Perchè sono generi che da qualche anno sono tornati in voga nella scena elettronica underground britannica.

        Tutto questo grazie a etichette come la Night Slugs, che vanta artisti del calibro di Jam City e L-vis 1990.

        Grazie a crews di ballerini professionisti, fashion shows e celebrità la cultura Vogue si è estesa in tutto il mondo.

        All’inizio degli anni Novanta Madonna con il suo singolo “Vogue” è stata una delle prime insieme a Malcolm McLaren a rendere noto alle grandi masse questo movimento culturale.

        Oggi, il merito per aver riportato all’attenzione internazionale, questo affascinante stile di danza va sicuramente a FKA Twigs.

        La cantante, ballerina, producer, coreografa e regista inglese la cui notorietà sta crescendo esponenzialmente in tutto il mondo, ha fatto del vogueing un tratto distintivo delle sue performance.

        Esibendosi con voguers professionisti come Benjamin Milan (mother della House of Milan) nei suoi spettacoli “Congregata” e in alcuni dei suoi video, Twigs ha riacceso i riflettori sul Vogue diventandone un’importante promotrice.

        Uno stile potente ed espressivo

        La potenza artistica ed espressiva di questo stile, negli ultimi anni è esplosa come non mai, arrivando anche in estremo oriente.

        Il vogueing in Giappone è una vera e propria moda.  

        Aya Sato e Bambimedia-artists, ballerine, coreografe e modelle unite sia nel lavoro che nella vita – organizzano numerosi workshops di vogueing molto partecipati e apprezzati in tutto il mondo.

        Proprio grazie al loro talento e alla loro originalità sono state volute dalla grande Madonna, come backup dancers per la sua esibizione ai Brit Awards 2015.

        E’ indubbio che il futuro di queste due artiste nella scena Vogue nipponica ci riserverà molte interessanti sorprese.

        La commistione di danza, moda e musica, rendono il “vogueing” e la cultura Vogue un fenomeno di originalità inequiparabile. Attraverso pose plastiche e movenze che spesso ricordano quelle di un mimo, questa espressione d’arte sembra mettere in contatto diretto ballerini e spettatori. Il vogueing è un vero e proprio linguaggio del corpo, e non ha solamente l’obiettivo di impressionare o emozionare. Ci racconta l’intero universo di un individuo: non delinea solamente il suo status sociale e il background culturale, ci parla dei suoi desideri, dellle passioni e dei sogni. Racchiude quello che pensiamo che la società ci impedisca di essere o di avere. I voguers usano il loro corpo per esprimersi tramite un linguaggio inclusivo e universale che proprio grazie alla sua unicità sta tornando in voga nei panorami urbani di tutto il mondo.

        D’altronde, proprio secondo Madonna:

        “life’s a ball, so get up on the dance floor!”.

        Edited by Celine Angbeletchy

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          SMrecords

          Save The Music #01

          Smallville Records

          Germania: terra ermetica, fredda, apparentemente distante dai popoli mediterranei scanzonati e umoristici. Posto perfetto per un’analisi lucida e ragionevole della società occidentale moderna. E cosa rappresenta più fedelmente a livello musicale l’ambiente odierno se non l’elettronica nelle sue varie e quasi infinite sfaccettature. Ecco perché i tedeschi sono così bravi. Dietro all’abilità a estraniarsi e al rigore mentale che unisce i puntini di una esistenza ordinata si nasconde il segreto delle grande produzioni “deep” che da parecchi anni questo popolo coltiva, crea e promuove.

          Ed ecco anche perché questa terra è piena di etichette degne di nota che hanno fatto e continuano a fare la storia della cultura club nel mondo. In questo articolo ci concentreremo su una in particolare: la Smallville Records.

          Una delle label più innovative e con un roaster tra i più interessanti e variegati sulla scena.

          Nata dall’amore e la passione per la musica di Julius Steinhoff e Just von Ahlefeld (il duo alla base del progetto Smallpeople che esce ovviamente sotto l’etichetta di loro proprietà) e in seguito raggiunti da un altro musicista delle vicinanze, un tale chiamato Peter Kersten ai più conosciuto come Lawrence e co-fondatore di un’altra storica etichetta, la Dial Records.

          In principio un negozio

          La Smallville era in principio un negozio per appassionati di vinili aperto ad Amburgo dai due fondatori che solo successivamente si sarebbe trasformata nell’etichetta che oggi conosciamo con il primo Ep prodotto nell’ormai lontano 2006.

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          Smallville people, Copyright Smallville Records

          Passione, dedizione e amore per il proprio lavoro. Ecco ciò che ha sempre contraddistinto e alimentato ogni passo intrapreso dalla coppia (poi diventata un trio). A questo va aggiunta la ricerca continua di un’evoluzione prima di tutto artistica e, di conseguenza anche musicale, che rimanesse sempre e comunque unica e indipendente rispetto a tutte le altre produzioni che circondavano il panorama degli artisti coinvolti nel processo creativo dell’etichetta. Possiamo esemplificare la filosofia della Smallville con il semplice dettato:

          creiamo una casa discografica dove noi e i nostri amici faremo sempre quello che vogliamo”.

          Smallville records
          Poi una label per rigenerare la Deep House

          Alla base di tutto c’è quindi un’estrema confidenza tra musicisti e produttori, cosa che si riflette nel suono caldo e nella nuova spinta che questa etichetta sta dando ad un genere (la deep house) che rischiava di fossilizzarsi nella nomea appiccicatole addosso negli ultimi anni.

          smallville

          Questo sentimento di indipendenza va ad influire su ogni decisione collegata all’uscita di un nuovo prodotto della casa discografica che debba essere fatto conoscere all’esterno. Ne nasce così una cura maniacale del dettaglio che fa la differenza e va in questo verso la decisione di affidare l’art work di ogni copertina al fumettista ed artista tedesco Stefan Marx, cosa che rende ogni Ep o Lp originale e con una propria impronta riconoscibile.

          Scopriamo insieme quel sound che ha reso famosa l’etichetta di Amburgo nel corso degli anni.

          Ad oggi la Smallville ha prodotto e fatto uscire 42 opere di svariati artisti. I punti forti del collettivo rispondono ai nomi di: Moomin, Smallpeople, STL, Christopher Rau, Steven Tang, Arnaldo, Jacques Bon, i già citati possessori della label Julius Steinhoff e Lawrence e ancora molti altri.

          Potremmo definire il genere trattato e affrontato come Deep House ma il merito principale di questa etichetta è stato quello di ristrutturare un genere troppo inflazionato negli ultimi anni aggiungendovi scorze di numerosi altre varietà, partendo dalla techno (e come non potrebbe? siamo in Germania, patria di questa variante musicale), per arrivare fino all’ambient music o anche alla dub (STL – At Disconnected Moments)  non rinunciando mai ad quel sapore jazzy (Moomin –  The Story About You) che s’intravede molto spesso tra le righe degli spartiti delle produzioni degli artisti sopracitati.

          Ristrutturare un genere troppo inflazionato negli ultimi anni aggiungendovi scorze di numerosi altre varietà

          Aldilà delle varianti sonore che ogni singolo artista porta con se nel suo bagaglio, quello che contraddistingue maggiormente il suono di questa label è la pulizia e la finezza di canzoni sempre eleganti che fanno un vero e proprio screening del pubblico ascoltatore, andando alla ricerca loro stesse di orecchi educati e sensibili, con l’obiettivo non dichiarato di creare un uditorio che si allontani il più possibile dai suoni commerciali e stereotipati dai quali siamo sommersi al giorno d’oggi.

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          Copyright Smallville Records

          L’esigenza di cambiamento e autonomia si specchiano a meraviglia in tutto ciò che questa etichetta fa e la rendono in definitiva indiscutibilmente tra le migliori e più interessanti del momento.

          Dulcis in fondo la playlist Spotify con cui potrete farvi un’idea e approfondire i temi e le note trattate dalla SMALLVILLE RECORDS.


          Links:

          Sito web / Discogs / Catalogue


          Edited by Jacopo Boni

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