Factory Asks

FACTORY ASKS 0004 : MARTINA RIDONDELLI

Autoritratti, Photo by Martina Ridondelli
Bianca Garzella Photo by Martina Ridondelli, M.U.A. Isabella Biagini

Nome artista 0004 : Martina Ridondelli

BIO

Nata a Pisa, diplomata all’istituto d’arte con indirizzo di “architettura e arredo” decide di approfondire la sua passione per la fotografia trasferendosi a Milano e studiando presso l’Istituto Italiano di Fotografia. Si specializza in ritrattistica e in fotografia di concerti, lavorando in buona parte nel settore musicale. Essendo la musica un’altra sua forte passione, incomincia a fare foto promozionali, artwork e a collaborare in modo sempre più diretto con i musicisti. Nel corso degli anni, approfondisce progetti personali che espone in diverse città italiane. Attualmente sviluppa i suoi lavori sia in interno, presso il suo studio, sia in esterno.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Ho incominciato a far fotografie grazie a mio padre che mi regalò la prima macchina fotografica intorno ai 9 anni e posso dire che da lì è incominciato tutto.

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

A tutti e a nessuno o a tutto e a niente. Mi piace osservare ma non ho un riferimento ben preciso e molto spesso le influenze e le ispirazioni cambiano di mese in mese.

03. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Cuore e stomaco.

04. Che cosa vuol dire Underground per te?

Underground è qualcosa di bello ma strano perchè sembra parlare sottovoce ma urla più forte delle realtà della cultura di massa. Il concetto di “underground” in questo periodo storico di confusione estetica e concettuale assume tante forme. E’ tutto un grosso calderone dove difficilmente si riconosce cosa ci sia dentro.

 

|  The Factory  | Martina Ridondelli  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

 

Autoritratti, Photo by Martina Ridondelli
Giorgio Canali Photo by Martina Ridondelli

Factory Asks

FACTORY ASKS 0003 : BEATRICE TACCOGNA

foto di Nicol P.
foto di Nicol P.

Nome artista 0003: Beatrice Taccogna

BIO

Nata a Pontedera il 4 febbraio del 1992 vive a Cascina (Pisa) dove ha studiato all’Istituto d’arte conseguendo diploma in scenografia teatrale. Attualmente frequenta il terzo anno di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Sin da bambina dimostra interesse verso il disegno e la pittura. Protagoniste dei suoi quadri sono spesso le donne che una volta dipinte diventano autoritratti introspettivi. Vede la pittura come un momento di evasione dalla vita quotidiana e cerca, attraverso le sue opere, di succitare nell’animo di chi le guarda, sensazioni che solo l’arte sa provocare.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Non ricordo cosa in particolare mi abbia spinto verso l’Arte, ma fin da piccola disegno e dipingo, mio nonno lo faceva e come lui mio padre,credo si una sorta di “eredità artistica” arrivata fino a me .

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Amo Frida Kahlo, come artista e persona.La sua vita mi ha ispirata molto, non una cosa di lei o un quadro, ma l’insieme delle sue opere che raccontano una storia tormentata quanto piena di emozioni che mi ha colpita e mi ha ispirata tantissimo verso il tipo di arte che faccio oggi

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

La mia massima aspirazione è quella di poter viaggiare e, anche se può sembrare un utopia visti i tempi, vivere della mia arte e magari creare spazi che diano possibilità a giovani artisti come me di potersi esprimere e farsi conoscere.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Quando dipingo ricordo a me stessa che ci sono e che l’Arte è qualcosa che nessuno potrà mai togliermi o contestarmi. Non c’è un messaggio in particolare che voglio comunicare, forse egoisticamente le mie opere parlano solo di me, un momento tutto mio nel quale però possono identificarsi altre persone apprezzando i miei lavori. Non credo si debba percorsa cercare o imporsi un messaggio sociale legato all’arte o almeno non sempre, si può anche fare arte per il piacere di farla.

05. Che cosa vuol dire Underground per te?

Underground è un termine molto complesso e spesso dimenticato, underground non significa solo “alternativo” come spesso viene sintetizzato questo concetto.per me significa indipendenza e voglia di innovazione rispetto alle “tradizioni” artistiche, culturali e sociali.

|  The Factory  |  Beatrice Taccogna  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

foto di Nicol P. (Summer Carnival Opening Party, Maggio 2014)

Factory Asks

FACTORY ASKS 0002 : FIERA & FREDDASTEREO

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Nome Artista 0002: Fiera e Freddastereo

BIO
Fiera & Freddastereo (Davide Barba- fiera e Federico Borghesi) sono un duo nato per caso, una sera del Dicembre 2012, quando la fine del mondo pre- detta dai Maya distava solo pochi giorni. I due decisero di piazzare una tele- camera ed improvvisare un dialogo, ironizzando su quel tema. Da quel momento in poi, cominciarono a prendere gusto nel girare questi cortometraggi, cercando di mantenere sempre lo stesso “mood” cinematografico, influenzato da un tipo di cinema minimalista e apparentemente spontaneo, venato di un’atmosfera surreale, come Aki Kaurismaki o Jim Jarmusch.

01. Come avete intrapreso questo percorso artistico?

L’idea di fare questo tipo di video è nata per caso, siamo entrambi appassionati di cinema ma non c’eravamo mai messi alla prova ed il giorno che ci siamo trovati tra le mani una videocamera abbiamo incominciato a girare d’istinto.

02. A chi o a cosa vi ispirate per quanto riguarda i vostri lavori?

Per i nostri lavori ci ispiriamo soprattutto alla storie, ai modi di fare, ai racconti ed alle esperienze che ci circondano, poi come dicevamo prima siamo entrambi amanti del cinema di un certo tipo quindi un nome su tutti Kaurismaki.

03. In quanto artisti qual è la vostra massima aspirazione?

Per entrambi la massima aspirazione è riuscire a vivere di quello che ci piace fare.

04. C’è un messaggio legato ai vostri lavori senza il quale non li chiameresti vostri?

Ci sono spesso le nostre facce…eheheh, no diciamo che una cosa che rende riconoscibile i nostri lavori è un mood amaro e disilluso.

05. Che cosa vuol dire Underground per voi?

Underground secondo noi significa riuscire a fare le cose che hai in testa senza compromessi ed influenze esterne non richieste, significa inoltre cercare di aggiungere qualcosa ad un tessuto, in questo caso artistico, di possibilmente innovativo e soprattutto personale.

 

|  The Factory  |  Fiera & Freddastereo  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

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FACTORY ASKS 0001 : FRANCESCO CATELANI

Cosimo
Cosimo il giornalaio

Nome Artista 0001:  Francesco Catelani

BIO

Mi chiamo Francesco Catelani. Studio lettere perchè mi piacciono abbastanza i libri.
Sono sempre stato chiaramente un nerd: mi piacciono i fumetti dei supereroi (quelli della DC, ma soprattutto Pk), mi piacciono i videogiochi (quelli del Nintendo, meglio se dai 16bit al cubo, o quelli da sala giochi quando ancora esistevano), mi piacciono i cartoni animati (tutti, apparte quelli proprio giapponesi giapponesi).
Sono sempre stato un autoproduttore di nerderia casalinga: il primo fumetto l’ho fatto insieme al mio babbo, quando ancora non sapevo scrivere e dettavo a lui le didascalie (è molto brutto, ma ne vado fiero. Nei disegni, poi, non sono migliorato molto; nei contenuti ho cambiato genere).
Da allora non ho mai smesso di far fumettini e disegnozzi, a parte per qualche anno del liceo, quando avevo le mani troppo impegnate a giocare al Gamecube, a strizzarmi i brufoli, a rollare le canne, a farmi le seghe (oppure, quando ho avuto qualche ragazza, a toccarle le puppe come se non ci fosse un domani).
Da qualche anno cerco di buttar via il poco tempo libero a disposizione stampando i miei fumetti e vignettelle, e facendo disegnastri per vari progetti e vari gruppi di persone, ritrovandomi spesso a passar delle ore dietro un banchino pieno di fotocopie spillate con una serie di altri amici sganasciati, scambiandoci birrini, chiacchiere, cicchini scollati.
Faccio spesso mostre nelle toilette, e a volte sono vittima di censure e recentemente di rogo dei miei albi…il che è anche piuttosto strano, visto che in realtà faccio le cose della tenerezza e del bene.
La mia più grande aspirazione è riuscire a ridiventare, anche fisicamente, un piccolo bimbino, e farmi spupacchiare sul fasciatoio tutto il giorno, durante un’infinita sessione di cambio-pannolone.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Parlare di “percorso artistico” riferito a quel che faccio è davvero troppo generoso nei miei confronti e mi imbarazza un po’… Più di come ho iniziato un percorso artistico, direi come ho iniziato a fare una cosa, e cioè trasformare i miei disegni e fumetti in fanzines e portarle in giro allestendo banchetti accanto alle distro dei gruppi durante le serate e i concerti. Per uno come me che non suona, credo semplicemente fosse una maniera per sentirsi presente in ambienti nei quali tutti fanno cose e stringono amicizia organizzando i concerti assieme, dividendo il palco, facendo canzoni e parlando di musica. Era -ed è- la mia maniera di essere presente, di dare il mio apporto in una situazione che creiamo in collettività. Col tempo poi questa cosa ha assunto anche altri significati… tipo che fare i banchetti coi fumetti ti dà un punto di gravità per startene seduto da una parte a far qualcosa, tipo che è un po’ un modo di offrire un piglio alle persone per venir a scuriosare in quel che fai e attaccar bottone con te. Questo per quanto riguarda il “far banchetto”; per quanto riguarda i fumetti in se non saprei cosa dire: li ho davvero sempre fatti, e per questo è una cosa che percepisco più come una costante anzichè come un “percorso”. I tentativi di rendere periodiche le fanzine mi hanno dato una certa continuità nell’uso di alcuni personaggi, e questo con il tempo mi ha suggerito l’idea e il progetto di costruzione di una sorta di universo narrativo tutto mio… Ma è qualcosa che richiede un tempo immane (o un team di persone) e al momento attuale è ancora ai primi vagiti. Ovviamente la mia maniera di disegnare, ciò di cui parlo, e come ne parlo è cambiata e cambierà nel tempo, ma più che come un percorso evolutivo (anche se in realtà forse un pò lo è) lo percepisco come il susseguirsi di periodi di vita diversi, e quindi caratterizzati da pensieri, immaginari, gusti e suggestioni differenti.

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02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Per un lungo periodo ho preso come punto d’orgoglio il non leggere-esplorare niente, così da non farmi influenzare e da poter cercare nella mia autoreferenzialità gli spunti per quel che facevo (e questa è poi la ragione della mia scarsa cultura nei campi del fumetto, illustrazione, letteratura). Probabilmente questo sembra un pò un ragionamento snobistico o comunque anti-evolutivo, ma in realtà credo che sia stato piuttosto fruttifero per me.. sia a livello umano di -diciamo- esplorazione di se, sia a livello umano di evitare ansie da paragone che avrebbero di sicuro portato all’auto-boicottamento, sia -forse- nella costruzione di un’identità stilistica e/o tematica. Poi mi ha dato una certa libertà, anche di fare cagate: senza termini di paragone non ci sono modelli e non ci sono parametri per definire cosa fa schifo e cosa no, quel che fai va sempre bene. Comunque, a una certa, l’auto-referenzialità DEVE interrompersi, altrimenti diventa una gabbia: nell’ultimo anno sono diventato davvero avido di scoprire e studiare quel che sta venendo prodotto e pubblicato oggi, in ogni ambiente e di ogni genere.. un po’ tipo la fame dopo il digiuno, questo è un periodo in cui sto cercando proprio il contrario dell’auto-referenzialità: riempirmi il più possibile di tutto, per poi magari tra un pò chiudere di nuovo il rubinetto e vedere cosa mi esce a quel punto.
Ciò che mi appassiona più di tutto, e di cui da piccolo mi nutrivo ben più del pane, sono le cose da nerd, e nonostante poi io faccia cose molto distanti, secondo me questo si vede benissimo tra le righe: mi piacciono i supereroi e i loro mondi, i videogiochi, i cartoni animati, i film delle avventure e del fantasy…personaggio preferito batman e tutta la sua cricca, scrittore preferito Alan Moore: no seghe. Non mi piacciono le giapponesate, apparte giusto poche cose selezionate che, invece, adoro (Matsumoto più di ogni altro: mi ha insegnato ad amare-disegnare i teschi).
Di italiani per me sopra ogni cosa ci sono i disegni di BadTrip. Mi dicono spessissimo che parecchie cose che faccio ricordano Pazienza, di cui però ho letto pochissimo (anche se in un’occasione lo cito)… ma nell’adolescenza ho letto ossessivamente Bastogne di Brizzi, prima fino alla memoria come libro, e poi con trasognanza nella sua versione illustrata da Manfredi: sono sicuro che Pazienza mi è arrivato filtrato da quello.
Quel che leggo sempre con entusiasmo e attenzione, che a volte addirittura studio e di cui sono sempre felice di cercare e trovare le influenze nei miei lavori sono i fumetti e le fanzine dei miei compari di banchetto: primi fra tutti il Brucio, Fabio Monster, il Champa e la loro Lo-Fi Comics, poi i mostri e le città di Robo, Silvicius, più recentemente l’immaginario del Fabbri, Lafabbricadibraccia, il Pagliarulo. Sono tutti amici di cui mi piace il lavoro, e con cui spesso divido le serate, i banchetti e le sbronze, con cui ci scambiam consigli, pareri.. è normale che le maggiori influenze le prenda da loro.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?                                                            

Se di mestiere facessi l’artista ovviamente la mia aspirazione sarebbe quella di riuscire a vivere con la mia arte… ma mi sa che non sono un artista, e di sicuro non lo faccio di mestiere.
Anzichè come artista, ha più senso riferirsi a me come persona, e come persona la mia massima aspirazione è quella di essere una bella persona, magari di rappresentare qualcosa per qualcuno, di riuscire a dare un consiglio, uno spunto di riflessione, un sorriso al momento giusto con quello che dico o scrivo. Se è vero che ogni persona è una storia, io vorrei essere una bella storia. Vorrei essere una persona che amo, vorrei essere amato per la persona che sono. La mia massima aspirazione come persona che fa delle cose, poi, è il riconoscimento di un valore in quello che faccio… possibilmente in vita. In soldoni, aspetto con ansia di approdare su wikipedia.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

C’è il fatto che li ho fatti io a renderli miei. C’è il fatto che parlino di me, o di una parte di me, o di qualcosa che ho immaginato, o di qualcosa che mi sono divertito a fare. In generale non ci sono messaggi in cui mi riconosco mai totalmente; magari ci sono dei temi attorno ai quali esprimo dei pensieri, dei punti di vista, delle interpretazioni… che sono le mie opinabili verità! Può darsi che nelle maniere che ho di fare le cose si possano leggere dei messaggi, o si possa pensare da quel che scrivo che prenda delle posizioni o roba del genere… Ma sono letture, non è quello che faccio io. Il mio è un relativismo non totale ma molto dilagante… Il relativismo -relativamente alla mia concezione- è qualcosa di così immanente in tutto ciò che esiste da diventare espressione stessa dell’assoluto: posso esprimere le mie verità relative, ma non messaggi. Posso, soprattutto, dire minchiate divertendomi a far cose sceme, tipo inserire il maggior numero possibile di volte la stessa parola in un periodo di senso compiuto, per dire cose serie prendendo un po’ per il culo chi legge, tipo adesso.

10389449_273614826159198_7036947347853791027_n05. Che cosa vuol dire underground per te?
Ecco la domanda difficile, se non altro perché credo sia una parola il cui significato è cambiato parecchio nel tempo.
Underground è un termine che ha avuto un significato, una suggestione e una fascinazione molto forti per me, soprattutto quando ero più piccolo… ed era una parola molto selettiva: una di quelle etichette che servono per dividere le cose buone dalle cose cattive. Underground per me rappresentava tutto ciò che era… underground appunto! Quindi roba di nicchia, situazioni con una certa estetica, l’illegalità, il rifiuto del mondo… un certo tipo di chiusura snobistica anche, che si traduceva nella negazione di comunicazione con l’esterno. Per fare degli esempi scemi: non le rockoteche ma i posti occupati, non le discoteche ma le feste coi furgoni, non le riviste ma le fanzines, non la pubblicità e i social network ma il passaparola.. poi per fortuna tutto questo è cambiato e ho un po’ abbandonato queste divisioni dell’adolescenza.
Oggi underground è una di quelle parole strausate da chiunque e in ogni situazione -tipo “rock”, per dire- e questo le ha fatto perdere la sua identità, la sua funzione realmente categorizzante. Underground vuol dire un po’ tutto e un po’ niente, e alla fine va bene così: le etichette fanno male al mondo, e le identità sono qualcosa di molto in bilico tra l’essere un valore ed essere una gabbia. Dal canto mio, io ho imparato a tralasciare completamente ogni tipo di etichetta ed evitare di assegnare questo gran valore distintivo alle parole, così come ho imparato a non dar peso a questioni estetiche o di “categoria”, come i luoghi, gli immaginari, i colori, gli atteggiamenti… Ognuno possa definirsi o venir definito un po’ come gli pare o come pare agli altri: per me contano le persone, e alla fine con le persone le parole e le etichette sono sempre inutili.
Ci sono persone con cui passo volentieri il tempo e con cui faccio cose assieme con entusiasmo, e altre con cui preferisco non stare e di cui non apprezzo il lavoro: per me conta questo, e non ci sono termini validi per fare questa distinzione, è una cosa umana punto e basta. Lo stesso dicasi per gli ambienti: se in una situazione ci respiro aria buona, per me è un bel posto e ci rimango finché mi va, altrimenti vado altrove; mi piacciono i posti dove si può sentirsi liberi di fare, e non mi importa se si tratti di uno squat o una discoteca: esperienza insegna che anche questa è una questione umana, e ci sono centri sociali paramilitari dove devi chiedere il permesso per pisciare e locali dove puoi proporre e realizzare quel che vuoi come fosse casa tua.
Poi che a livello estetico mi piaccia di più un certo tipo di ambiente, un tipo di musica o un immaginario rispetto ad altri è un altro discorso… Si tratta di gusto personale e di cosa sento più mio e cosa meno. In definitiva a me interessano le persone: se mi sento a mio agio con loro, se hanno lo spirito giusto, si gli piace farsi le cose da soli e han voglia di sbattersi, se tutti ci sentiamo liberi di fare quel che ci pare -liberi anche di andare in paranoia o litigare senza catastrofi-, allora va bene. Definizioni e autodefinizioni, almeno per me, lasciano un po’ il tempo che trovano… Meglio conoscere, immergersi un po’, e scoprire se ci stai bene o no. Se proprio dovessi assegnare un significato specifico al termine “UNDERGROUND”, gli darei lo stesso significato indefinibile che Celentano assegnava alla parola “ROCK” nel suo programma… ma giusto per dire una cazzata sul finale di queste risposte, e perché Celentano è un gran figo ed è sempre bene ricordarlo.

 

|  The Factory  |  Francesco Cate  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

foto di Celeste Arzilla
foto di Celeste Arzilla