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FACTORY ASKS 0008: RICCARDO BONUCCELLI

askthepixel_faithNome artista 0008: Riccardo Bonuccelli

BIO

Fotografo e retoucher professionista Adobe Certified Expert. Riccardo è nato il primo gennaio del 1977, ha vissuto a Torino, Lucca, Bruxelles e nuovamente Lucca. Si laurea in informatica e coltiva un lunga esperienza di consulenza in grandi aziende internazionali. Da sempre amante dell’arte, nel 2009 decide che la fotografia sarebbe stata la sua professione e nel 2011 dà vita alla sua attività, askthepixel.net. Da allora fornisce servizi fotografici e di formazione, specializzandosi in ritratto, fotografia urbana e di architettura e in compositing artistico. Come insegnante ha lavorato con aziende locali e internazionali, agenzie di formazione, associazioni culturali e di settore e ultimamente con il liceo artistico di Lucca.

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Con una solida base tecnica alle spalle e da sempre incuriosito e affascinato dal forte potenziale comunicativo subliminale delle immagini, ho cominciato a studiare il valore simbolico dei colori e delle forme contenuti nella collezione dei Tarocchi di Marsiglia. Le figure riprodotte su queste carte rappresentano la sintesi della simbologia occidentale, che dal tardo medioevo valgono ancora oggi e che funzionano alla perfezione applicate a qualsiasi medium visivo. Utilizzarle è estremamente divertente e da là il percorso ha preso vita sua e non si è mai arrestato.

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02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Ho qualche fotografo a cui faccio riferimento quando cerco ispirazione estetica ma il loro stile può anche non trasparire nei miei scatti, perché dall’ispirazione alla produzione il processo ha già alterato i tratti distintivi di questi autori. Potrei citare Sarah Moon per i ritratti e Gabriele Basilico per la fotografia urbana, ma la lista sarebbe lunghissima. L’ispirazione tematica invece la trovo nella lettura: nel tempo, passando di libro in libro – sempre seguendo il tema su cui vorrei lavorare – si formano collegamenti che mi portano alle soluzioni visive che finiranno nelle mie foto.

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

Essere fonte di ispirazione. Non avrebbe senso creare arte se non ne generasse di nuova a sua volta, sarebbe vana o al massimo superflua.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Sì, è l’invito a guardare oltre il primo velo, a provare a far parlare le immagini, a renderle vive.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

In ambito artistico “Underground” è l’humous culturale che prepara la società ad accettare la prossima espressione estetica e concettuale, magari denigrata o considerata acerba ma che di fatto intimorisce perché mina l’attuale equilibrio o perché è semplicemente non compresa.askthepixel_balance

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Il progetto che ho portato mi ha fatto riflettere più di quanto mi aspettassi su quanto profondo sia il tema affrontato, lo scattare fotografie da un dispositivo mobile. Quando sono apparse le prime fotocamere “embedded” nei telefoni cellulari già da tempo i sensori digitali avevano sostituito le pellicole nella maggior parte degli apparecchi di ripresa. Ma questo cambiamento ha aggiunto un ulteriore grado di astrazione dalla realtà: da quel giorno possiamo compiere un’azione che riguarda l’ambito visivo (fotografare) con uno strumento che abbiamo sempre usato per parlare e ascoltare (il telefono). L’immagine diventa anch’essa parte della conversazione (“embedded” anche loro) e fa parte integrante del suo senso: una frase non è più totalmente comprensibile senza una emoticon come una foto da sola non basta a definire un concetto. Si può definire una “fotografia aumentata”.

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Questi eventi sono fondamentali per la crescita della società. É molto raro che qualcuno si fermi a riflettere su ciò che ha davanti a sè quotidianamente o che esprima un concetto proprio, originale. Questa sorta di apatia, di inerzia spirituale, comunicativa ed espressiva deve essere controbilanciata da una risposta genuina di analisi creativa della realtà attraverso gli occhi e le mani di chiunque ne senta un onesto bisogno. L’arte si muove per osmosi, e bisogna respirarla perché passi da uomo a uomo, da generazione a generazione.

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|  The Factory | Riccardo Bonuccelli  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

 

 

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FACTORY ASKS 0007: BEATRICE LA VISIONARIA

 

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Nome Artista 0007: Beatrice La Visionaria

BIO

Per tutti sono Beatrice La Visionaria. Nata a Lucca, giovedì 13 marzo del 1986 alle 13:56 in una splendida giornata di pioggia. Dopo un po’ di candeline spente sono arrivata all’Istituto d’Arte “A. Passaglia”- finalmente! Da lì in poi ho scarabocchiato, disegnato e dipinto su tutto quello che mi è capitato tra le mani. Sebbene abbia avuto l’occasione di partecipare a diverse mostre personali, è in mezzo agli altri, nella condivisione, che amo lavorare; che sia durante un live o un dj-set, partendo da una tela bianca, seguo la musica e vado con lei. Il resto di me lo trovate nei miei lavori.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Mi chiamo Beatrice. Ho cominciato a parlare a tre anni e chiaccherare non è mai stato il mio forte. Se un estraneo mi rivolgeva parola rispondevo sì, no, non so. E se insisteva rispondevo quello che voleva sentirsi dire. Le cose una volta pensate, che bisogno c’è di dirle? Come disse di me ai miei uno psicologo: “La bambina ha il sé grandioso.” Ci vollero un paio di anni alle elementari per capire che dovevo comportarmi come tutti gli altri. Il segreto era di confondersi come una sardina in un banco di sardine. Ora nessuno mi rompeva più. La mosca era riuscita a fotterli tutti. Perfettamente integrata nella società di vespe. Credevano che io fossi una di loro. Una giusta. Ma più inscenavo questa farsa e più mi sentivo diversa. Da sola ero felice con gli altri dovevo recitare. Questa cosa mi impauriva. Avrei dovuto imitarli per il resto della vita? Niente di male, sempre che non ci sia niente di male a smettere di fare quello che si vuole per essere accettati nel vespaio.

IMG_938902. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Immortalo i sentimenti del personaggio femminile che ho creato, La Visionaria, che poi sarebbe mia madre che muta e cambia nei dettagli,        ma gli stati d’animo che dipingo sono i suoi. La predilezione dell’universo femminile è sicuramente la caratteristica dei miei lavori.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Riuscire a trasmettere con i miei lavori ciò che con le parole non so spiegare.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

La Visionaria con i suoi sentimenti, le sue passioni e le sue paure.IMG_9382

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Produrre fuori dagli schemi tradizionali e commerciali.

 

 

 

| The Factory | Beatrice La Visionaria |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”


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| FOTO&CONCEPT BY NICOL P. |

 

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FACTORY ASKS 0006: LIIA AHOLA

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Artist’s Name 0006: Liia Ahola

BIO

I was born in Finland in a family with quite artistic roots. My mother is some sort of poet, my mother’s mother crafts little clay things and my father’s father was a painter. Maybe it’s the genes, maybe the environment or perhaps some coincidence that supported my drawing hobby. However, at the beginning it was just my childish natural interest towards creating, so it’s really hard to say that at what point it turned out to be “my thing”.

01. How did your artistic career begin?

I used to go to an art club before teenage years. After that I decided to specialise in visual arts and design in my upper secondary school (in Finnish school system). There I studied 26 art and design courses, and I learned the basics of different techniques and theories. Though I would say that my artistic career really started after graduating. It was the beginning of the beginning. I started looking for my own voice, and I’m still on that way.

12084850_982634965131615_1170144426_o02. What is you work mainly inspired by?

For me making arts is sort of a way to talk with my soul, a way to face myself. And it’s more like a place to go rather than a thing to do. I go there whenever I lose myself in either the mysteries of life, or daydreams, love or pain. Human nature and feelings are an endless source of inspiration for me. Also, the people that I love inspire me. And animals. And nature. And the universe itself. Existence of everything. 

 

03. As an artist what is your maximum aspiration?

Well, so far each time someone wants to have my drawings or paintings on his/her wall my heart warms up. Making art feels meaningful when it gives joy to other people (and to me as well). It would also be cool to have my artworks in places where people could see them. In galleries, bars or some other suitable location. Even though, my highest aspiration at the moment is to be able to create, to enjoy and to give joy to other poeple as much as possible. It would also be very cool to collaborate with other artists, make some performances or collaborative paintings, maybe also some videos.

04. Is there a characterising message related to your work?

Not really. Often the message of my artworks is posive, or it’s about something that you need to think twice in order to understand, or even interest towards some phenomenon. Sometime it could be a bad joke that nobody understands. But not really.

05. What does underground mean to you?

I see underground art simply as something that has been done from desire of making it. From desire of saying something aloud or expressing oneself. Pure art without other things influencing it.


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VERSIONE ITA :

BIO

Sono nata in Finlandia in una famiglia dalle radici artistiche. Mia madre è una specie di poeta, mia nonna produce prodotti artigianali di argilla e mio nonno era un pittore. La mia passione per il disegno, forse viene dai geni, forse dall’ambiente in cui sono cresciuta, o forse è solo una strana coincidenza.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Prima dell’adolescenza frequentavo un corso d’arte. Dopodiché al liceo ho deciso di specializzarmi in arti grafiche e design nella mia scuola secondaria (sistema scolastico finlandese). Lì ho seguito 26 diversi classi di design e arti visuali e grafiche e ho imparato i fondamenti delle diverse tecniche e teorie. Il mio percorso artistico però è iniziato davvero solo dopo che mi sono laureata.

 

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02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Per me fare arte è un modo per comunicare con la mia anima, per confrontarmi con me stessa. Ed è più un posto in cui vado piuttosto che una cosa che faccio. Ci vado ogni volta che mi perdo nei misteri della vita, dell’amore, del dolore, o quando sogno ad occhi aperti. La natura umana e i sentimenti sono un’ infinita fonte di ispirazione per me. Anche le persone che amo mi ispirano. E gli animali. E la natura. E l’universo stesso. L’esistenza del tutto.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Ogni volta che qualcuno vuole avere i miei disegni sulla sua parete mi si scalda il cuore. Fare arte ha senso quando dà gioia alle persone (e anche a me). Mi piacerebbe anche che i miei lavori fossero esposti in luoghi in cui la gente li può ammirare. Gallerie, bar o altri posti adatti. Però la mia più grande aspirazione al momento è essere in grado di creare, divertirmi e dare gioia alle persone il più possibile. Mi piacerebbe molto anche collaborare con altri artisti, creare performance, dipinti condivisi e anche video magari.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

In realtà no. Spesso il messaggio dei miei lavori è positivo o riguarda qualcosa su cui devi riflettere bene prima di capire o l’interesse verso un particolare fenomeno. O qualche volta è una battuta che nessuno capisce.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Per me arte undeground identifica qualcosa che è nato dal desiderio di creare, di dire qualcosa ad alta voce o di esprimersi. Arte pura, senza influenze esterne.

 

| The Factory | Liia Ahola |

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.” 

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FACTORY ASKS 0003 : BEATRICE TACCOGNA

foto di Nicol P.
foto di Nicol P.

Nome artista 0003: Beatrice Taccogna

BIO

Nata a Pontedera il 4 febbraio del 1992 vive a Cascina (Pisa) dove ha studiato all’Istituto d’arte conseguendo diploma in scenografia teatrale. Attualmente frequenta il terzo anno di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Sin da bambina dimostra interesse verso il disegno e la pittura. Protagoniste dei suoi quadri sono spesso le donne che una volta dipinte diventano autoritratti introspettivi. Vede la pittura come un momento di evasione dalla vita quotidiana e cerca, attraverso le sue opere, di succitare nell’animo di chi le guarda, sensazioni che solo l’arte sa provocare.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Non ricordo cosa in particolare mi abbia spinto verso l’Arte, ma fin da piccola disegno e dipingo, mio nonno lo faceva e come lui mio padre,credo si una sorta di “eredità artistica” arrivata fino a me .

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Amo Frida Kahlo, come artista e persona.La sua vita mi ha ispirata molto, non una cosa di lei o un quadro, ma l’insieme delle sue opere che raccontano una storia tormentata quanto piena di emozioni che mi ha colpita e mi ha ispirata tantissimo verso il tipo di arte che faccio oggi

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

La mia massima aspirazione è quella di poter viaggiare e, anche se può sembrare un utopia visti i tempi, vivere della mia arte e magari creare spazi che diano possibilità a giovani artisti come me di potersi esprimere e farsi conoscere.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Quando dipingo ricordo a me stessa che ci sono e che l’Arte è qualcosa che nessuno potrà mai togliermi o contestarmi. Non c’è un messaggio in particolare che voglio comunicare, forse egoisticamente le mie opere parlano solo di me, un momento tutto mio nel quale però possono identificarsi altre persone apprezzando i miei lavori. Non credo si debba percorsa cercare o imporsi un messaggio sociale legato all’arte o almeno non sempre, si può anche fare arte per il piacere di farla.

05. Che cosa vuol dire Underground per te?

Underground è un termine molto complesso e spesso dimenticato, underground non significa solo “alternativo” come spesso viene sintetizzato questo concetto.per me significa indipendenza e voglia di innovazione rispetto alle “tradizioni” artistiche, culturali e sociali.

|  The Factory  |  Beatrice Taccogna  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

foto di Nicol P. (Summer Carnival Opening Party, Maggio 2014)

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FACTORY ASKS 0002 : FIERA & FREDDASTEREO

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Nome Artista 0002: Fiera e Freddastereo

BIO
Fiera & Freddastereo (Davide Barba- fiera e Federico Borghesi) sono un duo nato per caso, una sera del Dicembre 2012, quando la fine del mondo pre- detta dai Maya distava solo pochi giorni. I due decisero di piazzare una tele- camera ed improvvisare un dialogo, ironizzando su quel tema. Da quel momento in poi, cominciarono a prendere gusto nel girare questi cortometraggi, cercando di mantenere sempre lo stesso “mood” cinematografico, influenzato da un tipo di cinema minimalista e apparentemente spontaneo, venato di un’atmosfera surreale, come Aki Kaurismaki o Jim Jarmusch.

01. Come avete intrapreso questo percorso artistico?

L’idea di fare questo tipo di video è nata per caso, siamo entrambi appassionati di cinema ma non c’eravamo mai messi alla prova ed il giorno che ci siamo trovati tra le mani una videocamera abbiamo incominciato a girare d’istinto.

02. A chi o a cosa vi ispirate per quanto riguarda i vostri lavori?

Per i nostri lavori ci ispiriamo soprattutto alla storie, ai modi di fare, ai racconti ed alle esperienze che ci circondano, poi come dicevamo prima siamo entrambi amanti del cinema di un certo tipo quindi un nome su tutti Kaurismaki.

03. In quanto artisti qual è la vostra massima aspirazione?

Per entrambi la massima aspirazione è riuscire a vivere di quello che ci piace fare.

04. C’è un messaggio legato ai vostri lavori senza il quale non li chiameresti vostri?

Ci sono spesso le nostre facce…eheheh, no diciamo che una cosa che rende riconoscibile i nostri lavori è un mood amaro e disilluso.

05. Che cosa vuol dire Underground per voi?

Underground secondo noi significa riuscire a fare le cose che hai in testa senza compromessi ed influenze esterne non richieste, significa inoltre cercare di aggiungere qualcosa ad un tessuto, in questo caso artistico, di possibilmente innovativo e soprattutto personale.

 

|  The Factory  |  Fiera & Freddastereo  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

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FACTORY ASKS 0001 : FRANCESCO CATELANI

Cosimo
Cosimo il giornalaio

Nome Artista 0001:  Francesco Catelani

BIO

Mi chiamo Francesco Catelani. Studio lettere perchè mi piacciono abbastanza i libri.
Sono sempre stato chiaramente un nerd: mi piacciono i fumetti dei supereroi (quelli della DC, ma soprattutto Pk), mi piacciono i videogiochi (quelli del Nintendo, meglio se dai 16bit al cubo, o quelli da sala giochi quando ancora esistevano), mi piacciono i cartoni animati (tutti, apparte quelli proprio giapponesi giapponesi).
Sono sempre stato un autoproduttore di nerderia casalinga: il primo fumetto l’ho fatto insieme al mio babbo, quando ancora non sapevo scrivere e dettavo a lui le didascalie (è molto brutto, ma ne vado fiero. Nei disegni, poi, non sono migliorato molto; nei contenuti ho cambiato genere).
Da allora non ho mai smesso di far fumettini e disegnozzi, a parte per qualche anno del liceo, quando avevo le mani troppo impegnate a giocare al Gamecube, a strizzarmi i brufoli, a rollare le canne, a farmi le seghe (oppure, quando ho avuto qualche ragazza, a toccarle le puppe come se non ci fosse un domani).
Da qualche anno cerco di buttar via il poco tempo libero a disposizione stampando i miei fumetti e vignettelle, e facendo disegnastri per vari progetti e vari gruppi di persone, ritrovandomi spesso a passar delle ore dietro un banchino pieno di fotocopie spillate con una serie di altri amici sganasciati, scambiandoci birrini, chiacchiere, cicchini scollati.
Faccio spesso mostre nelle toilette, e a volte sono vittima di censure e recentemente di rogo dei miei albi…il che è anche piuttosto strano, visto che in realtà faccio le cose della tenerezza e del bene.
La mia più grande aspirazione è riuscire a ridiventare, anche fisicamente, un piccolo bimbino, e farmi spupacchiare sul fasciatoio tutto il giorno, durante un’infinita sessione di cambio-pannolone.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Parlare di “percorso artistico” riferito a quel che faccio è davvero troppo generoso nei miei confronti e mi imbarazza un po’… Più di come ho iniziato un percorso artistico, direi come ho iniziato a fare una cosa, e cioè trasformare i miei disegni e fumetti in fanzines e portarle in giro allestendo banchetti accanto alle distro dei gruppi durante le serate e i concerti. Per uno come me che non suona, credo semplicemente fosse una maniera per sentirsi presente in ambienti nei quali tutti fanno cose e stringono amicizia organizzando i concerti assieme, dividendo il palco, facendo canzoni e parlando di musica. Era -ed è- la mia maniera di essere presente, di dare il mio apporto in una situazione che creiamo in collettività. Col tempo poi questa cosa ha assunto anche altri significati… tipo che fare i banchetti coi fumetti ti dà un punto di gravità per startene seduto da una parte a far qualcosa, tipo che è un po’ un modo di offrire un piglio alle persone per venir a scuriosare in quel che fai e attaccar bottone con te. Questo per quanto riguarda il “far banchetto”; per quanto riguarda i fumetti in se non saprei cosa dire: li ho davvero sempre fatti, e per questo è una cosa che percepisco più come una costante anzichè come un “percorso”. I tentativi di rendere periodiche le fanzine mi hanno dato una certa continuità nell’uso di alcuni personaggi, e questo con il tempo mi ha suggerito l’idea e il progetto di costruzione di una sorta di universo narrativo tutto mio… Ma è qualcosa che richiede un tempo immane (o un team di persone) e al momento attuale è ancora ai primi vagiti. Ovviamente la mia maniera di disegnare, ciò di cui parlo, e come ne parlo è cambiata e cambierà nel tempo, ma più che come un percorso evolutivo (anche se in realtà forse un pò lo è) lo percepisco come il susseguirsi di periodi di vita diversi, e quindi caratterizzati da pensieri, immaginari, gusti e suggestioni differenti.

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02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Per un lungo periodo ho preso come punto d’orgoglio il non leggere-esplorare niente, così da non farmi influenzare e da poter cercare nella mia autoreferenzialità gli spunti per quel che facevo (e questa è poi la ragione della mia scarsa cultura nei campi del fumetto, illustrazione, letteratura). Probabilmente questo sembra un pò un ragionamento snobistico o comunque anti-evolutivo, ma in realtà credo che sia stato piuttosto fruttifero per me.. sia a livello umano di -diciamo- esplorazione di se, sia a livello umano di evitare ansie da paragone che avrebbero di sicuro portato all’auto-boicottamento, sia -forse- nella costruzione di un’identità stilistica e/o tematica. Poi mi ha dato una certa libertà, anche di fare cagate: senza termini di paragone non ci sono modelli e non ci sono parametri per definire cosa fa schifo e cosa no, quel che fai va sempre bene. Comunque, a una certa, l’auto-referenzialità DEVE interrompersi, altrimenti diventa una gabbia: nell’ultimo anno sono diventato davvero avido di scoprire e studiare quel che sta venendo prodotto e pubblicato oggi, in ogni ambiente e di ogni genere.. un po’ tipo la fame dopo il digiuno, questo è un periodo in cui sto cercando proprio il contrario dell’auto-referenzialità: riempirmi il più possibile di tutto, per poi magari tra un pò chiudere di nuovo il rubinetto e vedere cosa mi esce a quel punto.
Ciò che mi appassiona più di tutto, e di cui da piccolo mi nutrivo ben più del pane, sono le cose da nerd, e nonostante poi io faccia cose molto distanti, secondo me questo si vede benissimo tra le righe: mi piacciono i supereroi e i loro mondi, i videogiochi, i cartoni animati, i film delle avventure e del fantasy…personaggio preferito batman e tutta la sua cricca, scrittore preferito Alan Moore: no seghe. Non mi piacciono le giapponesate, apparte giusto poche cose selezionate che, invece, adoro (Matsumoto più di ogni altro: mi ha insegnato ad amare-disegnare i teschi).
Di italiani per me sopra ogni cosa ci sono i disegni di BadTrip. Mi dicono spessissimo che parecchie cose che faccio ricordano Pazienza, di cui però ho letto pochissimo (anche se in un’occasione lo cito)… ma nell’adolescenza ho letto ossessivamente Bastogne di Brizzi, prima fino alla memoria come libro, e poi con trasognanza nella sua versione illustrata da Manfredi: sono sicuro che Pazienza mi è arrivato filtrato da quello.
Quel che leggo sempre con entusiasmo e attenzione, che a volte addirittura studio e di cui sono sempre felice di cercare e trovare le influenze nei miei lavori sono i fumetti e le fanzine dei miei compari di banchetto: primi fra tutti il Brucio, Fabio Monster, il Champa e la loro Lo-Fi Comics, poi i mostri e le città di Robo, Silvicius, più recentemente l’immaginario del Fabbri, Lafabbricadibraccia, il Pagliarulo. Sono tutti amici di cui mi piace il lavoro, e con cui spesso divido le serate, i banchetti e le sbronze, con cui ci scambiam consigli, pareri.. è normale che le maggiori influenze le prenda da loro.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?                                                            

Se di mestiere facessi l’artista ovviamente la mia aspirazione sarebbe quella di riuscire a vivere con la mia arte… ma mi sa che non sono un artista, e di sicuro non lo faccio di mestiere.
Anzichè come artista, ha più senso riferirsi a me come persona, e come persona la mia massima aspirazione è quella di essere una bella persona, magari di rappresentare qualcosa per qualcuno, di riuscire a dare un consiglio, uno spunto di riflessione, un sorriso al momento giusto con quello che dico o scrivo. Se è vero che ogni persona è una storia, io vorrei essere una bella storia. Vorrei essere una persona che amo, vorrei essere amato per la persona che sono. La mia massima aspirazione come persona che fa delle cose, poi, è il riconoscimento di un valore in quello che faccio… possibilmente in vita. In soldoni, aspetto con ansia di approdare su wikipedia.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

C’è il fatto che li ho fatti io a renderli miei. C’è il fatto che parlino di me, o di una parte di me, o di qualcosa che ho immaginato, o di qualcosa che mi sono divertito a fare. In generale non ci sono messaggi in cui mi riconosco mai totalmente; magari ci sono dei temi attorno ai quali esprimo dei pensieri, dei punti di vista, delle interpretazioni… che sono le mie opinabili verità! Può darsi che nelle maniere che ho di fare le cose si possano leggere dei messaggi, o si possa pensare da quel che scrivo che prenda delle posizioni o roba del genere… Ma sono letture, non è quello che faccio io. Il mio è un relativismo non totale ma molto dilagante… Il relativismo -relativamente alla mia concezione- è qualcosa di così immanente in tutto ciò che esiste da diventare espressione stessa dell’assoluto: posso esprimere le mie verità relative, ma non messaggi. Posso, soprattutto, dire minchiate divertendomi a far cose sceme, tipo inserire il maggior numero possibile di volte la stessa parola in un periodo di senso compiuto, per dire cose serie prendendo un po’ per il culo chi legge, tipo adesso.

10389449_273614826159198_7036947347853791027_n05. Che cosa vuol dire underground per te?
Ecco la domanda difficile, se non altro perché credo sia una parola il cui significato è cambiato parecchio nel tempo.
Underground è un termine che ha avuto un significato, una suggestione e una fascinazione molto forti per me, soprattutto quando ero più piccolo… ed era una parola molto selettiva: una di quelle etichette che servono per dividere le cose buone dalle cose cattive. Underground per me rappresentava tutto ciò che era… underground appunto! Quindi roba di nicchia, situazioni con una certa estetica, l’illegalità, il rifiuto del mondo… un certo tipo di chiusura snobistica anche, che si traduceva nella negazione di comunicazione con l’esterno. Per fare degli esempi scemi: non le rockoteche ma i posti occupati, non le discoteche ma le feste coi furgoni, non le riviste ma le fanzines, non la pubblicità e i social network ma il passaparola.. poi per fortuna tutto questo è cambiato e ho un po’ abbandonato queste divisioni dell’adolescenza.
Oggi underground è una di quelle parole strausate da chiunque e in ogni situazione -tipo “rock”, per dire- e questo le ha fatto perdere la sua identità, la sua funzione realmente categorizzante. Underground vuol dire un po’ tutto e un po’ niente, e alla fine va bene così: le etichette fanno male al mondo, e le identità sono qualcosa di molto in bilico tra l’essere un valore ed essere una gabbia. Dal canto mio, io ho imparato a tralasciare completamente ogni tipo di etichetta ed evitare di assegnare questo gran valore distintivo alle parole, così come ho imparato a non dar peso a questioni estetiche o di “categoria”, come i luoghi, gli immaginari, i colori, gli atteggiamenti… Ognuno possa definirsi o venir definito un po’ come gli pare o come pare agli altri: per me contano le persone, e alla fine con le persone le parole e le etichette sono sempre inutili.
Ci sono persone con cui passo volentieri il tempo e con cui faccio cose assieme con entusiasmo, e altre con cui preferisco non stare e di cui non apprezzo il lavoro: per me conta questo, e non ci sono termini validi per fare questa distinzione, è una cosa umana punto e basta. Lo stesso dicasi per gli ambienti: se in una situazione ci respiro aria buona, per me è un bel posto e ci rimango finché mi va, altrimenti vado altrove; mi piacciono i posti dove si può sentirsi liberi di fare, e non mi importa se si tratti di uno squat o una discoteca: esperienza insegna che anche questa è una questione umana, e ci sono centri sociali paramilitari dove devi chiedere il permesso per pisciare e locali dove puoi proporre e realizzare quel che vuoi come fosse casa tua.
Poi che a livello estetico mi piaccia di più un certo tipo di ambiente, un tipo di musica o un immaginario rispetto ad altri è un altro discorso… Si tratta di gusto personale e di cosa sento più mio e cosa meno. In definitiva a me interessano le persone: se mi sento a mio agio con loro, se hanno lo spirito giusto, si gli piace farsi le cose da soli e han voglia di sbattersi, se tutti ci sentiamo liberi di fare quel che ci pare -liberi anche di andare in paranoia o litigare senza catastrofi-, allora va bene. Definizioni e autodefinizioni, almeno per me, lasciano un po’ il tempo che trovano… Meglio conoscere, immergersi un po’, e scoprire se ci stai bene o no. Se proprio dovessi assegnare un significato specifico al termine “UNDERGROUND”, gli darei lo stesso significato indefinibile che Celentano assegnava alla parola “ROCK” nel suo programma… ma giusto per dire una cazzata sul finale di queste risposte, e perché Celentano è un gran figo ed è sempre bene ricordarlo.

 

|  The Factory  |  Francesco Cate  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

foto di Celeste Arzilla
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