pablito el drito Break the Wall

Pablito el Drito

Spingere la scena locale, incoraggiare la multidisciplinareità e includere le fasce sociali più deboli

Oggi abbiamo avuto l’opportunità di conversare con un artista cresciuto nella scena Underground milanese. Signori e signore, diamo un caloroso benvenuto a Pablito El Drito su #BtW.

Pablito El Drito “Low Tech Division” released in Creative Commons

Come di rito, vi lasciamo al botta e risposta con Pablito e alle sue riflessioni, che costituiscono dei validi spunti per questo nuvo episodio di Break the Wall e la nostra ricerca a livello Europeo.

Carissimo Pablito, benvenuto su Break the Wall! parlaci brevemente di te? Qual è il tuo percorso?

Sono un dj e musicista elettronico, ma anche uno scrittore. Sono nato a metà degli anni settanta, e avevo vent’anni quando è esplosa la musica elettronica. Dapprima l’ho considerata con sospetto, per poi abbracciarla, dapprima come dj, poi anche in un discorso live.

Quale musica elettronica ti rappresenta?

Mi piacciono moltissime cose. Dai pionieri (Kraftwerk, Moroder, Wendy Carlos) agli innovatori (Aphex Twin, Orb, KLF in primis), la musica wave elettronica (Borghesia, Clock DVA, Front Line Assembly).

Per quanto riguarda la techno, e i dj set che suono, amo la scena detroitiana e il suon electro, ma anche il suono di Roma e Francoforte. Mi piace anche la dance fatta bene (Prodigy, Propellerheads, Fatboy Slim, Daft Punk).

Difficilmente ascolto cose nuove, resto legato a un discorso anni ottanta-novanta-duemila, lo stagno in cui sono cresciuto e in cui sguazzo.

Quando è iniziato questo amore?

A vent’anni, quando facevo il fonico in uno spazio sociale. Selezionavo musica alla fine dei concerti e mi sono appassionato prima al dub elettronico, poi alla ambient house e infine alla techno. Al tempo mi appassionava anche molto il suono alla Leftfield.

Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

Nei club vado principalmente a lavorare o in occasione di incontri più culturali. Diciamo che rispetto al pubblico sono quasi sempre dall’altra parte della barricata, in consolle.

Ho una visione parziale, non da spettatore comune. Diciamo che preferisco la small room (magari posti da cento- duecento persone) che la big room (troppo dispersiva e che richiede troppi compromessi per essere riempita). Nei dj set amo fare cose lunghe anche 4-5 ore, in cui riesco a esprimermi al meglio.

Quali sono le principali criticità?

Le location negli anni sono diminuite di numero. Poi le principali sono in mano ad agenzie che monopolizzano l’offerta. I dj italiani della mia generazione lavorano e vivono quasi tutti all’estero per questo motivo. Non ci sono quasi più i resident, quando invece queste figure nel passato hanno dato carattere e connotazione alle scene.

Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

Variare la programmazione, spingendo anche le scene locali. Portare cultura, creando percorsi che siano anche multidisciplinari, che incrocino musica, danza, grafica, letteratura, video. Abbassare i prezzi che rendono i club inaccessibili alle fasce sociali più deboli. Creare percorsi di riduzione del danno.

Quali sono le sensazioni che caratterizzano “Low Tech Division” il tuo ultimo album?

È una raccolta di brani che ho suonato negli ultimi due anni in giro per l’Italia ma che, per una ragione o per l’altra non avevo pubblicato. È un lavoro scritto e suonato solo con un gameboy. Le tracce riprendono un certo tipo di suono a cavallo tra italo disco, electro, bass music e techno anche abbastanza dura.

Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live, magari nell’ambito del nuovo format che suona come un gioco di parole Club Cultura presenta “La Cultura del Club”

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Bio Info

After having organized concerts, set up stages and worked as a sound technician in the underground scene in Milan in the early nineties, I started being interested in electronic music as a dj first (since 1996) and then as a live setter (since 2003).

I worked in art galleries and festivals in Italy Germany and France: MiArt, Tacheles, Museo di Fotografia Contemporanea, 6b, le Cyclop, Fondazione Pistoletto, Milano Film Festival, Torino Synth Meeting, Teatro Out Off, MamBo, XNL, Attenzione Frequenze Anomale, By this river.

I published 7 LP: BIT BUBBLES, BACKROOM INDUSTRY, SMOGVILLE, LITTLE COMPUTER DISCO, NERDCORE, KLEPTOCRACY, LOW TECH DIVISION.

Lately I played with Cdatakill (US), V-Atak crew (FR), 8GB (AR), Hekate (UK), Otolab (IT), Bubblyfish (US), Anna Bolena (DE), B.S.K. (JP), Fire at work (IT), Drama Nui (DE), Zu (IT), Ovo (IT), Vessel (IT), D’Arcangelo (IT), Shitmat (UK),  Nemeton (US), Seppuku (US), Kleopatra J (UK), Luke Vibert (UK), Chistoph Fringeli (DE), Mat64 (IT), Aonami (JP), Freddy K (IT), Matt Green (UK), Dave Monolith (UK), Jiku55 (JP), DjBalli (IT), Francesco Zappalà (IT), Okapi (IT), Uochi toki (IT), Eell Shous (IT), Ben Pest (UK), The Squire Of Gothos (UK), NNNNNNNNNN (JP), Toriena (JP), Deda (ITA), DØGM (FR), Cymba (UK), Stu (CH) , Kodek (LI), Sour (IT), Boaconstructor (US), Dot.AY (AU). I’m founder of Rexistenz records (www.rexistenz.org). I write music reviews for MilanoX (www.milanox.eu) and Frequencies (www.frequencies.it). 


Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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    Break the Wall

    NicoNote

    Ridisegnare la Club Culture a partire dal suono e
    dalla dimensione dell’ascolto

    In attesa di un piccolo e piacevole rialzo delle temperature, abbiamo pensato di scaldarvi con la personalità di un’artista trasversale, abituata a muoversi fluida tra teatro e clubbing, in lungo e largo per il globo.

    Conosciamo uno spaccato di Club Culture oggi con le impressioni e le riflessioni di Nicoletta Magalotti in arte “NicoNote”. Una persona molto disponibile e gentile, “Riminese D.O.C.”. Un’anima nobile e visionaria che abbiamo avuto l’onore e la possibilità di intervistare per la nostra rubrica “Break The Wall” grazie al grande lavoro di DJ Darius.

    Dal 2019 insieme a Pierfrancesco Pacoda ha creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo “Tenera è la Notte”, una persona quindi che è dentro molte delle questioni che ci piacerebbe mettere in luce con #BtW.

    Copyright NicoNote, ph. Chiara Maretti

    Diamo un caloroso benvenuto a Nicoletta e lasciamo al piacere della scoperta lo sviluppo delle argomentazioni e delle idee che nascono da questo nuovo confronto per Break the Wall.

    Carissima NicoNote, benvenuta su Break the Wall, parlaci brevemente di te? Qual è il tuo percorso?

    Mi chiamo Nicoletta Magalotti (1962) sono italo/austriaca con base nella felliniana Rimini.

    Sono un’ artista trasversale, agisco nei territori di musica, teatro, clubbing, installazioni, performance dedicandomi alle mie produzioni artistiche e a curatele.

    Nel 1996 ho creato la sigla NicoNote.

    Telegraficamente, il mio percorso va dalla new wave italiana con i Violet Eves al teatro di Romeo Castellucci passando per il Morphine nel Cocoricò, tour musicali e teatrali in Europa, Canada, Israele, Argentina, Brasile con discografia dal 1985 fino ad oggi con Chaos Variation V (Rizosfera/RoughTrade) del 2019, progetto tra filosofia ed elettronica.

    Viaggio liquida in generi, formati e campi di applicazione anche distanti. Mi interessa assecondare la mia unicità, favorire l’ibridazione, connettere mondi che non si parlano, mettere insieme il fuoco e la neve, creare emozioni.

    Quale musica elettronica ti rappresenta?

    Fuggo da ogni definizione.

    Rispondo con i primi due artisti a cui ho pensato mentre leggevo la domanda (ma potrei citarne altri 100), uno è l’universo di Robert Ashley con Private Parts, che è un disco che mi porto dietro dalla adolescenza. Fields recording, minimale, sovrapposizioni ambient, noise, concettuale e poetronica, e l’altro è Sun Ra direi opera Omnia. Sono una fan irriducibile del suo immaginario sonoro, visionario, futuro remoto ancestrale galattico. Ecco i miei fari da molte decadi.

    Quando è iniziato questo amore?

    Entrambi amori sonici gravidi di ispirazione visionaria. Li ho “incontrati” entrambi nell’adolescenza. Capitai a un concerto di Alvin Curran e nel banchetto del mech trovai il cofanetto della Lovely Music. Label di New York , 4 dischi con tracce da Blue Gene Tyranny a Maggi Payne e Robert Ashley appunto.

    Folgorazione.

    Da lì in poi apprezzai moltissimo Brian Eno con Music for airport e The Plateaux for mirror con Harold Budd, poi Laurie Anderson, e poi sempre perché N. Y. venne la scoperta John Cage, Berio…

    NicoNote

    Invece Sun Ra, mi incuriosì perché vidi i manifesti di un suo concerto per strada, si esibiva a Ravenna… e per fortuna cercai di ascoltare i dischi di quella figura così particolare.

    Era il 1978 circa, la rete era ancora solo una fantasia distopica. I dischi costavano parecchio, inoltre non era facile trovarli, sopratutto se così particolari, andavano ordinati e comunque senza la certezza di riceverli in tempi brevi.

    Per fortuna c’era il mio amico Konrad Wallinger che aveva tutti i dischi dell’universo.

    Un universo per me assai prezioso. Trascorrevo l’estate in Austria, a Ebensee dove ora c’è un centro culturale il KINO luogo di cinema e concerti, fondato proprio dalla mia balotta , beh Kornrad mi face ascoltare tutto e di più. E a ruota dopo Robert Ashley e Sun Ra … arrivarono i Can, i Gong e lentamente arriviamo agli 80 ai concerti di Siouxsie, Tuxedomoon, Clock Dva, Suicide… e tanto altro.

    Fascinazione del suono elettronico e della ricerca jazz futurtronika e poi amore per i suoni no wawe, concept, noise.

    Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre? Quali sono le principali criticità?

    In questo momento in Riviera esistono episodi interessanti nell’area Ravennate con HanaBi e Bronson produzioni e anche con Club Adriatico. Ci sono anche alcune soirèè underground secret .

    Per quanto riguarda i locali mi sembra che ciò che esiste, sia legato a un pensiero stereotipato del club, non di ricerca dello spazio sonoro e della condivisione liquida.

    Criticità rimangono gli alti costi di gestione di eventi e strutture.

    Quindi la difficoltà di organizzare situazioni spontanee da un lato e dall’altro la necessità di agire in regola con le normative del lavoro, e della sicurezza.

    Ecco questo sarebbe un obiettivo importante da perseguire insieme all’ evoluzione artistica. Un settore il clubbing, la musica, lo spettacolo che è fonte di reddito per molti, ha anche un indotto interessante ma che non è regolamentato pienamente.

    Questo vuoto rischia di essere una arma a doppio taglio, soprattutto in momenti di crisi sistemica come questo.

    Personalmente rispetto al Clubbing oggi mi interessa osservare “da fuori” ed eventualmente fruirne o interagire come artista.

    Copyright DOC Live, NicoNote

    Nel 2019 insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda abbiamo creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo Tenera è la Notte dedicato a Dino D’Arcangelo e alla rubrica che teneva su La Repubblica, forse il primo giornalista ad occuparsi di clubbing in forma strutturata su un giornale mainstream.

    A lui è intitolato anche il Premio Dino D’Arcangelo, alla sua seconda edizione, la cui giuria è composta da Ernesto Assante (La Repubblica), Francesco Costantini (La Gazzetta del Mezzogiorno), Simona Faraone (Dj/producer), Nicoletta Magalotti (musicista), Pierfrancesco Pacoda (giornalista), Principe Maurice (performer), Pierluigi Pierucci (imprenditore), Claudio Coccoluto (dj), Damir Ivic (giornalista).

    In marzo 2020 è uscito un libro curato da me e Pierfrancesco Pacoda che raccoglie articoli di Dino D’Arcangelo – lo presenteremo ufficialmente a Milano durante la MMW a novembre 2020.

    Si tratta di una raccolta di articoli scritti da Dino d’Arcangelo per il quotidiano La Repubblica e per il supplemento Musica.

    Reportage, recensioni, presentazioni di avvenimenti che hanno raccontato per la prima volta il risvolto culturale dell’universo dei club italiani su un giornale non specializzato. Dalla scena rave romana alle discoteche della riviera romagnola, dai dj superstar ai remix underground: nel libro si avvicendano i protagonisti di quella ribellione sonora (e non soltanto) che solo molti anni dopo sarebbe diventata fenomeno di consumo.

    Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture? E quali sono i pro (e i contro)?

    In questo momento di sospensione è proprio il momento di ridiseganre e riformulare nuove possibilità direi proprio a partire dal suono e
    dalla dimensione dell’ascolto come esperienza personale e multisensoriale.

    Mi interessano le vie di fuga, le propoagazioni che la club culture ha prodotto.

    Le installazioni, le performance, ripensare agli spazi. Il suono ci può trasportare in un universo ibrido in cui l’immaginazione trova connivenze ed espansioni, l’ascolto, nello spazio condiviso, nello spazio solitario. Si può danzare nella mente. Si può danzare sul posto. Non servono (non ci sono!) grandi spazi, eppure il suono apre a spazi infiniti. il mondo del club sta cambiando e si sta domandando verso cosa, e dove.

    Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

    Oggi è evidente l’estrema facilità con cui poter produrre distribuire e creare, sia con l’utilizzo di software e programmi, e spargere in rete
    soprattutto per chi fa generi come me non commerciali.

    Anche dal vivo, a parte il momento covid, il ventaglio delle strutture che ospitano è molto vasta. Una maggiore attenzione e ascolti per tutti. Anche con mezzi minimi. Il comparto si e evoluto per certi versi.

    Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

    Chaos variation, un Ep che ho realizzato su invito del collettivo Obsolete Capitalism e degli editori deleuziani Rizosfera di Reggio Emilia,
    già cospiratori e autori del Maffia club. Un progetto di sperimentazione totale. Sono moltoo soddisfatta.

    Il progetto è avvincente, e anche il dialogo con gli editori Rizosfera, collettivo assolutamente fuori dai sistemi del mercato ma con produzioni dalla qualità altissima, distribuiti da Rough Trade a Londra. Con Rizosfera continuiamo la collaborazione e a breve annuncerò Limbo Session – 1 , un album, una creazione improvvisativa in cui ho invitato a cocreare con me il producer Wang Inc. . Uscirà a fine 2020 inizio 2021.

    Il progetto artistico Chaos Variations appartiene alla «Trilogia del Caos» che Obsolete Capitalism propone a partire dall’album-libro Chaossive natura (2017) come prima stazione intensiva. Mi è stato chiesto di creare una VARIAZIONE , non un remix, a partire dagli elementi , dagli stems di due brani a mia. scelta. Molto intrigante.

    Condivido con voi le mie note di lavoro su questo EP:

    Side A – Axtral Requiem – Variazione da titolo di partenza: Afro Abstractions/Xamaycan Funeral March.

    Per Axtral Requiem ho lavorato sul frammento e l’accumulazione, casualità, sovrapposizione, accelerazione. Una Temporary Autonomous Zone in cui l’ascolto è esperienza transitiva, cambia e mi cambia a seconda del momento e del soggetto.

    Il brano è stato trattato come un paesaggio sonoro con veri e propri frames/quadri che si trasformano lentamente, o per cut, e si stabilizzano, evolvono, vivono.

    Ogni quadro vive di vita propria, evoca mondi differenti anche molto distanti uno dall’altro. Eppure parte di un unicum, parte dello stesso racconto.

    La voce è stata sintetizzata, processata, trattata. Il testo affiora, è un disegno vocale “nascosto” emerge lentamente da un presagio atavico, ancestrale, oscuro, noise.

    Mondo siderale e vulcanico, dalle viscere della terra o da un altrove lontanissimo, cupo, minimale. Ed ecco un Requiem, come inno a chiusura di un ciclo vitale. Contemporaneo ma con una astrazione tribale, dark scura. Una premonizione voodoo. Magia tribale e sintetica insieme, di provenienza dall’emisfero Australe, non meglio identificato. La Voce/ VOCI evocata/EVOCATE. Uno dei tanti elementi del paesaggio, la voce/parola emerge poi scompare, poi si duplica e come sample all’infinito replicata si confonde e diventa altro.

    Polarizzazione Poliritmica/Riesposizione vocale/ Poliritmie post techno influenze/Sound Poetry/Voice accumulation/Post Miles/

    Side B – Paysage mélodique avec Artaud Match vocale su una VARIAZIONE incrociata tra Deleuze/Bussotti /Artaud

    Per Paysage mélodique avec Artaud ho disegnato una scrittura vocale e una drammaturgia lavorando in sottrazione a partire da vari elementi: da un Paesaggio Sonoro che mi è stato affidato da Obsolete Capitalism, dalla partitura di Bussotti Five Piano Pieces for David Tudor 4, da Mille Plateaux di Deleuze e Guattari, e dal testo di Artaud Position de la Chair, che Bussotti riporta in esergo alla sua partitura.

    Un percorso drammaturgico a partire da una libera lettura degli elementi, ponendo uno spazio di osservazione e una distanza prospettica dai tre giganti Deleuze/Bussotti/Artaud, dalla loro inevitabile presenza, lavorando con un profondo rispetto eppure tenendoli lontani, astraendo la loro portata.

    Dando per scontato la loro forza/presenza, eppure non sottolineandola, ho cercato una chiave d’accesso e di attraversamento, con l’analisi, lo studio, l’ascolto, la traslazione degli elementi.

    Tutto ciò mi ha portata a focalizzare il mio nucleo drammaturgico, e la chiave è emersa.

    In essenza: Spazio/Voce in attesa e in fuga. Low-Fi. Noise. Una voce/parola in attesa e che fugge, una voce in fuga, chiave per il ritmo drammatico e per la mia rilettura e ricomposizione vocale. Ho lavorato sul frammento, sulla ripetizione, sull’evocazione, sulla scrittura vocale e scrittura del testo e infine ricomposizione melodica attraverso varie linee di astrazione e applicazione: la Chair, la Carne, è una esperienza, uno spazio. Uno spazio tra le Parole. Un’attesa, una sospensione. Una Fuga. Una voce che fugge. Voce che evoca spazio. Una voce che evoca voci. Voci differenti nello spazio sospeso.

    Voce processata, artificiale ma con assoluto equilibrio e rigore, sporca ma definita.

    Attenzione al ritmo e al silenzio della voce. Solo l’essenziale. Lavoro in sottrazione. Sottrazione di presenza. Low-fi. Noise. Astratta. Evocata. Non definita. Sprechgesang/Extended Vocal Techniques/Sound Poetry/Free Jazz Improvisation/Folk/Spoken/Contemporary Vocal Influence/Voice accumulation/Noise.

    Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live, magari nell’ambito del nuovo format che suona come un gioco di parole Club Cultura presenta “La Cultura del Club”

    Links

    Dj Set

    Djdmac interview

    Speciale Romeo Castellucci

    Bandcamp

    Soundwall intervista

    Notte Italiana

    Limbo Session Niconote ft White Raven

    Chaos Variation EP

    AXTRAL REQUIEM


    NicoNote Bio Info

    NicoNote è una voce, un universo. Progetto e alias artistico creato nel 1996 da Nicoletta Magalotti (1962) Italiana-austriaca con base nella felliniana Rimini; cantante, compositrice, performer, artista trasversale e non definibile, ha sviluppato una cifra unica nella sonorità e nei formati.

    Agisce in territori molteplici legati alla musica, al teatro, alle installazioni, al clubbing. Ha all’attivo dal 1985 ad oggi una intrigante discografia e tour musicali e teatrali  in Italia e tutta Europa, Canada, Argentina, Brasile.

    Gli anni 80
    • A metà degli anni 80 è stata la voce della band Violet Eves, protagonista della new wave italiana con l’etichetta indipendente IRA records di Firenze, insieme a Litfiba, Diaframma, Moda, Underground Life.
    • Negli anni 90 insieme al dj David Love Calò cura un privèe/installazione (all’interno della roboante disco Cocoricò) il Morphine, luogo di radicali sperimentazioni musicali e performative.
    • Nel suo particolare percorso trasversale è stata diretta più volte da registi quali Romeo Castellucci / Socìetas Raffaello Sanzio, Francesco Micheli, Patricia Allio, Maurizio Fiume, Fabrizio Arcuri e altri,  ha collaborato con musicisti di estrazione molto diverse, da Patrizio Fariselli degli Area a Mauro Pagani, dai producer house Mas Collective a Teresa De Sio, da Dj Rocca a Piero Pelù e Andrea Chimenti a Ghigo Renzulli, da Roberto Bartoli (Tommaso Lama, Steve Grossman) a Stefano Pilia (In Zaire, Afterhours) da Bartolomeo Sailer  (Wang Inc.) a Luca Bergia (Marlene Kuntz) e Davide Arneodo (Perdurabo, Marlene Kuntz), da Enrico Gabrielli (Calibro 35, PJ Harvey)  a Elisabeth Harnik (Joëlle Léandre, John Butcher) e altri.
    • Dal 1985 ad oggi ha prodotto e licenziato dischi con vari pseudonimi Violet Eves, Nicoletta Magalotti, AND, Dippy Site e svariati Featurings.
    Oggi…
    • A firma NicoNote gli album Alphabe Dream (Cinedelic 2013) prodotto con il compositore francese Mikael Plunian,  Emotional Cabaret  (DocLive 2017) prodotto insieme a Dani Marzi e Alfredo Nuti  e  Deja V. (Mat Factory 2018) un album “segreto”  interamente dedicato a riletture dei Violet Eves. In uscita a giugno 2019 una nuova release NicoNote & Obsolete Capitalism Sound System dal titolo Chaos Variation V (Rizosfera, Rough Trade).
    • Nel maggio 2019 insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda ha creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo Tenera è la Notte / Premio Dino D’Arcangelo. Conduce regolarmente masterclass di studio sulla Voce, in Italia e all’estero, recentemente insieme alla cantante Monica Benvenuti ha dato vita al progetto di formazione sulla vocalità contemporanea “Voci Possibili”  in collaborazione con Tempo Reale, Firenze.

    NicoNote si muove liquida in generi sonori e formati anche distanti, combina il canto con la dimensione performativa, l’improvvisazione radicale con il pop, creando un clima unico, un teatro vocale immateriale. www.niconote.net


    Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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      Giosuè Impellizzeri Break the Wall

      Giosuè Impellizzeri

      Nessun spazio all’improvvisazione, ma più lavoro di squadra e scambio di competenze per scrivere una nuova pagina.

      Possiamo davvero – tutti insieme – pensare di scrivere una nuova pagina per la Club Culture nel nostro paese. Anche se non esiste una ricetta specifica da cui partire, abbiamo dalla nostra le conoscenze e l’esperienza di diverse persone dotate di grande spessore umano, artistico e culturale.

      Giosuè Impellizzeri è sicuramente tra queste. Per gli artisti o i lavoratori culturali figure come quella di Giosuè rappresentano delle guide fondamentali, così come per gli appassionati che cercano nutrimento costante per placare l’insaziabile sete di conoscenza. Prendendo in prestito due versi a me cari di Eugenio Montale, il suo “scrivere” è come il “mastice che tiene insieme questi quattro sassi“. Uno di quelli che ha attraversato due decadi di storia musicale scrivendo tantissimo su riviste cartacee specializzate e svariate webzine. Ma non solo, ha prodotto musica su etichette italiane e internazionali, ha curato festival e realizzato una serie di set mixati per vari network radiofonici.

      Suo il libro Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book su una delle figure chiavi per la Club Culture, Dj Hell, uscito per CRAC Edizioni, così come altri lavori sulla musica elettronica raccolti nella collana Decadance e realizzati assieme a Luca Giampetruzzi.

      Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book

      È un grande onore per noi poterci confrontare con lui tra queste pagine e attraverso le diverse domande di #BtW giungere assieme ad una nuova consapevolezza, muovendo un ulteriore passo avanti nel tentativo di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! (qui il precedente numero).

      Chi sei?

      Mi occupo di musica elettronica e DJ culture da oltre vent’anni. Nel 1996 ho iniziato a scrivere con una vecchia Olivetti le prime recensioni che inviavo speranzosamente via fax alle redazioni di vari giornali. Nel corso del tempo mi sono dedicato anche alla composizione, alla radio, alla discografia e alla scrittura di libri, con una particolare predilezione per l’archivistica e le storicizzazioni, probabilmente derivata dagli studi universitari. In sostanza mi considero un appassionato desideroso di approfondire le conoscenze, in modo quasi scientifico, sulle cose per cui nutro interesse tra cui, ovviamente, la musica.

      Quale musica elettronica ti rappresenta?

      Difficile dirlo, è come chiedermi di estrarre dalla collezione il disco preferito. Essere nemico della monotematicità inoltre non mi aiuta a dare una risposta secca. Direi comunque da “Autobahn” dei Kraftwerk in giù, considerando il gruppo tedesco tra i principali “motori” di gran parte di ciò che è avvenuto all’elettronica dopo essersi smarcata dalla posizione più strettamente accademica delle decadi precedenti.

      Kraftwerk – We are the Robots
      Quando è iniziato questo amore?

      Credo intorno al 1988, ma inconsapevolmente. A livello intenzionale invece indicherei il 1992, quando iniziai a comprare dischi (usati) per cimentarmi in mixaggi domestici. Raccattavo, per poche migliaia di lire, materiale di scarto di altri aspiranti DJ del mio paese, ben felici di sbarazzarsi di dischi che non avrebbero più potuto usare durante le feste casalinghe che si organizzavano negli anni delle scuole medie. Tra quelli trovai “Move Your Feet To The Rhythm Of The Beat” del compianto Hithouse, uscito nel 1989.

      Lo ascoltavo decine di volte cercando di capire come si potesse “assemblare” una musica simile che mettevo agli antipodi di ciò che invece stavo apprendendo studiando il pianoforte, sin dal 1986. Un effetto ancora più dirompente lo provai attraverso la copertina di quel disco che, in una sorta di maxi tavola fumettistica, lasciava scorgere l’interno di uno studio di registrazione allestito in casa. Quelle “diavolerie” piene di pulsanti, leve e cursori alimentarono la mia curiosità per un mondo arcano e letteralmente tutto da scoprire.

      Cosa ne pensi della cultura in Italia legata alla musica e in particolare alla scena che segui?

      Dipende da cosa si intende per “cultura”. È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled? Identificare l’anno di uscita di un disco con un occhio fisso su Discogs? Fare un sunto o un copiaincolla di un capoverso di Wikipedia per descrivere un artista o un particolare periodo stilistico? Può forse ritenersi un divulgatore culturale chi scopiazza, per giunta male, libri ed articoli o realizza interviste compiacenti a personaggi famosi di turno col fine di accattivarsene le simpatie? Eppure c’è più di qualcuno, includendo persino chi si considera un appassionato, che di fronte a tutto ciò si mostra entusiasta, perché evidentemente considera “culturali” questo tipo di contenuti.

      “È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled?”

      Personalmente ritengo che la cultura musicale affondi le radici nella ricerca (autentica, non derivata dall’incrocio di una manciata di clic su Google), nella conoscenza (che per fortuna non è downloadabile ma frutto di esperienza accumulata in anni) e nell’imparzialità e capacità di analizzare criticamente anche più scenari stilistici senza spocchiose contrapposizioni da sterili battaglie ideologiche. La cultura musicale, per me, resta tale a prescindere dal campo di applicazione, che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza.

      “..che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza”

      A malincuore però giungo all’amara conclusione che la deculturalizzazione abbia avuto la meglio in Italia, ma con uno “storico” come il nostro era utopico sperare nel contrario. Nei decenni passati i media tradizionali (stampa, radio e tv) non hanno di certo aiutato, tolte poche eccezioni, a far emergere aspetti culturali legati al nightclubbing e alla musica correlata, puntando piuttosto a lucrare nel momento propizio per poi abbandonare il “giocattolo” una volta rotto e riprenderlo quando faceva più comodo. In assenza di un modello genuinamente ed autenticamente culturale che fungesse da traino, nell’immaginario collettivo si è insinuata una lunga serie di luoghi comuni che sarà arduo, o forse impossibile, estirpare.

      “il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza.”

      Dalla house intesa come stile messo in piedi da non musicisti incapaci e costretti a ripiegare su campionamenti di brani altrui, alla techno, ossessionante martellio privo di senso, dalla discoteca, girone infernale e teatro di dissolutezza, ai DJ, più vicini ad un hobby dopolavorista che ad una professione vera e propria. Paradossalmente il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza. In un quadro simile di cultura ne vedo davvero poca e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, appare evidente che il campo sia stato seminato male o per niente.

      Quali sono le principali criticità?

      La musica in Italia è marginalmente considerata una forma culturale, figurarsi quella elettronica e prevalentemente utilizzata nelle discoteche. È un settore scarsamente riconosciuto anche dalle istituzioni, come del resto avviene a tutte quelle attività creativo/artistiche o intellettuali. È quindi facile intuire la ragione per cui sia così diffuso un pressappochismo allarmante e disarmante. Che dire poi di quegli addetti ai lavori (o presunti tali) che continuano ad alimentare plateali inesattezze o incongruenze storiche con nozionismo spicciolo? E i tanti magazine completamente disinteressati a finalità educative, didattiche e formative? Si può pensare di combattere l’ignoranza ed essere presi sul serio pubblicando un articolo che descrive la Love Parade come «evento organizzato per festeggiare la caduta del Muro di Berlino»?

      L’Arte, così come il lavoro culturale di chi fa musica, la suona oppure la mixa sono considerati aspetti marginali in Italia; scarsamente riconosciuti dalle istituzioni emerge il bisogno di scrivere e di parlarne.

      Persino in discoteca le cose sembrano complicarsi perché pare essersi sensibilmente assottigliato il numero di locali in cui poter avanzare proposte diverse dalla prevedibilità del mainstream, e ciò è avvenuto perché molti art director hanno smarrito la progettualità ma soprattutto la visione di un intrattenimento “illuminato”, lasciandosi conquistare da obiettivi economicamente più vantaggiosi.

      Nel frattempo la club culture, un tempo vista di traverso dai benpensanti e conservatori, è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa. La club music si è quindi affrancata ed emancipata uscendo dal circolo esclusivo delle discoteche mentre una parte di DJ non viene più annessa ai personaggi di serie b anzi, recentemente alcuni particolarmente noti, strapagati e brandizzati sono stati definiti le “rock star del nuovo millennio”.

      “La club culture è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa.”

      Per certi versi però il “Dio DJ” che profetizzarono i Faithless nel 1998 è finito col diventare una parodia di ciò che era in origine. Consacrarsi a livello generalista ha voluto dire rinunciare all’autenticità perché, è bene rammentarlo, il divismo da stadio e il DJing non avevano molti punti in comune. Come scrissi già nel 2016, avremmo potuto parlare di rivoluzione se il DJing avesse scardinato la spettacolarizzazione delle rock band ma sembra invece che ne abbia semplicemente preso il posto.

      Quella che molti indicano trionfalmente come rivoluzione insomma, assomiglia più ad uno scambio di ruoli che ha acuito ulteriormente il livello di criticità culturale. Che fine farà il disc jockey quando la grande industria dell’intrattenimento, che ora lo ha eletto come archetipo del trascinatore di folle, si stancherà e sarà in cerca di una nuova figura da mitizzare? L’idolo di milioni di giovani rischierà di essere declassato a banale pigiatasti mandando in fumo la credibilità di quella che nacque come virtuosa espressione artistica?

      Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale stato delle cose e scrivere una nuova pagina?

      A dispetto del distanziamento sociale imposto dalla pandemia che viviamo da qualche mese, credo sarebbe fruttuoso l’assembramento (non fisico ovviamente!) ossia fare squadra e sistema allineando chi è mosso dagli stessi intenti e soprattutto dalla medesima passione, perché in Italia esiste eccome uno zoccolo duro di autentici appassionati preparatissimi in materia, sebbene spesso sottovalutati e sottostimati.

      La speranza non manca, serve coordinamento ed esperienza per scrivere una nuova pagina!

      Questa prospettiva però, pur auspicata da tempo immemore, continua a non trovare facile applicazione nel nostro Paese dove si preferisce coltivare il proprio orticello e non dividerlo con altri per creare realtà più solide. Il resto lo fa (purtroppo) l’invidia, che mi pare un male particolarmente radicato nel settore, ed una competizione malsana che mira a soddisfare solo interessi e tornaconti personali.

      Quali sono i pro (e i contro) delle eventuali operazioni da fare per migliorare la situazione?

      Mi piace vedere solo i pro dietro un propositivo lavoro di squadra. Unire le forze, mettendo quindi a disposizione del team le proprie competenze, potrebbe equivalere a perfezionare ogni aspetto dell’operato. Poi lo scambio vicendevole di opinioni è costruttivo, un sano confronto aiuta a maturare e a superare i propri limiti.

      Quali sono gli aspetti positivi del lavorare nell’ambito della musica al giorno d’oggi?

      Anche in questo caso dipende dall’approccio che si riserva alla musica e al mondo che gravita intorno ad essa. C’è chi cerca successo e popolarità, chi donne, chi denaro, chi appagamento per sfamare il proprio ego. Io nulla di tutto ciò ma di aspetti positivi ne potrei elencare tanti come il rapportarsi con persone provenienti da ogni parte del globo, allargare i propri orizzonti ma soprattutto scoprire senza sosta cose nuove. Ad alimentare da sempre la mia attenzione e il mio interesse per ciò che faccio è esattamente il piacere per la scoperta e la musica, come tutte le espressioni artistiche, resta una fonte inesauribile di meravigliose scoperte.


      Links:

      Decadance il blog realizzato dallo stesso Giosuè.

      “Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book” e recensione del libro su ondarock

      Pagine Autore di Giosuè su DJMAGITALIA, Soundwall


      Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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        Break the Wall

        Direct Y & Nodezero Electronics

        La Musica al Centro, e in particolare l’Electro

        Intervista all’artista e produttore romano Direct Y 

        Oggi ci sposteremo nella musica della Capitale per Break the Wall. Si, avete capito bene, quella Roma della “rave generation” e parleremo di Underground: quello fatto di spazi sociali e di energie positive in cerca di una collocazione “stabile” sul territorio; di Club Culture e di aggregazione. attorno alla musica.

        Oggi esploreremo l’Electro con la “E” maiuscola. Non si tratta di una moda effimera, ma piuttosto di una perpetua parte di un percorso musicale che ha abbattuto le regole del tempo.

        Si avete capito bene! Oggi parleremo di produzione musicale indipendente.

        Lo faremo con un artista davvero interessante e poliedrico, passando attraverso la sua “spaziale” label.

        Oggi vi presentiamo con molto piacere, Fabrizio Rega aka Direct Y che assieme al socio Ivan Zanon (AHK) ha fondato da anni quella splendida realtà musicale che si chiama Nodezero Electronics e nella quale possiamo ridefinire il suo Electro made in Roma.

        Direct Y - Musica
        Nodezero official Logo

        Se vi va di perdervi tra le loro produzioni, vi assicuriamo che ne rimarrete colpiti. Troverete dei suoni “nuovi” ed energici accompagnati a delle ritmiche coinvolgenti e con quel pizzico di oscurità che ti lasciano semplicemente a bocca aperta. Prima di continuare, vi consigliamo di prendere un po’ di tempo. Alzate il volume. Se vi siete persi il precedente numero di #BtW, oppure è la prima volta che vi trovate qui, questa è una rubrica di UNDER-BLOG che vuole portare nuova conoscenza nella Cultura Club, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervengono.

        Un vero e proprio percorso di ricerca nella speranza di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! Buon Viaggio!

        Chi sei?

        Mi chiamo Fabrizio, sono di Roma, faccio musica elettronica con lo pseudonimo Direct Y e sono un papà.

        Quale musica elettronica ti rappresenta?

        L’Electro.

        Quando è iniziato questo amore?

        Vengo da un quartiere (Ostia Lido) dove nei primi 2000 la mia generazione aveva già un’eredità elettronica che veniva direttamente dal territorio.

        Ad Ostia esisteva una realtà chiamata Spaziokamino (SPZK), che negli anni 90 è stato parte di un movimento culturale “rave”, poi sgomberato nel 2001. Da questa esperienze le energie e i giovani attivi della zona furono dislocate su diverse realtà e posti che non citerò.

        Personalmente ho contribuito con degli amici all’organizzazione di party fatti con energie totalmente locali e senza guests, a meno di qualcuno che aveva più esperienza degli altri. Il contesto prevedeva l’interazione con l’audio, la console, l’acid techno e una non semplicissima gestione di situazioni sociali che includevano il consumo di sostanze stupefacenti.

        “Energie locali, senza guests, e con la musica al centro”

        In quel periodo facevo musica con un collettivo chiamato AudioResistance che già da diversi anni faceva uscite e compilation rivendicando un modello do it yourself e no copyright. Eravamo discretamente attivi sia nella produzione che nell’ascolto di materiale e ci sono ancora testimonianze del lavoro di quegli anni. Anche se non c’era un riferimento ad una vera e propria produzione discografica, molti artisti che parteciparono al progetto erano validissimi e sono tutt’ora attivi.

        Successivamente a quell’esperienza nel 2010 ho creato il collettivo Nodezero che è poi divenuto la label “Nodezero Electronics” portata avanti da me e il mio socio Ivan (AHK) incentrata sullo stile Electro, che ormai era divenuto per me un riferimento che mi permetteva di spaziare tra viaggi cosmici e break più orientati al dancefloor.

        Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

        Roma è una grande città e inevitabilmente ci sono diversi club che fanno musica e proposte interessanti, ma è un sistema fatto di piccole organizzazioni, guests e tanto capitalismo.

        Credo che in tutti questi anni non sia stato raggiunto un obiettivo a parer mio fondamentale: quello di alimentare le scene musicali del territorio. La mia città è un grande contenitore di energie e di tanti artisti che non hanno nulla da invidiare a nomi affermati del settore, ma ci sono poche valvole di sfogo, il confronto con la maggior parte dei proprietari dei locali si fa con i numeri e si rischia di incappare in pericolose avventure con alte possibilità di fallimento economico.

        “Bisognerebbe alimentare le scene musicali del territorio”

        La chiave potrebbe essere proprio la lungimiranza dei proprietari e dei gestori di club, chi di questi ha un background specifico ed è spinto dalla passione e dall’amore per quello che sta facendo, ha in mano un’arma potentissima. Bisogna metterci dentro la Culture, altrimenti è solo un Club, per quanto confortevole esso sia.

        Quali sono le principali criticità?

        Forse le ho appena descritte.

        Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

        Non credo di avere la soluzione in tasca, probabilmente si tratta di investire cercando di far parte di un network incentrato sulla musica e costituito da produttori, dj, etichette, studi, tecnici, negozi di dischi, uffici stampa, club e distribuzioni, che si supportano a vicenda e mirano a creare solidi rapporti, spinti da un’energia di base: la musica, che dovrebbe essere sempre al centro della narrazione.

        E quali sono i pro (e i contro)?

        Domanda di riserva?

        Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

        Fare musica, come le altre forme d’arte, ci permette di distrarci per un po’ dall’implacabile ritmo della nostra società globalizzata, di prenderne dei pezzi, rielaborarli e “talvolta” rivomitarli con eleganza ed ispirazione.

        Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

        Sono molto positivo (nonostante mentre sto scrivendo le risposte a queste domande mi trovi in isolamento per lockdown covid-19) e nell’ultimo periodo ho collaborato con diverse persone, artisti che sono poi divenuti degli amici. La mia etichetta, Nodezero Electronics, ha diverse uscite su cui lavorare ed è in corso di preparazione “Spin Sonic Division 3”, compilation annuale che rappresenta a pieno la rete che siamo riusciti a costruire partendo proprio dal territorio, che come di consueto conterrà un mio pezzo. Consiglio vivamente di ascoltare la precedente, “Spin Sonic Division 2” a volume sostenuto.


        Links:

        Direct Y – Facebook

        Nodezero – Bandcamp

        Soundcloud

        Facebook

        Direct Y – The Electric Sheep – intervista su The Formant

        Direct Y - Musica
        Direct Y, The Electric Sheep
        BIO (EN – written by Mischa Mathys)

        Direct Y, aka Fabrizio Rega, has forged a unique musical sound from the Electro language of machines. It’s a language the artist knows intricately, translating it for the dystopian club land of Italy through tech-hybrid tracks that range from Electro to four to the floor Techno. Making his initial mark in 2006 with the aptly titled Human Vs Computer, Direct Y cemented the ideas behind his music within the bowels of the no-copyright project, Audioresistance.

        It was through this project where his abstract view of the dance floor was first established, taking its cues from the underground rave scene of Rome and classic science fiction novels. Nodezero followed in 2008 and alongside AHK, Direct Y has been using the outlet to deliver the subterranean sounds of Europe’s nightlife to the world including that of the collective’s two remaining members.

        The project, re-launched in 2012 as the independent label Nodezero Electronics, has been a nurturing environment for both AHK and Direct Y, allowing the latter the freedom to mature and develop his artistry since 2012, and leading to the seminal EP, Electric Sheep.

        Direct Y continues to be a staple in Rome’s underground electronic scene while his work persistently finds new avenues of exploration in the realm of the electronic beat, decoding the language of machines.


        Edited by Daniele V.

        One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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          Presentazione Mondo Techno di Andrea Benedetti, presso SanAntonio42 (Pisa) Factory Asks

          Andrea Benedetti

          La ricerca invisibile ma necessaria come l’acqua

          Grazie alla presentazione a Pisa presso Sanatonio42 del suo ultimo libro – Mondo Techno – intervistiamo per Factory Asks un importante ricercatore musicale e Dj Italiano, Andrea Benedetti. Andrea – nato a Roma – è uno di quei pionieri della cultura e musica underground nel nostro paese. Il suo è uno “state of mind” piuttosto che un genere preciso, una forma espressiva o un determinata “scena”. Il suo libro “Mondo Techno” è una pietra miliare per chi cerca di orientarsi sulla genesi e sviluppo del fenomeno Techno nel mondo.

          Per chi vuole approfondire la storia di Andrea e di “Mondo Techno”, consigliamo questo articolo di Damir Ivic su SoundWall. Mentre riportiamo di seguito l’intervista che Andrea ci ha rilasciato per Factory Asks.

          Come hai intrapreso questo percorso artistico?

          A distanza di tanto tempo, posso dire che l’ho fatto per colmare un buco affettivo e per esprimere quello che non riuscivo ad esprimere a parole. La musica era l’espressione del mio inconscio e credo lo sia ancora.

          A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

          Hanno due visioni: una interiore e cioè l’espressione di ciò che provo in quel determinato momento e una rivolta verso il futuro cercando di esprimere il massimo rapporto fra umanità e tecnologia.

          In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

          Cercare di trasmettere le emozioni che provo tramite la musica e condividerle con altri.

          Per un ricercatore musicale profondo ed eclettico come te, c’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

          A volte sono molto introverso e malinconico, mentre a volte sono molto carico e con voglia di fare festa. Da qui il mio amore per l’ambient e per le atmosfere rarefatte ed ipnotiche d allo stesso tempo per il funk, i bassi, la dinamica, il ritmo puro. Per cui è difficile trovare un minimo comune denominatore. Forse direi una voglia di non equilibrio per bilanciare quello mio caratteriale che invece è piuttosto tranquillo apparentemente.

          Che cosa vuol dire underground per te?
          Mondo Techno

          Oggi come oggi poco perché è tutto talmente frastagliato che magari un’artista che ha un contratto con una major vende meno di uno di un’etichetta apparentemente più piccola. E poi ormai il successo non si determina più in copie fisiche vendute, ma nella capacità di sfondare il muro delle molteplici uscite quotidiane per cui magari una come Sophie, che è fondamentalmente underground alla fine è molto conosciuta anche in ambito pop. Credo sia invece importante mettere in risalto la parola ‘libertà’ e cioè la capacità di essere sempre te stesso in qualsiasi ambiente produttivo ti muovi.

          Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

          Fare gruppo e formare delle squadre di lavoro in cui ci siano persone preparate sia nel campo della produzione musicale che del marketing. Saper comunicare oggi è importante tanto quanto produrre bene. E non detto che si debba comunicare in modo becero per forza, come non è detto che si debba produrre in modo becero per forza. Bisogna essere originali e creativi in entrambi i campi e lavorare assieme per uno scopo comune.

          Credi che possiamo rivivere in qualche maniera l’onda che descrivi benissimo nel tuo libro “Mondo Techno” che ha caratterizzato il finire degli anni 80?

          Non lo so. Quel periodo era legato allo stupore delle nuove tecnologie ed a musiche assolutamente innovative come electro, house e techno. Oggi c’è molta delusione ed amarezza in giro per il tradimento di quella possibile rivoluzione oppure c’è rassegnazione ed abbandono al flusso che ci circonda, ma bisogna invece sapere usare le nuove tecnologie e trovare la forza di essere ancora una volta rivoluzionari, senza far riferimento al passato, ma partendo dalle piccole cose e da ciò che ci circonda vicino a noi. Iniziare dal tessuto urbano in cui viviamo. Poi il cambiamento si diffonde. Abbiamo tutto il mondo a disposizione con un click e ci sentiamo inutili se non riusciamo a sfondare, ma se diventiamo forti e credibili nel nostro territorio saremo di esempio per altri e sarà tipo una piccola grande valanga.

          Una piccola curiosità che cosa intendi per tradimento di quella possibile rivoluzione, chi ha tradito e cosa è stato tradito?

          Il tradimento del futuro. Quelli della mia generazione anche qualcuno dopo, hanno veramente pensato che la tecnologia potesse essere un tool rivoluzionario, ma in realtà ci si è in parte ritorto contro con l’eccesso di informazioni (l’information overload teorizzata da Alvin Tofler su ‘Future Shock’) e la nostra incapacità a gestirle con conseguente diffusione di cinismo, narcisismo e carenza empatica. L’opposto di quello che volevamo negli anni ‘90.

          Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro? E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra, molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, contro-cultura e ricerca di una scena?

          E’ la giusta via come ho scritto prima. Bisogna solo tenere a bada l’ego e imparare dagli errori del passato recente.

          Grazie per la tua disponibilità e la bella chiacchierata Andrea, a presto!

          Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista
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            PHOTOGRAPHS Factory Asks

            Photographs

            Quando per un artista fare musica è come respirare

            Intervistiamo oggi un giovane artista romano per Factory Asks: Photographs. È un progetto dall’atmosfera cupa, con influenze IDM e glitch. Dopo varie sperimentazioni giunge alla pubblicazione di 4 ep “MVMNT”. Il primo album sulla lunga distanza esce autoprodotto, nel maggio del 2017, “EKKLESIA”. “ALMA MATER”, è il suo secondo lavoro, contenente 8 tracce, composte con il contributo dei magnifici testi di GIANPIERO DE FILIPPO, pubblicato sotto l’etichetta Disorder rec. “Hurt” è un’album introspettivo, sicuramente più maturo nella composizione. il buio si accosta alla luce, le emozioni più forti prendono forma. 11 brani atmosferici, profondi, ideali per perdersi quando fuori tutto crolla.

            01. Come hai intrapreso questo percorso artistico? 

            Ciao, il mio percorso artistico parte da molto lontano, da 20 anni faccio musica. Anche se sono passato da vari genere, diciamo un po’ tutti (ahahah), quello di integrare l’elettronica nelle mie musiche è stata da sempre una mia ossessione, tanto da diventare adesso parte inscindibile e portante di esse. Da quando sono a Roma (4 anni), dopo aver chiuso il progetto clones theory (molto più dark wave oriented) , ho iniziato a sperimentare con i suoni per cercar di tirar fuori qualcosa che stia a metà strada tra dark, pop, idm, ambient (cosa che con HURT ho, credo, portato a compimento).

            02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

            Ti potrei sembrare pretenzioso, ma a nessuno in particolare; i miei gruppi/progetti preferiti sono talmente distanti da ciò che faccio ( pink floyd, neurosis, isis, sigur ros, sunn0, genesis…). Forse ultimamente ascoltando molta roba idm, tipo clark, apparat, oneothrix point never, autechre, aphex Twin, boards of canada, mi son fatto influenzare a mia insaputa. (Ahahah)

            03. In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

            Non ho più un aspirazione, prima l’avevo, ora non più: compongo per necessità, suono per necessità, scrivo per necessità, sarei un depresso cronico se non esternassi i miei sentimenti in musica. Diciamo che la mia musica proviene dall’egoismo: é prima di tutto per me, poi per gli altri. (Certo è che gli apprezzamenti fanno mooooolto piacere comunque).

            04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

            Sono sempre stato ossessionato dalla guerra, in tutte le sue accezioni possibili, dal modo in cui l’uomo si autodistrugge, distrugge il suo habitat, i suoi simili; si, al centro di tutti i miei lavori c’è l’uomo ed il suo masochismo.

            05. Che cosa vuol dire underground per te?

            Vuol dire essere libero, libero di fare ciò che si vuole, a prescindere da ciò che vuole o vorrebbe la gente: le maggiori evoluzioni musicali provengono da lì.

            06. Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

            Le nuove generazioni?? Ehm. Dovrebbero dedicarsi a qualche hobby, dovrebbero coltivare una o più passioni: vedo orde di ragazzini senza una passione , senza nulla, mi dici così come si fa a vivere, come si fa a tramandare la bellezza?

            07. Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro? E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, controcultura e ricerca di una scena?

            Dal mio futuro non so ancora cosa dovreste aspettarvi, sono coerente, ma a volte imprevedibile come artista, quindi…per quanto riguarda le associazioni come la vostra, sono un faro, un faro di speranza, perché è sempre bellissimo trovare qualcuno che crede nell’arte, e cerca di tramandarla come meglio può, e per questo grazie.A presto e soprattutto ci vediamo al concerto!! (link evento fcbk)

            Grazie, a presto!

            Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista
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            artista

            Edited by Roberta Ada Cherrycola www.instagram.com/ada.cherrycola

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