Dj Michele Fonx Fontanelli Break the Wall

Dj Fonx

Riformare la CC, tre livelli su cui intervenire ma serve un maggiore coordinamento tra Club

Con molto piacere in questa ottava puntata di Break the Wall, ci spostiamo con Michele Fontanelli aka Dj Fonx per parlare di coordinamento e Club Culture. Due temi fondamentali che cercheremo di esplorare grazie alla sua esperienza e visione attraverso una riflessione che guarda al futuro con lucidità e prospettiva. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa nuova ed interessante intervista.

Cosa è per te la Club Cultura?

Eh, in due righe mi sembra difficile, più che altro che cosa si intende per club culture? Sarò un’pò provocatorio. Dai tempi delle prime vere situazioni (Paradise garage, Loft, etc. e poi dopo tutta la scena Inglese) che hanno portato alla nascita di quello che oggi conosciamo, sono cambiate tantissime cose, a livello sociale, culturale, tecnologico ed economico.

Paradise Garage coordinamento
Fonte: m.dagospia, Paradise Garage (New York, 1977)

Questa “cultura”, se così vogliamo chiamarla, è nata in posti piccoli, con un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali, il pubblico medio di queste situazioni era composto da Gay Afro-Ispanico-Americani con tendenze tossicomane. Diciamo l’esatto opposto del modello italico che si è diffuso di più, discotecone fotoniche con tanta gnocca in bella evidenza, fighettismo diffuso, molti soldi e sostanze illecite di vario tipo (questo forse unico aspetto che ci accomuna con le esperienze estere citate). E la provocazione parte da qui: di quale club cultura vogliamo parlare? Di quella italiana? Perché il fenomeno veramente di massa in italia è stato quello dei ’90, con la progressive prima con l’house dopo fino ad arrivare alla Minimal dei 2000, quindi megadiscoteche e discorso fatto sopra.

“un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali”

Per il mio percorso personale, sia come dj/producer che come promoter ma anche come semplice clubber, la discoteca “ ufficiale” è arrivata dopo, quando in quegli ambienti si sono accorti, con quasi dieci di ritardo, che nel mondo la musica da ballo era cambiata, riguardava uno spettro più ampio di sonorità e ritmi, rispetto ad un solo tipo di cassa dritta (e anche le prime cose americane e tedesche qui venivano viste minacciosamente). Ci sono state esperienze in posti che erano sul pezzo con quello che stava succedendo nel mondo, ma non appartenenti a quegli ambienti, come ad esempio: Pergola a Milano, il Link ed il Livello57 a Bologna, il Maffia a Reggio Emilia, Agatha a Roma.

“Un tempo c’erano i centri sociali..”
L57 coordinamento
Fonte: segnalidivita.com, L57, Bologna 1998

Situazioni considerate off, molti di questi erano Squat o Centri sociali. Poi c’è stata tutta la scena dei rave e delle feste illegali. Chiamiamolo Underground? Anche se a me questa definizione non piace. In questi ambienti si respirava fondamentalmente controcultura, o subcultura, musicale, visiva e sociale. Non si delegava al sistema ufficiale dell’intrattenimento di proporci anche le cose “alternative”, ma queste situazioni diventavano esse stesse le Alternative.

“In Italia non c’è una cultura diffusa a livello di Club..”

Penso che in Italia non si possa parlare di una vera e propria cultura diffusa a livello di Club (aggiungiamo noi è forse mancato il coordinamento), penso piuttosto che ci siano state e ci siano ancora oggi realtà che si sono mosse in una direzione virtuosa (spesso anche mitologica, si pensi all’esperienza pionieristica della “ Baia degli angeli” e al fenomeno del cosiddetto afro, a gente come Baldelli e Mozart andrebbe fatto un monumento), ma spesso non molto collegate fra loro, e ognuna dipendente dalle proprie dinamiche territoriali.

Altre persone ti diranno che il Tenax, l’Insonnia o l’Imperiale sono state il top, è una questione di gusti, percorsi personali e quindi molto soggettiva; e secondo me è anche il bello di questo ambiente, ogni suono e ritmo ha avuto la “sua casa”, l’importante sarebbe non fare i fondamentalisti. Alla fine la club culture, è una cosa molto semplice: musica proposta da un dj, un buon impianto audio che la riproduca e persone che hanno voglia di far festa e ballare. Come la si fa è la discriminante fra fare cultura e fare solamente business ed intrattenimento.

Un disco che la rappresenta? 

Domanda molto soggettiva e difficile, un disco che la rappresenti mi sembra impossibile…proprio per quello che ti ho detto prima, ognuno, per la propria esperienza, avrà dei riferimenti musicali diversi, per me sono parte della club culture anche la scena dei Sound System o la scena degli Allnighter, dipende dai punti di vista. 

Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui?

Già da qualche anno la scena è, a mio avviso, alle prese con una trasformazione epocale. Per i giovanissimi “club culture” è un’espressione senza significato. I djs sono divi pop, Miley Cyrus vale quanto Guetta o Marshmellow. E non interessa più se sei bravo a mixare, se sei un cultore dei vinili, se hai la capacità di mettere i dischi per sei ore tenendo le persone incollate alla pista. Oggi conta solo lo show. E se poi il dj sul palco preme solo un tasto, poco importa. Sono nati tantissimi Festival di elettronica, e molto pubblico si è spostato su questo tipo di eventi, creando anche un’effetto negativo a cascata sui club, dato i cachet che vengono pagati ai Festival, non sono competitivi con quelli dei club, limitando la possibilità di programmazione di questi ultimi, che spesso si ritrovano a fare gli stessi nomi per non rischiare soldi.

Poi i Social e gli schiuma party di Ibiza (come esempio da seguire), con i suoi privée e i dj superstar hanno fatto il resto, ‘mercificando’ una scena club diventata cartolina e obbligando a epocali door selection il resto, nell’illusione che lo spirito originale possa in qualche modo sopravvivere nei muscoli dei buttafuori.

Assenza di coordinamento il modello delle cattedrali nel deserto (Ibiza)
Fonte: Ibiza Spotligh, Club Cartolina

Quindi la club culture non esiste più. O meglio, da fenomeno per pochi al successo popolare, oggi quella più autentica è ridiventata un fenomeno non per i molti. E secondo me deve ripartire dalle origini, dai piccoli spazi, dalle serate dove ancora si coltiva l’idea che il club è un luogo di sperimentazione. Un’occasione per condividere divertimento e musica. Noi aggiungiamo manca coordinamento.

“Ripartiamo dai clubbers”

Se si chiama club culture allora ripartiamo dai club e dai clubbers, cercando di creare percorsi inclusivi per far crescere delle reali scene locali, con numeri si spera superiori a quelli di una festa delle medie. Da una parte i soliti nomi hanno rotto le palle, ma anche i dj locali, che te la fanno pesare come se i generi che “ suonano” li avessero inventati loro, non sono il massimo.

Lo so, non sarò molto simpatico, ma è meglio dirsi le cose per come sono (essendo io anche dj), l’ autoreferenzialità è un limite abbastanza comune di chi fa cose “Underground” in Italia, non capendo che l’obiettivo deve essere quello di fare più proseliti, come moderni evangelizzatori, e non stare a dare patentini di credibiltà  e purezza a questo o quello. Se si vuole affrontare seriamente il problema, va proprio rifondato un movimento. Un movimento multiforme e soprattutto “croccante”! (citazione da uno dei più genuini clubbers del Deposito!).

coordinamento all'interno del bar25, Berlino
Clubbers in Bar25, Berlin
Cosa manca?

Sono tre i livelli che mancano e un coordinamento tra questi: 

Uno, istituzionale 

inesistente, come sempre per quello che riguarda musica, cultura e divertimento “intelligente” in Italia. Questo settore viene considerato una rottura, trattato come un problema di ordine pubblico, una accolita di debosciati. L’esperienza tedesca è lontana anni luce rispetto alla nostra; 

Due, Club e Addetti ai lavori

Agenzie di booking per prime che non si aiutano. I Club molto impegnati a far quadrare i propri conti, non disdegnando anche scazzi con gli altri Club. Che scommettono poco sulle novità, e cercano di andare sul sicuro. E che per avere esclusive sugli altri Club, fanno il gioco delle peggiori agenzie di booking per riuscire a fare ospiti con prezzi fuori mercato. Le agenzie italiane si distinguono per questa oscillazione dei cachet degli artisti esteri (e spesso succede anche per gli artisti italiani), a Tizio gli chiedono X e a Caio Y, per poi scoprire dalla fonte estera che spesso i ricarichi sono anche del 30/40% di quello richiesto dal management dell’artista; 

Tre, il Pubblico 

ormai sempre più dipendente dall’hype di quell’artista o di quel club, senza uno sviluppo serio di un gusto personale e “critico”. Basta inseguire sempre e solo i soliti nomi, i “brand internazionali” del clubbing. Sarebbe positivo inoltre prestare attenzione anche ai “local heroes” e ai talenti più freschi ed inediti, perché in origine il clubbing era avventura e scoperta, non rassicurazione e teatrini da backstage. Fare più attenzione alla musica e meno agli aspetti accessorii, cercare le situazioni che fanno proposte artistiche non convenzionali ed originali, e non la solita pappa pronta coi soliti nomi. 

Cosa andrebbe cambiato?

Credo di aver già parlato di alcuni cambiamenti auspicabili, in più dovrebbero svilupparsi ulteriori aspetti: maggiore collaborazione tra i Club; coordinamento tra Club per evitare sovrapposizioni di programmazione; fronte unico con le istituzioni; fare rete per poter contrattare a livello nazionale, tour di artisti, direttamente con i management, bypassando molte inutili agenzie, per promuovere artisti minori in modo che possano girare in Italia, e altrettanto il lavoro contrario, in modo che anche talenti italiani arrivino a l’estero.

Costruire serate dal basso, facendo crescere un vivaio di dj locali, creando (attraverso il coordinamento) delle reali scene locali, e non “scenette” virtuali che si fermano esclusivamente all’ambito dei social network. Senza fare guerre ideologiche agli artisti più noti o alle agenzie e management, ci sono persone che hanno fatto molto per lo sviluppo di questa scena, ma si tratta piuttosto di riordinare e riequilibrare un po’ le dinamiche, come dobbiamo farlo per l’ecosistema e per l’economia, per il bene di tutti. Nessuno escluso. Darsi tutti una bella calmata, soprattutto dal punto di vista economico.

Ultima domanda quale è la cc che vorresti? 

Ritornare all’attitudine originale,  ritrovarsi in spazi dove la prima cosa da fare è abbinare il divertimento alla qualità e cercare di trasmetterlo al pubblico. Chi riuscirà in questa formula (e aggiungiamo ancora, serve coordinamento) saprà dare dignità alla parola clubbing. Diversamente il discorso verterà unicamente sulla scena più commerciale, come è sempre stato in Itaglia.

Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

Immaginarsi ora come potrà essere il dopo è difficile, perché ci sono in ballo diverse variabili, te ne cito alcune: Come si comporteranno le istituzioni? Saremo sicuramente gli ultimi a ripartire, poi non abbiamo (dal punto di vista istituzionale ma non solo) valenza culturale come il teatro o il cinema o la musica classica, siamo i “ peggio”, quelli che fanno casino, si ubriacano e si drogano. Quindi chi riuscirà a tenere botta fino al momento della riapertura sarà già un grande, perché penso aiuti per noi non ci saranno, siamo un’Associazione e non una Società (nuovamente un coordinamento non sarebbe male!).

insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore

Pensare che dopo siano rispettate le distanze di sicurezza in posti dove si balla, si sta insieme, e si fa baldoria? Le persone saranno sempre così smaniose di trovarsi in luoghi chiusi? A stretto contatto con perfetti sconosciuti? Sinceramente non ho risposte a queste domande, so solo che quando ci penso mi prende una grossa angoscia. Se sarà trovato un vaccino, potremmo sperare di tornare a prima della reclusione forzata, in caso contrario la vedo parecchio hardcore.

Già avere tirato su un posto con l’identità del Deposito Pontecorvo è una scommessa enorme, per la provincialissima Pisa, poi non poterlo fare in condizioni di normalità rende tutto un’avventura che sa di contemporanei Don Chisciotte. Sicuramente, per quanto mi riguarda, se ci saremo ancora, insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore economico altrimenti le cose non si fanno,  lascio volentieri il campo agli hipster del momento. 


Alcune info preziose:

Michele Fonx Fontanelli – Dj e Producer

Dj Fonx, Deposito Pontecorvo

Dj eclettico, nel vero senso della parola, il suo suono spazia dalla black music delle origini (funk, soul, jazz, reggae e disco) fino alle sue espressioni contemporanee (Hiphop, Drum’n’bass/Jungle, dubstep, breakbeat, nudisco, elettro, bassmusic). Ed ha fatto girare i dischi nei posti più diversi: dai centri sociali ai club, dai paddock della Formula 1 alle feste di quartiere per strada, dalle jam di b-boys ai più rinomati jazz club. Inizia a dedicarsi ai Giradischi e ai Vinili, come dj, nel ’ 6, con la crew SVC. E’ fondatore e animatore di Casseurs Foundation. Dopo varie esperienze negli ambienti Hip Hop-Breakbeat-Drum’n’bass toscani, nel 2001 fonda con il milanese Painè (Compl8/Temposphere rec) I Maniaci Dei Dischi e così inizia a lavorare sulle produzioni e suona mensilmente @ Cox 18 (Milano), oltre a molte date in giro per l’Italia e passaggi su varie radio (RadioRai2/Weekendance; Popolare Network).

La prima testimonianza, pubblicata, di questa collaborazione è il singolo del secondo album di Painè (“Spontaneous”), per Temposphere records, dal titolo BENE feat. dj Fonx e con remix di: The Herbaliser (Ninja Tune-Uk), Quantic (Tru-Thoughts-Uk), Boogie Drama (Soundplant records-It).

In seguito esce il primo EP de I Maniaci Dei Dischi ‘OUR HOUSE EP’ seguito da un’altro ep dal titolo “SMILING FACES EP” entrambi su Temposphere records (sub label di Right Tempo), oltre a un remix per Baixinho (Vitaminic/Royality) e tracce licenziate in Giappone ed Austria (primavera 2003). Inizio 2004 viene pubblicato il primo album de I Maniaci dei Dischi, dal titolo “Hey presto!”, su Temposphere Rec. 

Da Dicembre 2003 fino al 2010 cura, insieme a Matteo Pzzo Chellini, ogni sabato sera, su Controradio (radio fiorentina a copertura regionale affiliata al circuito nazionale di Radio Popolare), una trasmissione radiofonica settimanale dal titolo RITMO, un viaggio nelle musiche da ballo di domani, di ieri e di oggi.  

Nel 2012 esce con The Brother Green…

E’ uno degli animatori della NuCombo crew, insieme a Nove, con cui è stato resident dj dell’appuntamento Massive Night, presso il DressCode (ex Insomnia, Pisa) dal 2004 al 2011, condividendo la consolle con il meglio della scena drum’n’bass/jungle europea ed italiana. Ha anche dato vita alla crew Black Friday, girando dischi in tutta la Toscana, all’insegna del suono black più puro, ovvero funk, soul, afrobeat, rap, disco e reggae.

Nel 2012 esce con The Brother Green, collettivo con il tastierista/organista Paolo Peewee Durante, Roberto “Bombo” Fiorentini al basso, e Piero Gesuè alla voce. Pubblica l’album “No Country for young men”: un disco trascinante che contamina la matrice funk con l’elettro, la disco, il soul, l’hip hop, il blues ed una spruzzata di jazz. Ha fondato e gestito l’etichetta Burnow, che ha fatto uscire gli albums di: The Brother Green, Pezzone ed Apes on Tapes. E’ tra i fondatori, e ne è anche presidente, del Deposito Pontecorvo, music club situato a Pisa.

Ha collaborato e fatto girare dischi con:
  • Casino Royale;
  • SanAntonioRockSquat;
  • Sun Wu Kung collective;
  • Esa aka El Presidente Otr/Gente Guasta;
  • Richard Dorfmeister (Austria);
  • Daddy G (Massive Attack/Uk);
  • Rayner Truby (Ge); Rich Medina (Usa);
  • Boots Ryley (The Coop/Usa);
  • Deda/Katzuma;
  • Gopher;
  • Dre Love;
  • Andrea Mi;
  • Biga;
  • Rob Luis (Tru-Thoughts/Uk);
  • Paul Murphy (Uk);
  • Congo Natty (Congo Natty records/Uk);
  • Rob Swift (Usa);
  • Dj Rocca/Ajello (Maffia Sound System/CrimeaX);
  • Volcov;
  • Michael Rutten (Jazzanova-Sonar Collective/ Ger);
  • Lele Sacchi; Sergio Messina;
  • Claudio Sinatti;
  • Serial Killaz (Uk);
  • Benny Page (Uk);
  • Royalize;
  • Andy Smith (Uk);
  • Dj Vadim (Uk/Usa);
  • Nick Record Kicks;
  • Victor Duplayx;
  • Rocco Pandiani;
  • Gak Sato (Jp);
  • Alien Army;
  • General Levy;
  • Bonnot;
  • Next One;
  • Roll Deep (Uk);
  • XCoast;
  • Gilles Petterson;
  • Taxman;
  • Sigma (uk);
  • Pendolum (au);
  • Shy Fx (Digital Soundboy/Uk);
  • Rosalia De Souza;
  • Nicola Conte;
  • Ardiman Mc;
  • Kleopatra j;
  • Beans (Usa);
  • Manitoba (oggi Caribou);
  • dj Marky (Bra);
  • Hype (Uk);
  • Khalab;
  • Aphrodyte (Uk);
  • Colle der Fomento;
  • Apes on Tapes;
  • Fricat;
  • Popolous;
  • HomeGroove-Red Bull Music Academy;
  • Eastpack Italia;
  • Associazione Culturale M.Y.A.;
  • Circolo ExWide;
  • Associazione Culturale Cantiere S. Bernardo;
  • Controradio Firenze;
  • Cox18 Milano;
  • Arezzo Wave Love Festival/Fondazione Italia Wave

Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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    PHOTOGRAPHS Factory Asks

    Photographs

    Quando per un artista fare musica è come respirare

    Intervistiamo oggi un giovane artista romano per Factory Asks: Photographs. È un progetto dall’atmosfera cupa, con influenze IDM e glitch. Dopo varie sperimentazioni giunge alla pubblicazione di 4 ep “MVMNT”. Il primo album sulla lunga distanza esce autoprodotto, nel maggio del 2017, “EKKLESIA”. “ALMA MATER”, è il suo secondo lavoro, contenente 8 tracce, composte con il contributo dei magnifici testi di GIANPIERO DE FILIPPO, pubblicato sotto l’etichetta Disorder rec. “Hurt” è un’album introspettivo, sicuramente più maturo nella composizione. il buio si accosta alla luce, le emozioni più forti prendono forma. 11 brani atmosferici, profondi, ideali per perdersi quando fuori tutto crolla.

    01. Come hai intrapreso questo percorso artistico? 

    Ciao, il mio percorso artistico parte da molto lontano, da 20 anni faccio musica. Anche se sono passato da vari genere, diciamo un po’ tutti (ahahah), quello di integrare l’elettronica nelle mie musiche è stata da sempre una mia ossessione, tanto da diventare adesso parte inscindibile e portante di esse. Da quando sono a Roma (4 anni), dopo aver chiuso il progetto clones theory (molto più dark wave oriented) , ho iniziato a sperimentare con i suoni per cercar di tirar fuori qualcosa che stia a metà strada tra dark, pop, idm, ambient (cosa che con HURT ho, credo, portato a compimento).

    02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

    Ti potrei sembrare pretenzioso, ma a nessuno in particolare; i miei gruppi/progetti preferiti sono talmente distanti da ciò che faccio ( pink floyd, neurosis, isis, sigur ros, sunn0, genesis…). Forse ultimamente ascoltando molta roba idm, tipo clark, apparat, oneothrix point never, autechre, aphex Twin, boards of canada, mi son fatto influenzare a mia insaputa. (Ahahah)

    03. In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

    Non ho più un aspirazione, prima l’avevo, ora non più: compongo per necessità, suono per necessità, scrivo per necessità, sarei un depresso cronico se non esternassi i miei sentimenti in musica. Diciamo che la mia musica proviene dall’egoismo: é prima di tutto per me, poi per gli altri. (Certo è che gli apprezzamenti fanno mooooolto piacere comunque).

    04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    Sono sempre stato ossessionato dalla guerra, in tutte le sue accezioni possibili, dal modo in cui l’uomo si autodistrugge, distrugge il suo habitat, i suoi simili; si, al centro di tutti i miei lavori c’è l’uomo ed il suo masochismo.

    05. Che cosa vuol dire underground per te?

    Vuol dire essere libero, libero di fare ciò che si vuole, a prescindere da ciò che vuole o vorrebbe la gente: le maggiori evoluzioni musicali provengono da lì.

    06. Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

    Le nuove generazioni?? Ehm. Dovrebbero dedicarsi a qualche hobby, dovrebbero coltivare una o più passioni: vedo orde di ragazzini senza una passione , senza nulla, mi dici così come si fa a vivere, come si fa a tramandare la bellezza?

    07. Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro? E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, controcultura e ricerca di una scena?

    Dal mio futuro non so ancora cosa dovreste aspettarvi, sono coerente, ma a volte imprevedibile come artista, quindi…per quanto riguarda le associazioni come la vostra, sono un faro, un faro di speranza, perché è sempre bellissimo trovare qualcuno che crede nell’arte, e cerca di tramandarla come meglio può, e per questo grazie.A presto e soprattutto ci vediamo al concerto!! (link evento fcbk)

    Grazie, a presto!

    Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista
    Links:

    artista

    Edited by Roberta Ada Cherrycola www.instagram.com/ada.cherrycola

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      Vogliamo cosí lanciare sul nostro blog una nuova rubrica che propone una vera e propria fuga dal rumore di fondo, uno slancio verso nuovi luoghi, oltre la corazza.

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      Questa volta semplicemente “Roads“, nuovamente assieme a voi. Un nuova rubrica aperta a tutti voi per condividere le vostre storie, i vostri viaggi tra arte, cultura e nuove scene musicali.

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      Factory Asks

      FACTORY ASKS 0020 : DAVIDE URGO

      Dirlo2

      Nome Artista 0020 : Davide Urgo

      BIO

      Davide Urgo è nato a Napoli nel 1990. Ha frequentato il Liceo Artistico e poi l’Accademia di Belle Arti di Napoli dove si è laureato in Pittura. L’incontro con disegnatori e scrittori della sua città ha inclinato i suoi interessi verso il fumetto e lo ha portato a partecipare alla creazione di una rivista indipendente, “Hey,Pachuco!” e ad attività culturali di diverso genere, come mostre e performances. Attualmente vive e lavora a Bologna, dove frequenta il corso di Linguaggi del Fumetto all’Accademia di Belle Arti.

      01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

      Disegno da sempre, fin da quando ero bambino. Ho studiato arte e il disegno per anni a scuola e soprattutto con amici artisti che ho incontrato lungo la via. Dagli incontri e dagli esperimenti conseguenti è lentamente emerso ciò che personalmente mi piace dell’arte visiva e quello che potrei definire il mio “stile”, formato amalgamando spunti  diversi , presi da diversi ambiti come la psicologia, l’esoterismo e la musica.

      02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

      Le mie ispirazioni sono l’arte antica, la pittura rinascimentale, Moebius (Jean Giraud) e i fumettisti degli anni 70, l’arte psichedelica e i sogni.

      mandala lunare

      03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

      Vivere con l’arte e le mie creazioni.

      04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

      Il messaggio più importante dei miei lavori è che esistono realtà nascoste ai nostri occhi, ma ugualmente presenti e influenti nella nostra vita. E che il linguaggio e la coscienza permeano ogni cosa nella realtà, rendendola significativa. L’universo è più vasto di quanto appare e non finiremo mai di scoprire i suoi contenuti.

      05. Che cosa vuol dire underground per te?

      Underground è una rete di persone che lavora in questo momento per creare qualcosa di così nuovo che non riesci a definirlo, l’avanguardia della percezione.

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      06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

      Ho portato con me le ultime produzioni e anche lavori più datati, a cui sono affezionato. Sono i disegni che porto con me in strada con lo scopo di esporli e diffonderli. Per me il festival P.U.M è stata un occasione per conoscere persone interessanti ed ampliare le mie vedute, scambiando opinioni e visioni.

      07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

      Secondo me sono fondamentali eventi come questo per espadere i propri orizzonti e mostrare il proprio lavoro in un ambiente amichevole ed aperto. Credo che ci vorrebbe maggiore disponibilità delle istituzioni, connessioni tra i diversi eventi che crescono in tutto il mondo e più interesse da parte delle persone che non praticano arte.

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      | The Factory | Davide Urgo |

      “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

      Factory Asks

      FACTORY ASKS 0018 : BRIAN DI CALMA

           BrianDiCalma

      Nome Artista 0018 : Brian Di Calma

      BIO

      Sono quello che nella mia lingua del tutto inventata descriverei come un personaggiurdo. Sono Italo-Americano, nato negli Stati Uniti a Pittsburgh, e sono dieci anni che vivo in Europa, la maggior parte in Italia. La mia vita è un’ esperienza vissuta dentro un film di serie B. Ho vissuto per sei anni in eco-villaggi in Andalusia e sugli Appennini: so allevare animali, coltivare ortaggi, curare con medicine naturali, fare birra, vini, liquori, formaggi, carni, e sono un mito in cucina. Faccio coltelli artigianali realizzati con materiali riciclati e corna caduche di cervo, e sono artista di strada. Sono cantante e disegnatore. Ho una mentalità fortemente contro il sistema e cerco di vivere fuori dalle regole. Essendo una persona che tecnicamente non esiste, per me dunque non esistono regole, a parte una, semplice e che comprende tutto – il rispetto.

      01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

      La musica è sempre stata una presenza fortissima nella mia vita e non credo di poter vivere senza. Ho cominciato a suonare per strada in Andalusia nel 2011, e ho girato cinque paesi europei suonando con diversi artisti. Con la creazione dei coltelli ho cominciato nel 2012 vicino a Pistoia, più o meno per caso e il disegno nell’ottobre 2015 essendomi trovato in una casa di artisti a Bologna.

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      02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

      Musicalmente, ci sono troppi artisti che mi hanno modellato per scriverli tutti. Ho un dono meraviglioso nella mia voce, e non ho mai studiato. Quando canto, mi sento uno strumento collegato all’ energia ambientale circostante e in qualche maniera riesco a canalizzare quest’energia e a trasformarla in musica. Anche se io sono fisicamente presente, il mio conscio è scollegato dal mondo fisico che mi circonda per quel breve periodo, in rete con un altro mondo, rete costruita di onde energetiche invisibili. Riguardo al disegno, dovrei ringraziare i miei amici artisti (e famiglia) qui a Bologna, specialmente: Mario Ventriglia, Davide Urgo, Albero Cosenza e Daniele Ventola in quanto senza il loro supporto e osmosi non mi troverei a scrivere questo, ora.

      03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

      Direi di riuscire a vivere tranquillamente fuori dal sistema con i diversi tipi di arte che creo.

      coltelli

      04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

      Sì, questo per me è fondamentale. Essendo uno che vende la propria arte, mi rifiuto di ‘vendermi’ creando qualcosa che a me non piace, che non manda un messaggio mio personale, in maniera da guadagnare di più o commercializzando la mia arte. A volte i messaggi sono ben chiari, a volte molto più sottili, e a volte è puro divertimento. In ogni caso, il messaggio dipende da come viene interpretata l’opera nell’occhio e la mente degli altri, e forse ogni persona interpreta il messaggio in maniera diversa. Uso poche parole scritte perché vorrei che il disegno o la pittura parlassero per sè e si lasciasse all’ osservatore la possibilità di vedere e ricevere il messaggio in maniera personale senza essere già indirizzato altrimenti.

      05. Che cosa vuol dire underground per te?

      Per me è la rete…la rete tra noi artisti, noi alternativi, contro un sistema corrotto e orwelliano. Ci vivo dentro, ed è molto forte.

      06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

      Ho portato vari disegni, tra cui i miei primi di “Mondo Cane!” (i miei animali antropomorfizzati), e la serie “Bottiglie in banana” (una specia di delirio alcoolico surrealistico). Ho portato pure qualche coltello. In realtà, avevo cominciato col disegnare solamente due mesi prima, e il PUM Factory Fest è stata la mia prima mostra. L’esperienza per me è stata molto, ma molto positiva e la cosa più importante sono stati i contatti fatti con gli altri artisti e “undergroundiani” per espandere e far crescere questa “rete”.

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      07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

      Secondo me sono molto importanti, specialmente per i contatti e possibilità che possono crearsi. Di solito io lavoro per strada, e incoraggio i giovani artisti a mostrarsi anche loro assieme a noi per le opportunità che la strada ti presenta: dopotutto, ho beccato l’invito al PUM Fest lavorando per  strada durante Lucca Comics, grazie a Nicol P. La strada ti dà un guadagno (anche se minimo) subito, ti dà visibilità, ti aiuta a sviluppare autostima e confidenza e ti presenta possibilità di fare mostre, partecipare a riviste, etc. Incontri un sacco di persone. Hai un contatto dal vivo insieme alla tua arte con tanta gente diversa ogni giorno, e ogni tanto incontri qualcuni che ti può portare opportunità interessanti.

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      | The Factory | Brian Di Calma |

      “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

      Factory Asks

      FACTORY ASKS 0017 : M45

      Nome Artista 0017 : M45

      BIO

      Sono un figlio degli anni ’90 convinto che per saltare esista solamente il tasto A , ho spalmato i miei primi neuroni sopra “sprite” di videogiochi che la gioventù di adesso considererebbe talmente difficili e frustranti da sembrare test per l’università degli X-man o degli enigmi di “Cicada 3301” (questo riferimento lo capiranno in tre sì e no). Nel frattempo disegnavo dove potevo, sopratutto dove non potevo, finché i due mondi si sono toccati vedendo i lavori della GRL (Graffiti Research Lab) e scoprendo che non ero l’unico a essere cresciuto a inchiostro e pixel.

      1. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

      La risposta più breve sarebbe a casaccio, o meglio “trovandomici”… la mia filosofia di base è “iterate faster and release early and often” e “c’è sempre un modo”. Questa tendenza all’essere “MacGyver digitali” (senza la permanente e il capello biondo) viene sostanzialmente dal non avere budget e dall’avere un innegabile spirito “hack-to-learn”. Ho avuto la fortuna di lavorare con gente veramente meravigliosa a bellissimi progetti e anche di essere sfruttato in malo modo per cose di cui non ho preso merito. Quindi riassumendo, come ho intrapreso il mio percorso artistico? Come la Parigi-Dakar in mono-ciclo.

                                                        foto di Studio 47

      2. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

      Mi ispiro alla gente, banale ma vero…mi pongo sempre dal lato dell’utente e cerco di fare qualcosa che alla fine non sia un aulico “l’artista voleva rappresentare la palingenetica obliterazione dell’io siderale che si avviluppa tra le pieghe dello spazio tempo”, ma che prima di tutto diverta, poi che possa essere vista come un gioco, un mezzo o un’ esperienza. Penso che gli spazi espositivi siano già spazi ostici per il pubblico “comune”, se poi metti quattro ore di inquadratura su una mela e lo chiami “decadimento della materia” ci sta che la gente non venga…

      3. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

      Aggiungere almeno altre dieci virgolette intorno alla parola artista. Non morire di gastrite. Avere abbastanza soldi per poter comprare pizza e caffè (ma questo è più un obbiettivo nella vita). La pace nel mondo?

      4. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

      Non credo, forse più il sapore DIY (do it yourself) e quella poca cura dei dettagli …del messaggio mi occupo poco, il mezzo è il messaggio, è triste ma è così, fateci pace.

      foto di Studio 47

       

      5. Che cosa vuol dire underground per te?

      Domanda spinosa: purtroppo esiste il mercato dell’underground che in alcuni casi è peggio di quello mainstream, un marasma di gente con scarse competenze che sta in una situazione perché “fa figo” ma poi manca la sbatta, manca il sudore. Ma il termine “underground “ è perfetto perché sotto terra trovi fango, melma e vermi…ma ogni tanto trovi anche gente brillante come i diamanti, preziosa come l’oro e forte come il ferro e che ti ripaga di tutto il fango che hai spalato.

       

       

      6. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

      Ho portato un mio “giocattolo” che per mancanza di termini migliori si chiama “loop music”: tecnicamente una variante di reactable usando la libreria reactivision e i segnali osc/tuio per controllare ableton e triggerare loop quantizzati e divisi in tipi di suoni. Se non vi siete ancora addormentati la versione breve è “metti cubetto sul tavolo e parte un loop di batteria, ne metti un altro parte il basso e via dicendo”. Per me significa democratizzazione del gesto di composizione musicale, far provare a tutti la gioia di “suonare” senza necessariamente saperlo fare. In più ho partecipato assieme a Micol e Lorè all’ allestimento delle tre serate per quanto riguarda visual, montaggio, smontaggio, rollaggio cicchini, caffè, conversioni video, bestemmie, cioccolate calde alle 5, etc etc.

      PUM ART FEST / Foto di Nicol P.

      7. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

      Ovviamente è una cosa importante e sinceramente bisognerebbe dare più spazio a chi organizza queste cose, ma quando dico spazio intendo spazio fisico -non “attenzione giornalistica”- e spazio di azione convertito in vil denaro. Inoltre sarebbe bello avere uno spazio dove allestire esperimenti, workshop, residenze artistiche e quant’altro.

       

      | The Factory | M45 |

      “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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      Factory Asks

      FACTORY ASKS 0012 : YOUNG FELIX

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      Nome artista 0012 : Young Felix

      BIO

      Mi chiamo Marco Rossitto, in arte Young Felix. Sono cresciuto a Palermo, anzi per precisare a Bagheria. Mi sono approcciato alla musica fin da piccolo grazie allo studio del pianoforte; col tempo ho assecondato questa passione approfondendo altri generi e provando a suonare la chitarra con amici al liceo. Vecchi ricordi a pensarci adesso! Nel 2013 nasce la Sud Attitude CREW, il collettivo musicale con cui lavoro, che prima di essere un gruppo è una famiglia. Da un paio di anni mi sono avvicinato al video e alla fotografia, passioni che mi hanno portato a trasferirmi a Pisa; qui da qualche mese collaboro con Cino che oltre a essere il mio produttore mi accompagna anche sul palco.

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      01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

      Come dicevo sono sempre stato affascinato dall’ambiente musicale e persino da piccolo provavo a fare delle basi su cui poter cantare. Dato che tra il dire e il fare… Mi sono ritrovato a cercare i classici “Beat Instrumental” su Youtube per allenarmi fino a quando non sono arrivati i primi pezzi registrati e i primi progetti realizzati.

      02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

      Inizialmente mi sono ispirato alla scena palermitana, con artisti come Stokka & MadBuddy. Col tempo ho cominciato ad ascoltare sempre meno rap italiano per passare all’americano, e sinceramente ora provo ad ascoltare meno rap possibile. Per cercare ispirazione uso tutto quello che ho sotto gli occhi quotidianamente.

      03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

      Fare la mia musica senza nessun tipo di vincolo o compromesso. Assecondare la propria identità artistica penso sia il regalo migliore che un artista si possa fare.

      04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

      In ogni pezzo, in ogni video, tendo sempre a mettere qualcosa di mio, anche nascosto, ma che le persone che mi conoscono e vivono sanno capire. Anche la semplice sigla BC35 è uno di quei “messaggi” che vanno a rendere davvero miei i lavori. Diciamo che sfrutto Felix per dare spazio a una parte di me che normalmente tendo a tenere privata.

      05. Che cosa vuol dire underground per te?

      Cose fatte bene e con la voglia di condividerle ad altri con tutta la fatica e il lavoro che ci sta dietro.

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      |  The Factory | Young Felix  |

      “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

      Stories

      L’UNDERGROUND A MILANO NON E’ MORTO, E’ SEPOLTO VIVO.

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      Cox, Milano

      Nel 1961 Marcel Duchamp immaginava l’underground come la nuova via da percorrere per gli artisti che volevano distinguersi all’interno nuovo panorama culturale dominato principalmente da logiche economiche[1]. Secondo questa definizione, le forme d’arte e di espressione underground si pongono in antitesi ad una concezione dell’arte come prodotto per le masse. Le conseguenze dei processi mediatici e sociali imposti dalla nuova economia incidono profondamente sulla dimensione artistica e culturale delle grandi città di tutto il mondo.

      Dato che nel nostro paese Milano è una delle città che più risente degli effetti delle politiche economiche dettate dalla nuova economia, ho deciso di intervistare quattro dj e produttori che vivono e lavorano a Milano, per scoprire se esiste ancora una scena underground in questa città, almeno dal punto di vista musicale, e qual è il futuro di essa.

       

      1. Chi sei e di che cosa ti occupi a Milano?

      Butti: Sono Andrea Buttinelli e al momento vivo a Londra ma sono nato e cresciuto a Milano, dove tra un lavoretto e l’altro ho organizzato concerti e serate fin da quando avevo 15 anni e ho iniziato la mia carriera da dj e produttore musicale.

      Nobel: Ciao, sono Francesco, in arte Nobel, da alcuni mesi non vivo più a Milano ma ci vivevo fino a poco tempo fa. Quando ero lì, ero dj e produttore. In realtà nasco come produttore ma è da ormai parecchi anni che faccio entrambi per lo stile di musica che mi piace produrre, fare il dj è una naturale conseguenza.

      Federico – Ltd Colours: Ciao, sono Federico e faccio parte, insieme a Riccardo, del duo Ltd Colours. Sono un produttore di musica elettronica e dj. Ltd Colours affonda le sue radici nella bass music e nasce dal desiderio, da parte di entrambi, di voler sperimentare, senza porci troppi paletti, con le differenti sfaccettature e sonorità che compongono il panorama della musica elettronica. Nel nostro primo EP uscito per Infinite Machine, abbiamo cercato di trasmettere proprio questo concetto, spaziando dalla jungle alla techno, alla dubstep, alla power house.

      Riccardo – Ltd Colours: Sono Riccardo Baldoni, fonico di “Presa Diretta” e post-producer per vari studi di produzione video e ma, soprattutto sono un electronic music producer e dj nel progetto Ltd Colours insieme a Federico Nosari.

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      Butti

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      Ltd Colours

      1. Come descriveresti la scena artistica in cui si inserisce il tuo lavoro?

      Butti: Penso che il termine scena costituisca un limite per l’arte stessa.

      Nobel: La definirei viva e in continua evoluzione, qualcuno direbbe “satura“ ma penso che non sia il termine adatto, penso che “saturo“ sia qualcosa che si può riempire completamente e che quindi abbia un limite, una scena musicale non ha di questi vincoli fortunatamente.

      Federico – Ltd Colours: La scena della bass music a Milano è realmente qualcosa di underground. Difficilmente, infatti, si riesce ad attirare il grande pubblico a serate di questo tipo. Si tratta di un genere che affonda le radici nella tradizione musicale britannica, senza dubbio estremamente differente dalla nostra. Per questo, probabilmente, il pubblico italiano risulta un po’ scettico e restio nei confronti di qualcosa che non conosce bene e che non appartiene al proprio bagaglio culturale. Nonostante questo, esistono collettivi e promoter come Lobo, Skeng, Elita che fanno del loro meglio per promuovere serate di qualità e artisti di rilievo.

      Riccardo – Ltd Colours:  Anche se Ltd Colours trae ispirazione da molti e differenti ambienti musicali (tra i quali la scena techno berlinese, quella proto-DNB e garage londinese, quella house East Coast Americana e quella house francese) penso che il termine più efficace per descrivere la scena nella quale siamo inseriti sia Bass Music.

       

      1. Quali sono i luoghi a te più cari per quanto riguarda i movimenti underground che si sono costituiti e succeduti nella scena milanese?

      Butti: Lo SGA di Arese va assolutamente al primo posto. Ora non esiste più ma è stato per molti anni un punto di riferimento soprattutto per la musica hardcore punk. Qualcuno una volta l’ha definito il CBGB d’Italia… entrare a far parte del collettivo di questo posto è stata la mia prima esperienza nel mondo della musica. Altri locali che meritano assolutamente un posto nel mio cuore sono Magnolia, Dude, Lo-Fi, Biko, Leoncavallo (e il suo vecchio basement Dauntaun)… Ho menzionato solo quelli a me piu cari, ma ce ne sono MOLTI altri.

      Nobel: Posti importanti per la mia evoluzione musicale sono stati i Magazzini Generali, il Black Hole, il Biko, il Rocket e altri che che ora non ricordo neanche. A Milano la prima realtà musicale underground che ho seguito è stata la serata Klash ormai dieci anni fa nel 2005. La metto al primo posto sopratutto perché è stato il momento in cui ho capito che quello che ascoltavo poteva essere girato anche in chiave club. Non sono mai stato un party-harder se non forse durante un anno della mia vita, ho iniziato ad ascoltare musica IDM passando dalla Break Beat alla Big Beat fino ad arrivare all’ Electro Clash e poi a cose sempre più “club friendly”. Da quel momento ho sempre visto il mondo del clubbing come un lavoro, e andare alle serate era come andare a scuola. Ci sono due movimenti underground molto importanti per la mia carriera musicale: al primo posto assolutamente il collettivo veneto Trash Dance, che riesce ad unire (grazie alla sua forte presenza musicale e grafica) un grande seguito di persone educate su quello che vanno a sentire con una proposta musicale e artistica completamente in linea con quello che intendo io per underground. L’altro è il collettivo Weird Club Milan, anch’esso interessante nella proposta musicale e con una forte identità estetica.

      Federico – Ltd Colours: I luoghi dove le realtà che citavo prima trovano terreno fertile e riescono a svilupparsi, sono i piccoli club e spesso i centri sociali, dove da sempre, in Italia, attecchiscono culture e tendenze lontane dai movimenti di massa. Il Dude Club è stato un buon punto di riferimento; da Via Plezzo16, prima che cambiasse location, sono passati un sacco di artisti della scena bass: da Kode9 a DVA, a Objekt, Dj Spinn, Cooly G ecc. Il Dude rappresenta uno dei luoghi a cui mi sono affezionato di più da quando sto a Milano. Nella vecchia location si respirava proprio un’aria familiare. Un piccolo club con un muro di casse che superava il pubblico dal dj, senza fronzoli, con poche luci e poche pretese se non quella di far ballare ottima musica. Con il passare del tempo, il cambio di location e l’ascesa totale della techno si è progressivamente adeguato al pubblico delle grandi occasioni. Ma ritengo che sia un procedimento normale, per uno dei migliori o forse il migliore tra i club milanesi.

      Riccardo – Ltd Colours: Primo fra tutti il vecchio Dude. Poi sicuramente il Leoncavallo, Macao, il Cox, il Tunnel e il Bitte. In questi locali ho potuto assistere alle performance di alcuni dei dj e producer più importanti della scena underground europea e mondiale come Kode9, Bambounou, French Fries, Ron Morelli, Jon Hopkins, Kryptics Minds, Romare e molti altri.

      Milano, Centro Sociale Leoncavallo, inaugurazione della mostra dei graffiti, l'esterno.
      Centro Sociale Leoncavallo, Milano

      1. Data la diffusione su vasta scala di fenomeni un tempo considerati underground, come ad esempio la cultura hipster, credi che si possa ancora parlare dell’esistenza di una scena underground a Milano, o l’ossimoro ideologico è inevitabile su questo fronte?

      Butti: La musica underground a Milano esiste perché c’è chi la fa. C’è un grande spirito artistico e in un certo senso “alternativo” all’interno della mentalità delle persone che ci vivono. Quello che manca è un senso di appartenenza territoriale e culturale e di conseguenza un ideale di unità, ma credo che ci siano delle personalità che potrebbero fare da anello tra i vari “gruppi di artisti”…

      Nobel: La mia idea di underground non è la sperimentazione fine a se stessa. Un movimento musicale underground deve avere la consapevolezza e la voglia di crescere, il fatto che ora qualcosa che noi consideravamo underground non lo sia più o che arrivi molto velocemente alle masse non è una cosa per forza negativa, è negativo il fatto che ci si adagi su di questo e si cominci a fare qualcosa PER la massa.
      In secondo luogo la veloce diffusione di sonorità un tempo considerate difficili o di nicchia denota un’apertura mentale dell’ascoltatore, e anche questa è una cosa positiva. Detto questo la scena underground a Milano esiste, solo che è molto diversa da come era un tempo perché, chi spinge qualcosa di innovativo adesso lo fa provando a farsi capire da tutti senza rimanere chiuso nel suo guscio, ad esempio puntando anche sull’aspetto grafico.

      Federico – Ltd Colours: Credo che prima di poter parlare di fenomeni underground sia necessario presupporre l’esistenza di un’identità musicale. Un movimento nasce da artisti che riescono a trovare, all’interno di una comunità, gli spazi necessari per potersi esprimere e confrontare, soprattutto tra di loro. Manca questo a Milano, almeno per quanto riguarda la musica che produciamo. Spesso le serate sono organizzate dagli stessi 4 dj che si alternano per tutta la serata e per tutto l’anno. Viene quindi lasciato poco spazio ai dj locali emergenti rendendo sempre più difficile la creazione di un’identità. Manca una connessione tra le molteplici realtà che gravitano intorno alla città, ognuno si coltiva il proprio orticello inseguendo l’artista che l’anno precedente andava tanto di moda a Londra, Parigi o Berlino.

      Riccardo – Ltd Colours:  Parlare di underground in questi anni è, secondo me, molto complesso visto che nell’ultimo periodo i canali di comunicazione e promozione per i generi che prima si definivano underground e per quelli mainstream sono praticamente gli stessi. Analizzando però il concetto dal punto di vista del seguito che un certo genere può avere il discorso cambia: a Milano ci sono alcune piccole realtà che cercano di di proporre artisti di qualità e generi di musica che in Italia possono essere considerati di nicchia. Collettivi come Elita, Lobo e Skeng stanno facendo un ottimo lavoro per far conoscere generi di musica che altrimenti rimarrebbero sconosciuti alla maggior parte dei clubber milanesi.

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      Dude Club, Milano

      1. Quali nuove declinazioni culturali pensi possano scaturire dalla scena musicale e artistica milanese per com’è configurata oggi giorno?

      Butti: Citando la risposta precedente manca un senso di unità tra gli artisti milanesi e di conseguenza prevedere cosa verrà fuori domani è impossibile, che a pensarci bene è anche quello che mantiene questa città misteriosamente interessante. Le uniche ideologie comuni di cui credo e spero di essere sicuro sono l’antifascismo e l’odio per ogni tipo di discriminazione.

      Nobel: La musica da club a Milano è molto legata alla moda, ed è giusto che sia così. A noi la moda interessa e ci teniamo all’apparire, inutile negarlo. La domanda però rimane molto difficile: credo che da tutto questo usciranno prodotti e serate sempre più legate ad un’immagine estetica che intrattenga l’ascoltatore anche visivamente oltre che a livello uditivo, per poi magari arrivare all’antitesi di tutto questo eliminando tutti gli elementi grafici (il che è graficamente altrettanto potente). Sto solo viaggiando di fantasia. Che è quello che mi hai chiesto di fare sostanzialmente 🙂 Credo però  che spesso la qualità visiva è quasi più importante di quella sonora. Dubito che questo possa cambiare mai a Milano.

      Riccardo – Ltd Colours: Un altro punto da prendere in considerazione è la mancanza di comunicazione tra le piccole realtà presenti a Milano che si chiudono a riccio e non riescono comunicare e collaborare in modo costruttivo. Sono sicuro che la scena musicale milanese possa dare molto ma c’è sicuramente bisogno di investire di più su artisti emergenti.

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      artwork, Weird by SPG

      1. Secondo te, c’è un futuro per l’underground a Milano?

      Butti: Si, ma ancora, solo se con il tempo si riuscirà a creare un senso di unità e appartenenza. Penso che l’ammirazione verso le realtà estere sia normale ma che allo stesso tempo dovrebbe essere fonte di motivazione per migliorare la propria realtà. Come ho già detto per il momento vivo a Londra, che è un’ottima scuola sotto molti punti di vista, ma sto pianificando di tornare a vivere a Milano per mettere in pratica quello che sto imparando e tornare a “schierarmi in prima linea”.

      Nobel: Noi a Milano siamo molto chiusi per quanto riguarda i rapporti lavorativi e molto divisi in fazioni che si muovono parallelamente e non si incontrano mai (se non spesso per secondi fini). Questa è la cosa che non mi piace a livello personale e che inevitabilmente rallenta le cose. Ma non posso dire che non ci sia gente che provi a proporre cose nuove e non posso altrettanto dire che non ci sia gente pronta ad ascoltarle. Sicuramente non abbiamo una cultura musicale come la possono avere altri paesi. Siamo ancora giovani da questo punto di vista. Le cose stanno cambiando però e non credo sinceramente in una regressione in questo senso.

      Federico – Ltd Colours: Sono convinto che possa esistere un futuro per l’underground milanese ma è fondamentale creare prima un’identità artistica.

      Riccardo – Ltd Colours: E’ molto difficile prevedere se nasceranno nuovi generi e movimenti dalla scena artistica milanese. Quello che però si percepisce distintamente è la mancanza di un identità ben definita. Questo probabilmente deriva dal poco spazio che viene dato agli artisti emergenti che non riescono ad esprimersi a pieno e a confrontarsi tra loro.

      | The Factory | Celine |