Factory Asks

FACTORY ASKS 0015 : C.A.C.C.A.

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Nome progetto 0015: C.A.C.C.A. – Cose A Caso Con Attenzione

BIO

Siamo 5 ragazzi della provincia di Parma: Stefani è curatrice, Matteo artista, Francesco graphic designer e (all’occasione) giardiniere, Giacomo è artista anche lui e io, Nicola, studio antropologia. Siamo un po’ sparsi per l’Italia e C.A.C.C.A. è anche una buona occasione per tenerci legati tra di noi.

01. Come e da dove è nata l’idea di fondare la vostra rivista?

L’idea è nata a un film festival: avevamo appena visto un cortometraggio sulla storia di una fanzine, abbiamo fatto mente locale e ci siamo resi conto che frequentavamo le persone giuste per fare qualcosa di simile anche noi. Giacomo è un grande illustratore e aveva già partecipato a una fanzine bolognese, Francesco aveva la passione per l’editoria e io quella per la scrittura. Abbiamo cominciato in tre ma dopo poco si sono aggiunti anche Matteo e Stefani, che hanno permesso che la cosa potesse diventare un po’ più seria.

02. Vi siete ispirati a qualche magazine già esistente? O in generale cosa vi guida nelle vostre scelte editoriali?

Direi che per il momento le scelte editoriali sono state poche: ci siamo limitati a decidere il “format” all’inizio, dopodiché ogni numero nasce da idee condivise con i vari collaboratori (e non l’avevo ancora detto, ma tutti possono diventare collaboratori di C.A.C.C.A., basta scriverci su facebook!) e per noi della redazione si tratta soltanto di fare una selezione dei lavori che potranno trovare spazio sul numero che stiamo curando e di impostare l’impaginazione.

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03. Come finanziate la stampa dei vostri numeri e quali tecniche di stampa usate?

Abbiamo un amico tipografo che ci ha letteralmente salvati; si è appassionato alla rivista e ci permette di avere stampe di alta qualità a prezzi accessibili per una realtà piccola come la nostra.

04. Qual è il messaggio principale che vorreste comunicare tramite la vostra zine?

Noi cerchiamo di dare spazio a persone che sappiano fare qualcosa di bello – qualunque cosa possa voler dire. La sfida è quella di stimolare persone, che in parte sono nostri amici e in parte perfetti sconosciuti, a produrre qualcosa di nuovo ogni volta e a dare un’interpretazione interessante della parola chiave del numero.

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05. Che cosa vuol dire underground per voi?

Per noi underground vuole dire essenzialmente fare un po’ quello che vogliamo: pochi vincoli editoriali, grande libertà e un lavoro che rimane più sul versante dell’artigianato che su quello industriale.

06. Quanto sono importanti secondo voi occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorreste che venisse fatto in questo senso?

Sono indubbiamente occasioni molto importanti. Soprattutto all’inizio non è facile trovare un proprio spazio, e quando capitano eventi di questo genere è bello trovarsi tra persone che fanno la stessa cosa, pur abitando magari a centinaia di chilometri di distanza. Ci si scopre, alla fine, sempre sulla stessa barca.

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0014 : LUISELLA BRENDA

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Nome artista 0014 : Luisella Brenda

BIO

Sono nata a Livorno, e già da piccola ho mostrato subito un forte interesse per l’arte, la pittura, il disegno, lo scarabocchiare tavoli, mobili e pareti, alche i miei genitori capirono che la faccenda non si sarebbe placata e quindi mi iscrissero all’ Istituto d’Arte di Pisa dove ho preso la specializzazione in pittura, subito dopo sono andata alla  Scuola Internazionale di Comics di Firenze frequentando il corso di illustrazione. Dal 2011 ho iniziato seriamente il mio percorso come professionista lavorando come illustratrice freelance. A tutt’oggi mi sto costruendo passo dopo passo, lavoro su commissione e intanto mi realizzo su vari progetti personali, e diverse collaborazioni. Perciò quando lavoro disegno e nel mio tempo libero…disegno!

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01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Ho iniziato sin da piccola ad avere passione e curiosità verso le arti visive, così la strada verso quel percorso è stata più che naturale: ho iniziato con l’Istituto d’Arte a Pisa, specializzandomi in pittura, dopodichè ho proseguito con la Scuola Internazionale di Comics a Firenze, stavolta specializzandomi in illustrazione.

02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Mi ispiro un po’ a tutto ciò che mi circonda, agli illustratori e ai pittori che mi piacciono, alla fotografia, al cinema, alla normalissima tv, ai libri, alla mia immaginazione e alla realtà. La musica mi accompagna sempre mentre lavoro, ed è anch’essa fonte di ispirazione. Cerco di ricreare nelle mie illustrazioni ciò che ricavo anche da semplici momenti delle mie giornate e della mia vita in generale.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Mi piacerebbe creare collezioni come sto facendo adesso con la serie delle Pin Up, da poter poi trasporre su vari supporti, dalla tela ad olio alla t-shirt. Vorrei che le mie creazioni esistessero non solo su carta, ma prendessero vita in varie forme e modi, insomma, vorrei mandare a spasso i miei personaggi!

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Ciò che caratterizza i miei lavori, almeno in questa fase, è certamente l’ironia. Essendo io in primis autoironica, è come se insegnassi ai miei personaggi a prendersi un po’ in giro.

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05. Che cosa vuol dire underground per te?

Tutto ciò che è indefinibile e che rimanda ad un concetto di nuovo, originale e creativo, con un occhio al progresso dell’immaginario nel suo insieme.

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Ho portato la mia collezione di Pin Up tradotte nella mia chiave stilistica.  Mi ispiro alle Pin Up di Gil Elvgren, partendo da questo spunto creo il personaggio secondo la mia mano e la mia testa, cercando però di dargli una veste ironica, appunto.

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Credo siano molto importanti, è un modo per farsi conoscere e conoscere artisti che come te stanno facendo della loro passione un lavoro. Sono essenziali per gli scambi di idee che possono esserci e che sicuramente ci arricchiscono; conoscere diversi punti di vista e confrontarsi è fondamentale.

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|  The Factory | Luisella Brenda  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0013 : FRANCESCA PUCCI

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Nome artista 0013: Francesca Pucci

BIO

Francesca un po’ per scelta, un po’ per abitudine, nata nel freddo gennaio del 1983 e dove per usi e costumi sono rimasta. Da sempre innamorata dell’arte in tutte le sue forme, colleziono immagini e suoni, pane quotidiano in un mondo immaginario dal sapore a metà fra ”Dylan Dog” e ”Pretty in Pink”. Diplomata alla scuola di fotografia APAB a Firenze qualche anno fa, adesso collaboro con festival di cinema e riviste di musica. Inoltre gestisco laboratori artistici per bambini e ragazzi e mi piace farli provare a colorare non solo con i pennarelli, ma anche con quella polvere magica che è la fotografia.

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01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Io da piccola preferivo colorare con i pennarelli. Coloravo tantissimo. E non doveva disturbarmi nessuno. Nemmeno papà, con quella macchina fotografica gigante. Da perfetto fotografo amatoriale mi invitava a posare troppo spesso per lui e io non sopportavo l’idea di starmene impalata. Poi qualcosa è cambiato: mi sono accorta di stare dalla parte sbagliata dell’obbiettivo. È successo che l’amore, i viaggi e soprattutto la musica mi hanno portato ad aver bisogno di documentare tutto quando questi non erano con me, inscatolare le emozioni per non perderle mai. E per saperle raccontare nel tempo.

02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Senza dubbio la musica e tutto quello che la circonda sono il motore del mio lavoro artistico. Con lei tutti quegli artisti che hanno saputo raccontarla in maniera eccellente, che hanno portato le atmosfere dei backstage e dei palchi a portata di occhi. Fra gli altri A. Leibniz, P. Smith, A. Corbijn, R. Mapplethorpe, G. Harari, L. Ghirri.

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03. In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

Regalare storie. Da vedere, da ascoltare, da raccontare.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Attraverso la fotografia provo a scrivere storie musicate, forse una sottospecie di canzoni. Ho sempre voluto fare musica,ma non sono mai riuscita a salire su un palco. Con la fotografia ho trovato il modo di suonare , di rappresentare a mio modo la musica, di cantare con la luce. Un chiaro esempio è ”Sunday”, un mio progetto che nasce dall’esigenza di rappresentare la musica, così ho provato ad illustrare canzoni che raccontano di domeniche diverse, canzoni ascoltate oltre la sonorità e oltre le parole, descritte per quello che ti lasciano, per l’emozione che può diventare immagine. Ho riproposto ipotetiche copertine dei singoli da me scelti: con esse si ha un impatto visivo, la copertina veste la musica, diventa mezzo di comunicazione.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Sperimentare. Sempre innamorati di quello che stiamo facendo.

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0011: MOODBOARD

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Nome progetto 0011 : Moodboard

BIO

Lucrezia Cortopassi nasce a Pietrasanta il 19 febbraio del 1992. Nata con un background familiare di appassionati di arte, archeologia, arredamento e design non è difficile pensare che i suoi studi siano iniziati da un Liceo Artistico, il “Passaglia” di Lucca, e che siano finiti con una laurea in Disegno Industriale all’ISIA di Firenze. Durante questi anni la passione per la carta è sempre stata evidente: partendo dal progressivo accumulo di riviste, libri, flyer, poster e biglietti da visita fino al ripetitivo tentativo di immischiarsi in una nuova avventura editoriale.

Martina Toccafondi, fiorentina, nasce il 1 dicembre del 1988. La sua formazione è stata fin dall’inizio fortemente contaminata dai film adolescenziali degli anni ’80, dall’arte contemporanea, dallo stile parigino, dai polpettoni di saggi sugli impressionisti, dalle commedie del dopoguerra. Ma più di tutto dalle riviste, divorate, segnate, ritagliate (a volte anche lette). Da questo nasce la passione per l’accumulo di ritagli, fogli di carta, pezzi di texture. Ha iniziato studiando visual design (cos’altro sarebbe potuto essere?) prima all’Università degli Studi di Firenze e successivamente con un diploma specialistico all’Isia di Firenze. Da due anni lavora come freelance nella grafica per la moda e nell’editoria. Ma qualcosa bisognava pur fare con tutti quei ritagli.

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                                      PUM ART FEST / Moodboard Stand – foto di NICOL P.

01. Come e da dove è nata l’idea di fondare la vostra rivista?

Lucrezia: L’idea è nata da Martina qualche anno fa per gioco. La scorsa estate poi ci siamo come lette nel pensiero, è stato strano. Ci ha aiutato l’amore per l’editoria, quella cartacea che riempie le librerie e dove le immagini con il tempo sbiadiscono e dei gusti molto affini (quelli che contengono glitter, unicorni e immagini provocatorie si intende). Così durante un bel pranzetto di pesce nella piccola Atene della Versilia, Martina mi ha spiegato il progetto ed è stato amore a prima vista.

Martina: L’idea è nata all’inizio dalla mia collezione decennale di ritagli. Erano tutti lì davanti a me che mi guardavano come a chiedermi che senso avessero di essere lì. E così ho pensato che questa mania dovesse trovare uno sbocco. Se ispiravano me, perché non potevano ispirare anche qualcun altro? Ma era solo un barlume, l’idea vera e propria è nata in due. Non potevo farcela da sola.. e sapevo esattamente da chi andare!

02. Vi siete ispirate a qualche magazine già esistente? O in generale cosa vi guida nelle vostre
scelte editoriali?

Lucrezia: I magazine che ci ispirano sono tanti, come i siti e i blog. Essendo Moodboard una grande bacheca di ispirazioni è inevitabile che attingiamo da qualsiasi fonte ci passi sotto il naso, cercando di reinserirla in un contesto logico e in tema con lo stile che abbiamo scelto. Il web è pieno di spunti visti e rivisti sotto ogni forma e versione ma la nostra vera missione è far entrare in questo circolo qualche volto nuovo e di talento.

Martina: Certo le nostre fonti di ispirazione sono tantissime, dai magazine di arredamento chic ai blog trash. Credo che ciò che ci ispiri di più sia la ricerca di nuovi significati che nascono accostando elementi comuni, ordinari, che sembra non abbiano niente in comune tra loro. Cosa succede se accanto alla foto di un seno metto l’immagine di un paio di forbici? A cosa mi fa pensare? Da due oggetti con due significati distinti, ne nasce un terzo, un quarto e così via, a seconda dei legami che creiamo.

moodwaitMoodboard release @ P.U.M. Factory Fest, Bastione San Gallo

03. Come finanziate la stampa dei vostri numeri e quali tecniche di stampa usate?

Lucrezia: L’editoria, specie se indipendente e specie se in Italia, non ha un’importanza rilevante. Quello che facciamo lo facciamo spinte prima di tutto da una grande passione e amore per questo lavoro. Il resto è tutto di tasca nostra, per ora chiaro, poi chissà! La stampa in tipografia “vecchio stile” è quella che ci ha affascinato di più ed è quella dove si ha anche un contatto diretto con l’operatore con il quale possiamo confrontarci e scambiarci consigli e idee.

Martina: Per adesso ci autofinanziamo. Questo è il grande problema comune di chi fa editoria indipendente. È difficilissimo trovare finanziatori per un progetto cartaceo. In fondo si dice in giro che la carta sia morta, sostituita dalle pagine web, dai blog, dai giornali online. Perciò la domanda di sempre è “perchè dovrei spendere per stampare qualcosa che potrei vedere su un display gratuitamente?” La nostra è una scommessa. Vogliamo allargare gli orizzonti fisici e non del concetto standard di rivista, reinventando la sua classica (spesso limitativa) suddivisione in pagine. Per visualizzare i contenuti su un sito si può scrollare, cliccare, ma ciò che uno schermo non ci permette è la visione di insieme. Moodboard mostra tutto il contenuto in un’unica grande pagina fisica davanti ai nostri occhi.

04. Qual è il messaggio principale che vorreste comunicare tramite la vostra zine?

Lucrezia: La nostra rivista, che in realtà è un grande poster di 100x140cm, una bacheca appunto, come riporta la definizione da dizionario di moodboard in fin dei conti, ha puramente uno scopo educativo all’immagine. Mi spiego meglio. Tutte le immagini contenute nel poster hanno una logica e il tema si sviluppa piega dopo piega. Il tema di base è uno ad ogni uscita ma le derivazioni che può avere sono tantissime. Per questo ci divertiamo a dividere le sottocategorie anche in base ai colori. L’effetto finale è davvero piacevole e stimolante, sia per un creativo che non!

Martina: L’ispirazione. L’interpretazione. Qualunque essa sia, non ce n’è una giusta o sbagliata. L’importante è lasciarsi stimolare, cercando nuovi accostamenti di immagini, di colori e significati.

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SHOP ONLINE : http://magazinemoodboard.bigcartel.com

05. Che cosa vuol dire underground per voi?

Permettersi il lusso di sperimentare. Uscire dagli schemi e scommettere contro chi ti dice “non si fa così”. E chi l’ha detto? Lavorando come grafica una delle cose più snervanti è scendere a compromessi con i clienti, con ciò che ti permettono o no di fare. Si può fare tutto, basta avere il coraggio di provarci. E questo tipo di contesto ti dà l’occasione di metterti alla prova. Per noi vuol dire essere liberi.

06. Quanto sono importanti secondo voi occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorreste che venisse fatto in questo senso?

Lucrezia: Credo che occasioni come questa che ci è stata concessa siano molti importanti per far conoscere il proprio progetto, ma soprattutto le conoscenze che possono crearsi all’interno di uno scenario simile possono portare anche ad interessanti collaborazioni! Posso solo sperare che eventi simili si intensifichino su tutto il territorio cercando di coinvolgere più realtà possibili e artisticamente simili.

Martina: Sono molto importanti perché ti permettono, come ha detto Lucrezia, di conoscersi, influenzarsi a vicenda, creare nuove collaborazioni e nuovi sostenitori. Vorrei che ci fossero più occasioni del genere che non ci facciano sentire soli in mezzo al mare, contro vento!

 

 

segue :

Galleria fotografica di Nicol P.

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MOODBOARD By Nicol P. (Ac&m Art fest 15)

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| The Factory | Moodboard |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

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FACTORY ASKS 0010 : PIERFRANCESCO BUONOMO

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Nome Artista 0010: Pierfrancesco Buonomo

BIO

Sono nato il 13 marzo 1993 a Roma. All’età di 6 anni sono andato a vivere a Lucca dove ho iniziato il mio percorso scolastico. Ho conseguito il diploma di liceo scientifico nel 2010, poi mi sono spostato a Milano dove ho iniziato a frequentare l’ACME, Accademia dei Media Europea, con indirizzo fumetto. Conseguirò la laurea a luglio di quest’anno seguito dal professor Pasquale Del Vecchio (relatore). I miei interessi principali sono legati al mondo dei fumetti, ne leggo un sacco e amo inventare e disegnare storie tutte mie. Il 24 dicembre 2015 è uscito un calendario in collaborazione con  il Centro Studi San Marco per il cinquantesimo anniversario di Lucca Comics & Games distribuito da “La Nazione” su tutta la provincia di Lucca. Mi piace molto collaborare alla costruzione di universi creati da altre menti, da poco sono in collaborazione con uno sceneggiatore, Edoardo Rohl, con il quale sto per presentare le prime tavole di un fumetto alla casa editrice Shockdom. Tra i miei interessi rientra anche la partecipazione a eventi e mostre in cui posso mostrare i miei lavori per ricevere giudizi costruttivi che mi portino ad una crescita personale nel mio campo

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Ho sempre amato disegnare. Alle medie mi sono accorto che avevo questa passione, purtroppo mi ha portato ad essere anche molto solo perché se tutti i miei compagni di classe uscivano a divertirsi io preferivo starmene alla mia scrivania a disegnare. Non ho mai detto nulla ai miei genitori fino alla quarta superiore, forse ho sbagliato ripensandoci adesso che mi sto per laureare. Non gli ho mai fatto vedere un disegno. Dall’inizio delle superiori in poi mi sono appassionato alla narrativa a fumetti, ne leggevo e ne leggo tutt’ora un sacco, in terza superiore mi piaceva talmente tanto leggere fumetti che mi sono chiesto come sarebbe stato se ne avessi creato uno tutto mio. In quarta superiore ho fatto “outing”, i miei genitori parlavano di volermi mandare alla facoltà di economia perché una volta concluso il ciclo di studi universitari sarei andato a lavorare presso lo studio di mio padre. Quando ho detto a mia madre che volevo intraprendere la carriera da fumettista mi ha guardato allibita, ma successivamente ha compreso che non era solo una passione ma un sogno. I miei genitori hanno dato qualsiasi cosa perché io riuscissi a coronare il mio obiettivo e tutto quello che ho raggiunto fino ad oggi lo devo principalmente a loro che sono stati, sono e saranno sempre i miei primi veri sostenitori. DREAM IT, WISH IT, DO IT.

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Quando produco le mie “opere”, se di questo possiamo parlare, mi ispiro ad un sacco di cose. Per me non esiste ispirazione più grande di quella che ti può dare tutto quello che ti circonda.

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

La mia massima aspirazione? Mangiare con i miei disegni.

illustrazioni colorate e preparazione colore 7

04. C’è un messaggio legato i tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Il messaggio nei miei lavori dipende da cosa mi sento di comunicare in quel momento con quel determinato lavoro, non ho un messaggio di base che affiora in tutti.

05. Che cosa vuol dire per te underground?

Underground per me vuol dire completa libertà espressiva non vagliata da un mercato di gusti meticolosi riguardo il modello di bellezza corrente, vuol dire POSSIBILITA’, concetto che al giorno d’oggi in campo artistico non è molto presente. Penso che POSSIBILITA’ sia la parola che per me più descrive il concetto di Underground inteso in campo artistico.

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0009: DAVIDE BALDUZZI

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Nome Artista 0009: Davide Balduzzi

BIO

Mi chiamo Davide. Sono nato a Bergamo il 9 ottobre 1989 da madre napoletana e padre bergamasco. Ho vissuto dai 3 ai 6 anni nella Pampa argentina, tra gauchos e cavalli e ho ripreso il mio sentiero scolastico in Italia, a Bergamo.
Il 6 Ottobre 2014 io e la mia fidanzata, decidemmo di partire per l’estero.
La prima meta fu l’Australia, comprammo un camper, e per 8 mesi riuscimmo ad abbinare il viaggio al lavoro.
In seguito, iniziammo un lungo viaggio durato 4 mesi nel sud est asiatico, visitando molte isole dell’ Indonesia con i suoi vulcani e l’isola di Komodo; la penisola malese; l’ immensa foresta pluviale con i suoi animali selvaggi nel Borneo malese, passando poi per Singapore (la Svizzera d’oriente) e finendo nella vecchia Indocina: Laos, Cambogia, Vietnam e Thailandia con le innumerevoli risaie, cascate, templi e le affascinanti minoranze etniche.
Le modalità erano: zaino in spalla, street food, ostelli economici, ospiti da persone, ampio sorriso, cuore aperto alla vita e alla gente.
I mezzi erano: aerei, treni, navi e moltissime ore di pullman.

Passo alla prima domanda…

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Sebbene i miei studi non abbiano nulla a che vedere con l’arte, ho ricevuto influenze artistiche dai miei genitori: scultura, pittura, musica e fotografia.
Ho provato a dipingere, suonare la chitarra, il basso elettrico e le percussioni ma quando mio padre mi regalò la sua vecchia macchina fotografica analogica mi si aprì un mondo nuovo, un altro modo di vedere quello che mi circondava, posso dire.. uno stile di vita diverso da quello a cui ero abituato.
Notai da subito la compatibilità che aveva questo tipo d’arte visiva con il mio carattere, e la approfondii.

02.  A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

La creatività può essere un attitudine innata o semplicemente un osservare, analizzare e studiare, per rielaborare a proprio piacimento. Io faccio questo, studio le fotografie dei grandi fotografi o opere dei grandi pittori, metto tutto in un “cassettino” pronto a ripescarne il contenuto al momento del bisogno mischiandolo sempre al gusto personale ovviamente.

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03.  In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Sebbene con l’avvento di internet e delle milioni fotocamere in circolazione possiamo comodamente vedere e conoscere realtà sociali differenti dalla nostra, tengo comunque a dare il mio contributo con l’offrire la mia visione delle cose. Tornando alla domanda..La mia massima aspirazione è continuare ad avere energia per viaggiare, per scoprire/scoprirmi ed emozionarmi, riuscendo allo stesso tempo a trasmettere tutto questo a chi osserva i miei lavori.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

C’è chi scopre il proprio stile da subito, chi lo trova dopo anni di ricerca. Io ci sto lavorando, mi piacerebbe molto se qualcuno potesse vedere le mie fotografie e riconoscere il mio occhio, il mio stile, ma questo non è una mia priorità. Penso solo ad impegnarmi per creare un collegamento diretto con la mia sensibilità e la mia attrezzatura. Il messaggio legato ai miei lavori rispecchia quello che la scena mi trasmette in quel preciso momento. Se riesco a ritrasmettere le emozioni da me provate, mi posso considerare soddisfatto.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Un movimento che vive e si sviluppa parallelamente alla cultura di massa.

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Al festival ho portato una piccola raccolta del mio archivio fotografico scattato nel mio ultimo viaggio nel Sud-est Asiatico.

davidebalduzzifestivalL’allestimento di Davide al Bastione San Gallo per il PUM Factory Fest

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Complimenti e critiche sono entrambi importanti nella formazione artistica, ed è per questo che occasioni come il festival sono preziose, proprio perché danno la possibilità di avere contatto con il pubblico.
Sarebbe bello poter creare una rivista dedicata ai giovani emergenti.

| The Factory | Davide Balduzzi |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

Matteo Zamagni Archivio

Matteo Zamagni

Music, Art, Dance in underground urban environments – m.a.d.

Arte Frattale ØØØØ

La storia di Matteo Zamagni, media artist italiano residente a Londra, è la riprova che quando si investe in giovani talenti non si fa mai cosa sbagliata

Matteo ha 23 anni, è nato Rimini ed è uno tra i 50 artisti scelti dal Barbican Centre per far parte del Fish Island Labs. Questo laboratorio artistico situato ad Hackney Wick, Londra, è nato dal connubio di forze tra il rinomato centro di produzione culturale e l’impresa sociale The Trampery. Il progetto offre uno spazio di lavoro e incontro ad artisti emergenti che hanno l’obiettivo di esplorare le infinite possibilità artistiche create dall’unione di arte e tecnologia, spaziando dalla scultura, al film editing, alla digital art.

All’interno del Fish Island Lab, Matteo ha scelto forse l’avanguardia artistica tra le più di nicchia all’interno del panorama delle arti multimediali: la realtà virtuale. Esplorando la matematica dei frattali e le più complesse tecniche di grafica 3D, Matteo è riuscito a trasformare in arte visuale la rappresentazione matematica di forme biologiche e naturali. Dopo 12 mesi di duro lavoro, gli artisti del Fish Island Lab hanno riassunto l’ethos della loro sperimentazione artistica e tecnologica nella mostra Interfaces, tenutasi nel prestigioso Barbican Centre. 

Fin da subito l’installazione Nature Abstraction, si è rivelata il fiore all’occhiello dell’esibizione, attirando l’attenzione di curiosi ed esperti.

Vedere la lunga e paziente fila di persone in attesa di abbandonarsi per qualche minuto alle meraviglie della realtà virtuale, ha suscitato in me ancora più interesse e curiosità nel lavoro di Matteo. Ma solo dopo aver indossato l’Oculus Rift ed essermi lasciata trasportare (perdendo l’equilibrio svariate volte) in un mondo altro, astratto, composto da forme aliene ma allo stesso tempo familiari, ho capito la vera portata dell’arte frattale e dell’esperienza artistica a 360° che essa può ricreare.

Ho incontrato Matteo per farmi raccontare com’è iniziato il suo percorso artistico, quali tecnologie utilizza e quali sono i suoi progetti futuri. Parlaci della tua esperienza all’interno del Fish Island Lab.

Condividere uno spazio con artisti dai simili interessi è stato incredibile. Abbiamo creato uno spazio di discussione molto interessante; per non parlare dei workshop, gli eventi e la visibilità che questa opportunità ha portato ad ognuno di noi.

Che ci dici della tua installazione Nature Abstraction per la mostra al Barbican Centre?

Interfaces è stata senza dubbio una delle esperienze più costruttive ed eccitanti che abbia mai vissuto fino ad ora. Ha reso possibile la creazione di una miriade di progetti sviluppati da un gruppo di artisti emergenti il cui scopo è esplorare la relazione tra arte, tecnologia e interazione con il pubblico, che non è più un osservatore “passivo” ma diventa parte integrante del processo artistico.

su Nature Abstraction

Dopo un lungo periodo di produzione è stato incredibile vedere la mia installazione Nature Abstraction completa. Essendo un processo che parte da un’idea estremamente astratta, renderla concreta è una sensazione indescrivibile. E ancora più eccitante è stato osservare le reazioni del pubblico che entrava nel cubo luminoso e provava l’Oculus Rift. 

Di fatti l’installazione è progettata in modo da ricreare un ambiente astratto utilizzando una struttura a cubo sulle cui facce sono proiettati video di composti organici e biologici filmati al microscopio; a questi vengono uniti effetti visivi analogici (come rifrazione e riflessione, o altre proprietà fisiche della luce) che tramite l’utilizzo di un proiettore come sorgente vengono poi filmati nuovamente dalla videocamera. In questo modo l’osservatore è invitato ad entrare all’interno del cubo e ad indossare l’Oculus Rift per lasciarsi trasportare in mondi 3D surreali creati matematicamente.

Secondo me l’arte in questa nuova era digitale ha più che mai superato i suoi limiti. L’utilizzo di nuove tecnologie che facilitano l’interazione multi-sensoriale dell’osservatore permette all’artista di esprimersi pienamente a diversi livelli di significato. Ed e’ per questa ragione, maggiormente, che credo di essere entrato in questo campo.

Perché hai scelto la realtà virtuale e la matematica dei frattali?

Per Nature Abstraction volevo creare un ambiente in cui l’osservatore potesse “staccare la spina” per 10 minuti ed entrare in un mondo surreale composto da frattali 3D. Essenzialmente formule matematiche che riconducono visivamente a forme biologiche e architettoniche, in modo tale da aprire un varco sull’idea di una struttura invisibile che compone la realtà che viviamo ogni giorno. L’idea di usare Oculus Rift insieme ad altri apparecchi elettronici è servito ad amplificare l’esperienza per l’osservatore e renderlo parte integrante  dell’artwork in sé, stimolando sensi come vista e udito fino ad illudere la mente di trovarsi altrove. 

Quali sono le tecnologie che usi principalmente?

Gli strumenti variano sempre da progetto a progetto. Molti software sono disponibili online per quanto riguarda video editing, special effects, 3D, realtime graphics, photo-scanning ecc. Inoltre ci sono sensori di tipo uditivo che individuano determinate frequenze audio presenti nell’ambiente, oppure il Kinect o il Leap Motion che tracciano il movimento del corpo tramite sensori a raggi infrarossi. Alcuni di questi strumenti sono relativamente economici e già con essi si hanno infinite possibilità. Ma nel mio caso l’idea astratta è quella che nasce prima di tutto, dopodiché cerco gli strumenti adatti per svilupparla e realizzarla nel mondo fisico. 

Attualmente sto esplorando molti softwares 3D realtime e offline come Cinema4D e Houdini (utilizzato per il Visual FX anche in produzioni holliwoodiane), softwares specifici per frattali 3D, ed altri per vj-ing e projection mapping. Durante il mio percorso ho sempre notato una continua evoluzione nel modo in cui creo nuovi progetti. Credo sia dovuto al fatto che mi piace scoprire e imparare ad utilizzare nuovi strumenti per poi combinarli insieme in lavori futuri.

Come definisci la scena artistica in cui si inserisce il tuo lavoro?

Dal mio punto di vista : FANTASTICA.
Essendo un movimento digitale, nasce in primis da internet e dalla divulgazione di tante pratiche artistiche online. C’è un intero network di digital artists da tutto il mondo online radunati in vari gruppi, forum e piattaforme che discutono e condividono argomenti d’interesse. E’ così che ho iniziato e ho avuto la fortuna di incontrare di persona alcuni degli artisti da cui ho tratto più ispirazione.

Su cosa stai lavorando al momento e quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho un po’ di progetti su cui sto lavorando al momento, sia di breve che lungo termine. Sto sviluppando una seconda installazione in cui lo scopo sarà quello di ricreare una esperienza extracorporea, stimolando più sensi possibile in modo da indurre la mente a pensare di essere altrove. Sono ancora nella fase iniziale di sviluppo e penso che ci vorrà almeno un anno per la realizzazione. 

Inoltre sto cercando di mettere insieme un collettivo online di digital artists. Sarà una piattaforma dove poter condividere idee, collaborare, ed esprimere concetti in relazione a mondi astrali e alla relazione tra scienza e spiritualità, un tema particolarmente caro a molti artisti sparsi nel mondo. Credo che questo movimento nasca da una necessità di condividere idee ed esprimersi attraverso l’arte infusa nella tecnologia.


Links:

Vimeo channel

Wired interview

Anisegallery

Times Square Arts


Edited by Celine Angbeletchy

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    Factory Asks

    FACTORY ASKS 0008: RICCARDO BONUCCELLI

    askthepixel_faithNome artista 0008: Riccardo Bonuccelli

    BIO

    Fotografo e retoucher professionista Adobe Certified Expert. Riccardo è nato il primo gennaio del 1977, ha vissuto a Torino, Lucca, Bruxelles e nuovamente Lucca. Si laurea in informatica e coltiva un lunga esperienza di consulenza in grandi aziende internazionali. Da sempre amante dell’arte, nel 2009 decide che la fotografia sarebbe stata la sua professione e nel 2011 dà vita alla sua attività, askthepixel.net. Da allora fornisce servizi fotografici e di formazione, specializzandosi in ritratto, fotografia urbana e di architettura e in compositing artistico. Come insegnante ha lavorato con aziende locali e internazionali, agenzie di formazione, associazioni culturali e di settore e ultimamente con il liceo artistico di Lucca.

    01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

    Con una solida base tecnica alle spalle e da sempre incuriosito e affascinato dal forte potenziale comunicativo subliminale delle immagini, ho cominciato a studiare il valore simbolico dei colori e delle forme contenuti nella collezione dei Tarocchi di Marsiglia. Le figure riprodotte su queste carte rappresentano la sintesi della simbologia occidentale, che dal tardo medioevo valgono ancora oggi e che funzionano alla perfezione applicate a qualsiasi medium visivo. Utilizzarle è estremamente divertente e da là il percorso ha preso vita sua e non si è mai arrestato.

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    02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

    Ho qualche fotografo a cui faccio riferimento quando cerco ispirazione estetica ma il loro stile può anche non trasparire nei miei scatti, perché dall’ispirazione alla produzione il processo ha già alterato i tratti distintivi di questi autori. Potrei citare Sarah Moon per i ritratti e Gabriele Basilico per la fotografia urbana, ma la lista sarebbe lunghissima. L’ispirazione tematica invece la trovo nella lettura: nel tempo, passando di libro in libro – sempre seguendo il tema su cui vorrei lavorare – si formano collegamenti che mi portano alle soluzioni visive che finiranno nelle mie foto.

    03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

    Essere fonte di ispirazione. Non avrebbe senso creare arte se non ne generasse di nuova a sua volta, sarebbe vana o al massimo superflua.

    04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    Sì, è l’invito a guardare oltre il primo velo, a provare a far parlare le immagini, a renderle vive.

    05. Che cosa vuol dire underground per te?

    In ambito artistico “Underground” è l’humous culturale che prepara la società ad accettare la prossima espressione estetica e concettuale, magari denigrata o considerata acerba ma che di fatto intimorisce perché mina l’attuale equilibrio o perché è semplicemente non compresa.askthepixel_balance

    06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

    Il progetto che ho portato mi ha fatto riflettere più di quanto mi aspettassi su quanto profondo sia il tema affrontato, lo scattare fotografie da un dispositivo mobile. Quando sono apparse le prime fotocamere “embedded” nei telefoni cellulari già da tempo i sensori digitali avevano sostituito le pellicole nella maggior parte degli apparecchi di ripresa. Ma questo cambiamento ha aggiunto un ulteriore grado di astrazione dalla realtà: da quel giorno possiamo compiere un’azione che riguarda l’ambito visivo (fotografare) con uno strumento che abbiamo sempre usato per parlare e ascoltare (il telefono). L’immagine diventa anch’essa parte della conversazione (“embedded” anche loro) e fa parte integrante del suo senso: una frase non è più totalmente comprensibile senza una emoticon come una foto da sola non basta a definire un concetto. Si può definire una “fotografia aumentata”.

    07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

    Questi eventi sono fondamentali per la crescita della società. É molto raro che qualcuno si fermi a riflettere su ciò che ha davanti a sè quotidianamente o che esprima un concetto proprio, originale. Questa sorta di apatia, di inerzia spirituale, comunicativa ed espressiva deve essere controbilanciata da una risposta genuina di analisi creativa della realtà attraverso gli occhi e le mani di chiunque ne senta un onesto bisogno. L’arte si muove per osmosi, e bisogna respirarla perché passi da uomo a uomo, da generazione a generazione.

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    |  The Factory | Riccardo Bonuccelli  |

    “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”